04/09/2025
Ragazzi e schermi: non è una questione di ore, ma di dipendenza
In tutto il mondo si parla sempre più spesso del rapporto tra adolescenti, social network, videogiochi e salute mentale. Ma una ricerca appena pubblicata su JAMA chiarisce un punto fondamentale: il problema non è quante ore i ragazzi passano davanti agli schermi, ma come li usano.
Lo studio
I ricercatori hanno seguito oltre 4.200 preadolescenti americani, di circa 10 anni, per quattro anni. Hanno analizzato tre ambiti: social media, smartphone e videogiochi.
Ne è uscita una fotografia preoccupante:
• Quasi 1 su 2 mostrava un uso additivo dello smartphone.
• Più del 40% aveva un profilo di uso problematico dei videogiochi.
• Circa 1 su 3 sviluppava una traiettoria crescente di utilizzo compulsivo dei social media.
Perché è importante
Non stiamo parlando di ragazzi che “stanno troppo davanti al telefono”, ma di veri e propri comportamenti compulsivi, con difficoltà a staccare, disagio se manca la connessione e pensiero fisso sullo schermo.
Chi si trovava in questi gruppi “ad alto rischio” aveva fino a 2–3 volte più probabilità di sperimentare ideazione suicidaria o comportamenti autolesivi rispetto ai coetanei con uso più equilibrato. In più, emergevano più sintomi di ansia, depressione, irritabilità e impulsività.
Non tutte le piattaforme sono uguali
• Social e smartphone: molti ragazzi iniziavano con un uso moderato ma, col tempo, entravano in traiettorie crescenti, con rischio progressivo.
• Videogiochi: il quadro era più stabile. Alcuni mostravano un uso elevato fin dall’inizio, altri basso e costante. Una distinzione utile per individuare precocemente chi è più vulnerabile.
Non conta il cronometro, ma il modo
Il dato forse più sorprendente è che il tempo totale di schermo non e’ predittore di problemi. Non importa se passi due o quattro ore online: quello che conta è la qualità dell’uso. Se diventa compulsivo, se sostituisce il sonno, le relazioni, lo sport, allora cresce il rischio per la salute mentale.
Limiti e prospettive
Lo studio è osservazionale: non prova che gli schermi “causino” direttamente ansia o suicidio. È possibile che ragazzi già fragili cerchino rifugio nei dispositivi. Ma la forza del campione, la durata del follow-up e la coerenza dei dati rendono i risultati solidi.
Restano fattori non misurati — come bullismo, traumi infantili, stress, qualità del sonno — che potrebbero interagire con l’uso digitale. Nonostante questo, il messaggio è chiaro: il rischio non è il tempo in sé, ma l’uso patologico.
Cosa fare in concreto
• Genitori ed educatori: osservare come i ragazzi vivono la tecnologia. Se non riescono a staccare, se esplodono quando manca il telefono, se il rendimento scolastico cala, sono segnali da non sottovalutare.
• Medici e pediatri: includere domande sull’uso digitale nelle valutazioni di routine, al pari del sonno o dell’alimentazione.
• Scuole e istituzioni: avviare programmi di educazione al digitale che insegnino a distinguere l’uso sano da quello additivo.
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Il messaggio chiave
La tecnologia non è un nemico da demonizzare. Può essere uno strumento di crescita, di apprendimento, di relazione. Ma quando diventa additiva e prende il controllo, può trasformarsi in un fattore di rischio serio per la salute mentale degli adolescenti.
La sfida è tutta qui: non spegnere gli schermi, ma imparare a viverli in modo sano e consapevole.
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https://jamanetwork.com/journals/jama/fullarticle/2835481?guestAccessKey=1e247dd1-cadf-430c-baad-bc5c5543ad29&utm_source=for_the_media&utm_medium=referral&utm_campaign=ftm_links&utm