Il numero dei ricoverati, compreso il personale di servizio (tre suore ed il portiere) oscillava tra i 15 ed i 20. Le entrate erano rappresentate dalle rette a carico dei ricoverati (uno nel corso del 1889); dalle rette a carico della locale Congregazione di Ca**tà; dai contributi di enti pubblici e privati, e da quelle che venivano indicate come “elemosine”. Il bilancio del primo anno di vita fu misero: le entrate ammontavano appena a lire 6.500,52, provenienti dalle voci sopra indicate. E furono miseri anche gli anni che seguirono, i primi di vita per l’Astenotrofio: bisognava fare i conti con bilanci striminziti, che a malapena permettevano di garantire vitto e assistenza. Fu proprio in relazione a tale situazione per la quale si era resa necessaria la nomina del commissario prefettizio Terracchini, che si prospettò l’idea, agli inizi del ‘900, di una fusione con il Gerontotrofio, amministrato dalla Congregazione di Ca**tà. Tale fusione era vista come “unico rimedio possibile” dal sindaco del tempo, Spernicchia, presidente di turno dell’Astenotrofio, in una lettera del 7 marzo 1901 inviata al Prefetto. La fusione suddetta tuttavia non fu realizzata a causa della crisi amministrativa che sopraggiunse nel 1900-1901 nel Comune di Gubbio (tant’è vero che ci fu la nomina di un commissario straordinario) e nella Congregazione di Ca**tà, e anche per le difficoltà sollevate dal notaio Sellari di Pesaro, tutore del marchese Benedetto Toschi-Mosca, colpito da malattia mentale. A risollevare le sorti dell’Astenotrofio, ai primi del secolo, fu un sussidio straordinario di lire 2.000, erogato dal comune di Gubbio con delibera del 28 ottobre 1901, “come compenso di quelle maggiori spese di corredo e di arredamento che l’istituto dovrà sostenere per il maggiore numero di anziani che il Comune andrà a collocarvi”. Nella stessa seduta, il consiglio comunale deliberò anche che i vecchi a proprio carico presso l’Astenotrofio fossero 15 e che la retta individuale fosse di lire 275. Le difficoltà dell’Astenotrofio, almeno fino ai primi del ‘900, erano testimoniate dai bilanci quasi sempre in passivo, e dalla serie numerosa di richieste a sussidi ed enti, pubblici e privati, a banche, al Comune, alla Regina madre, al Re, al Papa e, negli anni successivi, al Prefetto e a Mussolini. La situazione cominciò a migliorare negli anni immediatamente precedenti e seguenti la Prima guerra mondiale, fino alla fine degli anni Trenta: non si ebbero più richieste “drammatiche” di sovvenzioni e contributi, ed addirittura i bilanci contabili cominciarono a rivelare qualche “attivo”.