19/05/2025
Le parole sono potenti.
Nel bene e nel male
Oggi in classe ho portato due mele.
Entrambe belle, rosse, lucide. A vederle così, nessuna differenza.
Ma solo io sapevo che una delle due era stata fatta cadere più volte prima della lezione.
L’avevo raccolta con cura, senza romperla all’esterno. Era ancora perfetta… almeno in apparenza.
Abbiamo osservato insieme le due mele. I bambini le descrivevano:
“Sembrano uguali”,
“Sono buone”,
“Mi viene voglia di mangiarle”.
Poi ho fatto qualcosa di insolito.
Ho preso la mela che avevo fatto cadere e ho cominciato a parlarle male davanti a tutti.
Ho detto che era br**ta, che non mi piaceva, che aveva un colore orribile e un picciolo troppo corto.
E ho chiesto ai bambini di fare lo stesso:
di dirle cose cattive, come se fosse un’altra persona.
Alcuni mi hanno guardata con esitazione.
Uno ha detto: “Ma è solo una mela…”
Ma sono andati avanti:
«Fai schifo»,
«Nessuno ti vuole»,
«Sembri marcia»,
«Non vali niente».
Poi abbiamo preso l’altra mela.
Quella che nessuno aveva insultato.
E le abbiamo detto solo parole belle:
«Sei splendida»,
«Hai un profumo buonissimo»,
«Scommetto che sei dolcissima».
Dopo, le ho tagliate davanti a loro.
La mela trattata con amore era fresca, chiara, croccante.
Quella insultata… era piena di lividi. Molle. Scura.
Era danneggiata dentro, anche se fuori sembrava intatta.
E in quel momento, nella classe è calato il silenzio.
Nessuno rideva. Nessuno parlava.
Gli sguardi erano diversi: avevano capito.
Quelle parole che avevamo detto per finta a una mela,
sono le stesse che ogni giorno tante persone — e tanti bambini — sentono davvero.
Parole che non si vedono.
Parole che non lasciano segni sulla pelle…
Ma che lasciano lividi dentro.
Ho raccontato ai bambini che anche a me, solo qualche giorno fa, qualcuno ha detto qualcosa che mi ha fatto male.
Eppure sorridevo, sembravo serena. Nessuno se ne è accorto.
Ma dentro mi sentivo come quella mela: rotta. Ammaccata. Ferita in silenzio.
La verità è che le parole possono fare più male di uno schiaffo.
E spesso quel dolore resta. Anche quando gli altri non lo vedono.
Per questo dobbiamo insegnare ai nostri figli — e a noi stessi —
che ogni parola ha un peso.
Che si può ferire anche con una frase detta per gioco.
Che la gentilezza non è debolezza: è forza, coraggio, scelta.
E voglio raccontarvi una cosa che mi ha colpita più di tutto:
mentre gli altri insultavano la mela,
una bambina si è rifiutata.
Ha detto: “Io non voglio dire cose brutte. Anche se è solo una mela”.
Quel piccolo gesto vale più di mille lezioni.
Le parole possono costruire ponti.
O scavare ferite.
Possono sollevare.
O distruggere.
E il loro effetto spesso resta per molto, molto tempo.
La lingua non ha ossa,
ma può spezzare un cuore.
Scegliamo le parole con cura.
Usiamole per amare, non per ferire.
Per accogliere, non per escludere.
Per guarire, non per distruggere.
Che i nostri figli crescano imparando il valore del rispetto,
della gentilezza, dell’empatia.
Perché dietro ogni sorriso, potrebbe nascondersi una mela ammaccata.
E noi possiamo fare la differenza.
-Piccole Storie via Le monde littéraire