21/08/2025
Oggi mi è capitato sottomano
questo articolo🤍
Ho sempre pensato come alcune esperienze come l’ab**to, andrebbero vissute nel rispetto della privacy in ambienti protetti, caldi e con un’equipe preparata, non solo a livello medico ma anche psicologico.
La messa al mondo, così come la perdita, necessitano di personale medico formato anche e soprattutto in ambito Psi.
La parte medica, da sola, non basta.
Da donna, ma soprattutto da professionista della salute, considero la scelta di separare chi sta vivendo l’esperienza (e il trauma) dell’ab**to, dal reparto maternità e pediatria, non come una forma di esclusione, ma come gesto di cura, rispetto e prevenzione (per il post traumatico da stress, attacchi di panico, ansia generalizzata ecc).
Ma perché sarebbe utile creare spazi distinti?
Innanzitutto per le diverse esperienze psicologiche e per quella che chiameremo “protezione emotiva”.
Per molte donne, l’esperienza dell’ab**to è accompagnata da dolore, senso di perdita e conflitto interiore. Trovarsi accanto a neonati o donne che hanno appena partorito, può intensificare il disagio psicologico e creare forti stati ansiosi.
Immaginate il senso di smarrimento e di perdita, il vuoto, l’angoscia, la paura per il futuro che si può provare davanti a chi ha il mondo tra le mani e la persona in questione l’ha appena perso.
L’ab**to è un lutto e così va trattato.
Separare gli ambienti può essere un modo per rispettare il loro bisogno di privacy e di elaborazione personale.
Per questo, sarebbe opportuno che le strutture sanitarie e i reparti offrissero un supporto psicologico adeguato con la possibilità di adattare gli spazi in base alle esigenze individuali e personali di ciascuna storia.
Questo dolore, se non si è mai provato, può non essere compreso, ma va considerato e trattato, nel pieno rispetto della persona, nella totale mancanza di giudizio, evitando frasi come “potete riprovarci”, “era solo un insieme di cellule”, “vedrai che passa presto”, “d’altronde, sarà anche la tua età” (è proprio necessario? eppure sono le ginecologhe donne a pronunciarle per prime ).
Se proprio non sapete cosa dire, restate in silenzio, accanto.
Da amici, ma anche da professionisti, medici e non.
L’ab**to per una donna, che lo scelga o no, è un’esperienza dolorosa. E lo diventa ancora di più se quando si va in ospedale ci si ritrova accanto ad altre donne che stanno per partorire o l’hanno appena fatto. La giornalista Roberta Rei ha scelto di raccontare un suo fatto privato, ma anche di denunciare qualcosa che secondo lei “nessuna donna dovrebbe mai vivere”.
"È stato il periodo più difficile di sempre – spiega su Instagram – improvvisamente incinta, improvvisamente felice come mai nella vita. A quattro mesi inoltrati poi ‘la natura ha scelto per te’ e il dolore più grande. Viscerale, anche quello, dei più forti mai provati”. “Ho visto quello schermo, quell’immagine distesa, come dormiente, non la toglierò più dalla testa - continua - Non avrei dovuto guardare, non avrebbero dovuto farmi guardare. Poi l’attesa di ore in ospedale perché ‘signora ci sono tante donne che stanno partorendo, il medico poi arriverà’. Io ho visto i loro volti felici, ho sentito i pianti di quelle creature che venivano al mondo. Erano dei coltelli che si infilavano nello stomaco. Era necessario? Me lo sono chiesta dopo tornando lucida. No. E non deve esserlo per nessuna donna che va incontro a un ab**to. Che lo abbia scelto o meno”
L’articolo completo su Repubblica
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