Dott.ssa Morena Denaro - Psicologa

Dott.ssa Morena Denaro - Psicologa Iscrizione all'Ordine degli Psicologi della Regione Sicilia n°9804

Psicologa, formata in neuropsicologia clinica e specializzanda in Psicoterapia sistemico-relazionale e familiare
Offro servizi di consulenza e sostegno psicologico individuale, di coppia e familiare.

📻Una pubblicità progresso di tanti anni fa diceva “non dire sempre stupido ad un bambino, finirà per crederci”.Il concet...
29/09/2024

📻Una pubblicità progresso di tanti anni fa diceva “non dire sempre stupido ad un bambino, finirà per crederci”.
Il concetto di “stupidità” può essere declinato in diverse forme (incapace, non abbastanza, cattivo, malato, inaffidabile) e NO! Non per forza occorre esprimerlo verbalmente, a volte basta un gesto, una micro espressione facciale, il sostituirsi, il non lasciare spazio al dialogo, e così via.

❓E se a inviare questo genere di messaggi, anche senza rendersene conto, fossero le nostre figure di riferimento più importanti?

⁉️E se ci mettessimo nell’ottica che ognuno di noi da bambino dipende per la sua sopravvivenza psicofisica da queste figure?

⁉️E se la sopravvivenza psicofisica di un bambino non si limitasse solo all’accudimento fisico, ma riguardasse in larga misura il sentirsi accolti, amati, apprezzati, accettati per quel che si è?

🔁E se a inviare questo genere di messaggi, anche senza rendersene conto, fossero le persone più vicine a noi, quelle di cui abbiamo più bisogno e che più amiamo?

❤️Il bambino che tipo di amore sentirebbe di meritare?
E se quell’amore dipendesse dalla misura in cui il bambino volesse rendere felice quegli adulti così importanti (perché è questo che ogni figlio desidera, che mamma e papà siano felici)?

E se la felicità di mamma e papà significasse rinunciare ai propri bisogni, desideri, mettendo davanti i loro?

Siate sicuri, senza alcun dubbio, il bambino rinuncerà ai propri.

🪞E che succede quando quel bambino diventerà grande? Si perderà in un gioco di specchi senza riuscire a sapere chi è? Oppure lo saprà, ma sentirà di doverlo nascondere perché immeritevole di amore e di stima, perdendosi ancora una volta negli sguardi di tutti coloro che incontra cercando dentro di loro la risposta alla domanda “come devo essere per essere amato”?

😶‍🌫️Se ti senti confuso, è normale, stai provando quel che provano questi piccoli bambini grandi.

Giorno 25 maggio, a Ragusa, in occasione della VI edizione del Simposio della Psicologia della Magna Grecia, avremo modo...
16/05/2024

Giorno 25 maggio, a Ragusa, in occasione della VI edizione del Simposio della Psicologia della Magna Grecia, avremo modo di riflettere sul tema del Corpo nelle sue innumerevoli sfumature .

L’ingresso è libero

26/01/2024

Piccolo,
eppure grande,
se guardato
ma non visto
troppo grande da
sentirsi
piccolo,
piccolissimo.
E solo,
eppure in
tanti guardano,
eppure, nessuno
vede.
Sono grande e
Solo.
Guardatemi,
ma non vedetemi.
Vedetemi.
Vorrei.
Vorrei?
Vuoi, pensi, ma
non vorresti
essere guardato,
non vorresti
essere.
Sparisci,
piano, così
piano che,
si accorgeranno?
Vorrei?
Senza ossigeno, già
Da tempo.
Il battito forte del
Tuo cuore o,
solo un suono,
monotono,
assordante del
l’illusione.
Il tonfo.
Respira!
Respira?
In silenzio,
cercami.
Dove sei?
Cercami
Dove sei?
Cercami in un
Addio.

𝗢𝗴𝗻𝘂𝗻𝗼 𝗱𝗶 𝗻𝗼𝗶, con modalità ed intensità differenti, 𝗰𝗲𝗿𝗰𝗮 𝗮𝗰𝗰𝗲𝘁𝘁𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 e 𝗮𝗽𝗽𝗿𝗲𝘇𝘇𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗼 per non essere rifiutato, allont...
20/11/2023

𝗢𝗴𝗻𝘂𝗻𝗼 𝗱𝗶 𝗻𝗼𝗶, con modalità ed intensità differenti, 𝗰𝗲𝗿𝗰𝗮 𝗮𝗰𝗰𝗲𝘁𝘁𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 e 𝗮𝗽𝗽𝗿𝗲𝘇𝘇𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗼 per non essere rifiutato, allontanato.

