03/09/2025
Identificazione Proiettiva.
“Sappiamo che l’identificazione è la più primitiva e originaria forma di legame emotivo” scriveva Freud nel 1921, in “Psicologia delle masse ed analisi dell’Io”, descrivendo le forme dell’identificazione primaria, basata sull’acquisizione delle caratteristiche dell’oggetto amato, attraverso un processo di introiezione, sul modello degli istinti cannibalici originari del neonato:
un legame emotivo precoce, precedente all’instaurarsi della relazione anaclitica*.
-A partire da questa considerazione, è possibile affermare che l’identificazione originaria a cui Freud si riferisce costituisce una sorte di matrice teorica di cruciale importanza, che solo nel tempo verrà ripresa e sviluppata dagli psicoanalisti post-freudiani, anche grazie al progressivo maggior riconoscimento dei meccanismi di funzionamento della mente primitiva, e della precocità delle relazioni oggettuali.
Sarà il caso dell’”identificazione proiettiva”.
-Il concetto di “identificazione proiettiva”, pur essendo comparso già in precedenza nella letteratura psicoanalitica (Weiss, 1925; Brierley, 1945) non suscitò molto interesse negli psicoanalisti, finché non venne descritto nel 1946, da M. Klein, in “Note su alcuni meccanismi schizoidi”.
-Concordando con le osservazioni di Fairbain (1944) sull’esistenza di una “posizione schizoide” normale nei primissimi tempi dello sviluppo, M.Klein descrive una particolare fantasia attraverso la quale il neonato – per difendersi dall’angoscia – scinde, e proietta parti di sé intollerabili all’interno della madre, con il fine di prenderne possesso e controllarle/la:
“ poiché e in quanto, con tale proiezione dentro, la madre viene a contenere le parti cattive del Sé, essa non è sentita come un individuo separato ma come il Sé cattivo […]. Ciò determina una particolare forma di identificazione che costituisce il prototipo delle relazioni oggettuali aggressive” (ed anche, aggiungerei, delle identificazioni narcisistiche).
-Nella revisione di quello stesso articolo, nel 1952, aggiungerà:
“Proporrei di denominare questa forma di processo di identificazione ”identificazione proiettiva”.
-Si tratta di un concetto complesso, che “illustra la connessione tra istinti, fantasia e i meccanismi di difesa.
-E’ una fantasia di solito molto elaborata e dettagliata;
è un’espressione degli istinti perché sia i desideri libidici che quelli aggressivi sono sentiti essere onnipotentemente soddisfatti dalla fantasia;
è comunque anche un meccanismo di difesa nello stesso modo in cui è la proiezione, cioè sbarazza il Sé delle parti non desiderate” (H. Segal, 1967), tenendole al tempo stesso sotto controllo.
-Ciò permette, inoltre, di evitare ogni consapevolezza di separazione, di dipendenza e di invidia.
-L’uso eccessivo dei meccanismi proiettivi produce l’insorgere di angosce paranoidi, poiché gli oggetti contenenti le parti cattive del sé diventano persecutori, oltre ad un senso di svuotamento e indebolimento dell’Io, fino a stati di depersonalizzazione, per la perdita delle parti scisse e proiettate del sé.
-Questa dinamica verrà descritta da M. Klein con molta chiarezza nel suo articolo “Sulla identificazione” (1955), attraverso le trasformazioni identitarie di Fabien, il protagonista della novella di J. Green, “Se fossi in te”.
-Bisogna ricordare che M. Klein si era parzialmente dissociata dalla teoria pulsionale di Freud, ritenendo che la relazione oggettuale esistesse fin dall’inizio della vita neonatale, e che ogni spinta pulsionale fosse sempre fissata ad un oggetto, il primo dei quali è il seno materno precocemente interiorizzato, che costituisce “un organizzatore fondamentale dell’Io e ne garantisce la coesione”.
-All’epoca in cui ha descritto l’Identificazione Proiettiva, stava cercando di approfondire la qualità degli stati d’angoscia primitivi, ed i meccanismi attraverso i quali l’Io immaturo del neonato – privo di una stabile coesione ma presente ed attivo fin dalla nascita, – cerca di difendersene.
-L’angoscia conseguente all’entrata in azione della pulsione di morte nell’organismo, viene “avvertita inizialmente come paura di annientamento (morte), e… si configura pressoché immediatamente come paura di persecuzione” da parte di oggetti che minacciano il neonato dall’interno.
-Ciò lo espone ad intense angosce di frammentazione, per difendersi dalle quali, scinde attivamente ed espelle dentro all’oggetto esterno, il seno materno, parti dell’Io e degli oggetti interni minacciosi, gli oggetti cattivi.
-Questo stato della mente, caratteristico dei primi 3-4 mesi di vita, fu denominato dalla Klein “ posizione schizoparanoide”.
-Klein, tuttavia, sottolinea che, non solo parti “cattive” del sé vengono proiettate nell’oggetto esterno, ma anche parti “buone” – perché sentite come immeritate, o per proteggerle dai cattivi persecutori interni.
-Tale proiezione “è fondamentale affinché il bambino sviluppi buone relazioni oggettuali e le integri nel proprio Io”, e diventa la base dell’empatia.
-Se eccessiva, anche in questo caso, “può derivarne una troppo forte dipendenza da questi rappresentanti esterni delle parti buone del sé e la paura che la propria capacità di amare vada perduta” (Klein, 1946)
-W. Bion (1959, 1962) sarà il primo ad introdurre una distinzione tra una forma di Identificazione Proiettiva “normale”, ed una “patologica”, mettendo in luce, accanto alla primitiva funzione evacuativa descritta inizialmente da M. Klein, la dimensione interpersonale, comunicativa, che l’identificazione proiettiva contiene.
*La relazione anaclitica è, in psicoanalisi, il processo mediante il quale un bambino cerca e riceve supporto emotivo (appoggio) dalla madre o da una figura genitoriale di riferimento.
A cura di Maria Laura Zuccarino
Società Psicoanalitica Italiana.