𝗡𝗼𝗻 𝗰𝗼𝗺𝗽𝗿𝗲𝘀𝗶, 𝗿𝗶𝗳𝗶𝘂𝘁𝗮𝘁𝗶, 𝗻𝗼𝗻 𝗮𝗯𝗯𝗮𝘀𝘁𝗮𝗻𝘇𝗮 𝗱𝗲𝗴𝗻𝗶i: è così che ci sentiamo ogni volta che una parola (quella parola), ma anche solo uno sguardo (quello sguardo), ci colpiscono.

E il 𝗿𝗶𝗳𝗶𝘂𝘁𝗼 fa paura, ferisce, 𝗽𝗿𝗼𝘃𝗼𝗰𝗮 𝗱𝗼𝗹𝗼𝗿𝗲.
Ci allontana dagli altri, ma anche da noi stessi.

Sin dalla nascita, ognuno di noi costruisce un'immagine di sé e ciò avviene, in origine, all'interno delle relazioni con gli altri significativi. Tale immagine, poi, evolve anche sulla base di tutte le altre relazioni che via via instauriamo durante tutto l'arco della nostra vita.

Dato che impariamo a valutarci per come ci siamo sentiti valutati dagli altri significativi, questa valutazione (che facciamo nostra) influirà sulle nostre scelte relazionali.
Qualora il giudizio che abbiamo sentito di ricevere dovesse avere una valenza prevalentemente negativa, avremo una maggiore probabilità di sviluppare un’𝗶𝗺𝗺𝗮𝗴𝗶𝗻𝗲 𝗻𝗲𝗴𝗮𝘁𝗶𝘃𝗮 𝗱𝗶 𝗻𝗼𝗶 𝘀𝘁𝗲𝘀𝘀𝗶, correndo il rischio di avvicinarci a persone che potrebbero essere più 𝗶𝗻𝗰𝗹𝗶𝗻𝗶 𝗮 𝗰𝗼𝗻𝗳𝗲𝗿𝗺𝗮𝗿𝗲 questa immagine negativa.

Quanti di questi giudizi ci rappresentano?
Il giudizio dell’altro è una 𝘀𝘂𝗮 valutazione, per questo esprime il modo in cui ci vede chi, in quel momento, ci sta giudicando.

Bisogna prenderli/non prenderli in considerazione?
Dipende.

Dobbiamo tenere in considerazione che il giudizio può avere un’𝗮𝗰𝗰𝗲𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗽𝗼𝘀𝗶𝘁𝗶𝘃𝗮, nella misura in cui, 𝘀𝗲 𝗲𝘀𝗽𝗿𝗲𝘀𝘀𝗼 𝗮𝗱𝗲𝗴𝘂𝗮𝘁𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗻𝗲𝗶 𝗺𝗼𝗱𝗶 𝗲 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗲𝗻𝘂𝘁𝗶, rappresenta un feedback su come l’altro ci vede e, qualora lo ritenessimo opportuno, potrebbe rappresentare una ragione per interrogarci su alcuni nostri comportamenti.

Non mettendoci in discussione come persone.

E questo vale anche per chi un giudizio lo esprime: è possibile esprimere giudizi sui comportamenti, gli atteggiamenti, 𝗺𝗮𝗶 sulla persona.

D’altronde, 𝗼𝗴𝗻𝘂𝗻𝗼 𝗱𝗶 𝗻𝗼𝗶 è “𝗹’𝗔𝗹𝘁𝗿𝗼” 𝗱𝗶 𝗾𝘂𝗮𝗹𝗰𝘂𝗻𝗼.

My comfort case

17/11/2023

Il Rotaract Club Pozzallo-Ispica presenta "Una tavola rotonda per: Apprendere la vita attraverso la Death Education", il primo di una serie di incontri che vedranno coinvolte figure professionali di differenti ambiti di studio e di ricerca. La finalità della tavola rotonda è quella di sviluppare un nuovo modello di cultura scolastica e di formazione, che guardano all'inclusività per mezzo del dialogo interdisciplinare e all'arricchimento personale tramite la lettura dei fenomeni contemporanei.

L'incontro di martedì 28 novembre si svilupperà a partire dal concetto di tanatologia, studio che analizza la morte ed il morire sotto più punti di vista.
Appuntamento alle ore 11:00 presso lo Spazio Cultura Meno Assenza di Pozzallo | Ingresso libero fino ad esaurimento posti.

Intervengono:
Maria Angela Gelati - Giornalista & Death Educator;
Concetta Cappello - Docente di Filosofia;
Anna Corallo - Medico Radioterapia ASP Ragusa;
Morena Denaro - Psicologa;
Paolo Catinello - Direttore Ufficio Migrantes Diocesi di Noto.

Introduce: Giuseppe Anthony Di Martino - Vicepresidente Commissione Cultura Distretto Rotaract 2110.




"Vorrei raggiungere il mio equilibrio" è sicuramente tra i desideri maggiormente diffusi tra coloro che sentono una sens...
13/11/2023

"Vorrei raggiungere il mio equilibrio" è sicuramente tra i desideri maggiormente diffusi tra coloro che sentono una sensazione di disagio ad un qualche livello nella loro vita.

In realtà, credo che tutti noi, almeno una volta, abbiamo pensato/desiderato raggiungerlo.

Molto spesso, questo desiderio porta con sé l'aspettativa che l'equilibrio a cui ambire sia un equilibrio statico. Quindi, ci facciamo un'idea più o meno specifica di quella che dovrebbe essere la condizione di equilibrio che va bene per noi e poi pensiamo che, facendo tutta una serie di cose, arriviamo a raggiungere tale condizione.
Non solo: tendiamo a pensare che, una volta raggiunto, tale equilibrio sia determinato una volta per tutte.
Che rimanga immutato ed immutabile.

Allora, possiamo passare al desiderio/obiettivo successivo.
Un nuovo desiderio, nuove mete, originano da una tensione e generano tensione. Pertanto, ci inducono facilmente a sentire di aver perso o di star perdendo l'equilibrio raggiunto. E ci fanno andare in crisi, portandoci a pensare che ciò che abbiamo fatto fin lì non sia servito a molto.

E, invece, no! Non è così.
Dobbiamo solo provare a uscire dalla prospettiva che il nostro benessere origini dal raggiungimento di un equilibrio statico e determinato in assoluto.

Un funambolo si mantiene in equilibrio sulla corda solo continuando ad oscillare.
E noi, siamo funamboli sulla corda della vita.

È proprio questo che vuol dire stare in equilibrio.
Vuol dire muoversi continuamente,
oscillare continuamente.
Cambiare continuamente.

Per mantenere la nostra condizione di equilibrio occorre che essa muti,
continuamente.

Laddove ciò non fosse possibile, origina il malessere.

PossibilitàOgni giorno è una possibilità.È un contenitore di possibilità. Tuttavia, spesso, corriamo il rischio di riman...
30/10/2023

Possibilità
Ogni giorno è una possibilità.
È un contenitore di possibilità.

Tuttavia, spesso, corriamo il rischio di rimanere intrappolati nel loop del "poteva essere", nel "avrei potuto farlo".

Attenzione, non dico che non debba esserci questo pensiero.
Credo, però, che possa essere utile se inserito in una prospettiva diversa.

Non è quello che non abbiamo fatto a renderci infelici.
Quando il nostro sguardo rimane fisso lì, lo siamo.

Guardare solo a quello che poteva essere e dare a quel "poteva essere" tutta la responsabilità di ciò che ora non possiamo o non riusciamo a fare, ci intrappola nella condizione di camminare con lo sguardo volto indietro.

Sapete già quanto è difficile camminare in avanti guardando indietro.
Il rischio di inciampare, cadere, farsi male è altissimo.

Siamo fatti per guardare avanti.
Abbiamo anche la possibilità di fermarci e guardare indietro, sì.
Ma attenzione a non fare entrambe le cose contemporaneamente.

Se senti il bisogno di voltarti indietro, fallo.
Di stare male per ciò che non è stato, fallo.

Ma prova a trovare lì la spinta per tornare a camminare dirigendo lo sguardo su nuovi passi e su nuove mete.

Mi capita spesso di incontrare persone, dentro e fuori la stanza di terapia, che stanno male, soffrono, per ragioni di c...
23/10/2023

Mi capita spesso di incontrare persone, dentro e fuori la stanza di terapia, che stanno male, soffrono, per ragioni di cui possono conoscere o meno l’origine, ma con in comune una tendenza a svalutare il proprio vissuto.
Le frasi che più comunemente sento dire loro è “ci sono problemi ben più gravi”, “queste sono sciocchezze”, “ci sono persone che stanno peggio”.
Questo può rappresentare, da un lato, un atteggiamento appreso all’interno del proprio contesto relazionale di appartenenza in cui, per varie ragioni, non c’è spazio, modo e tempo per essere ascoltati come si necessiterebbe; dall’altro costituisce una resistenza rispetto alla presa di coscienza della propria sofferenza.
Si tende, infatti, a procrastinare il momento in cui si decide di prendersi cura fattivamente del proprio malessere, che tenderà ad aumentare di intensità e/o a ripresentarsi ciclicamente.
Nel frattempo, sopraggiungono altre difficoltà legate al procedere della vita che, con buone probabilità, ne accrescono il carico.

È vero che per ognuno esiste un lasso di tempo per prendere coscienza della propria sofferenza e ne esiste uno, altrettanto personale e privato, per decidere se fare qualcosa.
E un altro per capire cosa.

E poi, esiste il tempo di tentare e di sbagliare.
Quello di sperare e quello di cercare.
Di trovare e di lottare.
Di chiedere, di chiedersi, di dare e di darsi.
Altre risposte o, a volte, altre domande.

Quelle giuste?
Si, forse. Ma mai in assoluto.

“Solo” quelle giuste per sé.

“Era bello quando mi svegliavo la mattina e la prima cosa che facevo non era guardare il cellulare”. Questa è la rispost...
16/10/2023

“Era bello quando mi svegliavo la mattina e la prima cosa che facevo non era guardare il cellulare”.
Questa è la risposta di una di voi ad un sondaggio di qualche tempo fa sul sentirsi appartenenti al "team pre-social" o al "team social".
Questo tema mi ha vista coinvolta in prima persona: è da diverso tempo che provo a tornare qui per fare una cosa che in realtà mi piace molto fare, cioè, parlare di psicologia. MA, con l’arrivo dell’estate, il carico di stress (dovuto ad un sovraccarico lavorativo), si è portato via con sé non solo la mia creatività, ma anche la voglia e la curiosità di leggere o interagire coi post dei colleghi com’ero solita fare e questo pian piano si è ampliato anche a qualsiasi genere di contenuto. Persino le chat Whatsapp sono diventate intollerabili. E il mio smartphone.
Il “caso” ha voluto che, durante tutto questo periodo, mi sia capitato di confrontarmi con molte persone che mi parlavano di questo stesso senso di stanchezza che io avevo sperimentato. Qualcuno mi ha detto di aver deciso di disinstallare le app dal cellulare pur di disintossicarsi.
L’affaticamento causato dalla continua (sovra)esposizione alla socialità online che, a differenza di quella offline, è sempre lì alla portata di un pollice, può avere dei risvolti poco piacevoli sulla nostra salute mentale. Possiamo andare incontro ad un vero e proprio esaurimento delle risorse ed energie personali, al punto tale che la fatica può divenire pervasiva della nostra vita (offline).
Scrollare lo schermo come fosse un automatismo, può far perdere il senso del tempo, con conseguente senso di colpa per aver perso la possibilità di fare altro. Per non parlare del fatto che la sovraesposizione a notizie (soprattutto negative) può influire, nel lungo termine, sul nostro tono dell’umore. E il continuo confronto con le vite degli altri, quello che fanno, i posti che frequentano, la loro “felicità”? Senso di inadeguatezza, frustrazione, ansia.

Aggiorna, aggiorna, aggiorna.
Intanto, la vita dentro scorre, ma anche fuori.
Impariamo a tutelarci.

Chiudo la porta dello studio.Ci tornerò tra un paio di settimane. Prima di andare via, controllo di aver lasciato tutto ...
04/08/2023

Chiudo la porta dello studio.
Ci tornerò tra un paio di settimane.
Prima di andare via, controllo di aver lasciato tutto al suo posto perché, quando si torna, avere la certezza che sia tutto come lo si è lasciato, dà un certo senso di stabilità e sicurezza.
Questo vale anche per i pazienti.

Ci si separa per ritrovarsi con la certezza che l'altro, il terapeuta, sia ancora lì.
Stesso posto, stessa poltrona.
Stessa presenza.

Sta anche in questo il potere riparativo della relazione terapeutica.

Adesso vado, mi godo finalmente due settimane di pausa di cui ho fortemente bisogno.
Quest'anno è stato un anno molto impegnato e impegnativo.
Provo a ricaricarmi per ripartire.

Condivido un pensiero che, spesso, è stato il mio e su cui ho lavorato e continuo a lavorare e con cui ho terminato oggi la mia giornata clinica:
staccare non significa smettere di essere efficienti, vuol dire recuperare le energie per continuare ad esserlo.

Mostrarsi estremamente disponibili porta con sé delle insidie. Le prime che mi vengono in mente sono 1️⃣ è più facile at...
21/06/2023

Mostrarsi estremamente disponibili porta con sé delle insidie.
Le prime che mi vengono in mente sono
1️⃣ è più facile attrarre persone disposte più a prendere che a dare nella relazione
2️⃣ è più facile mettersi nella posizione di aspettarsi il riconoscimento dell'altro ma, ahimè, non lo garantisce.
E non perché l'altro abbia cattive intenzioni. Spesso, non si rende nemmeno conto. Per questo è nostra responsabilità tutelarci, proteggerci.

Quando non arriva quel riconoscimento tanto atteso, ci si potrebbe sentire frustrati e arrabbiati e tristi.
Anche perché, diciamocelo, se anche quel riconoscimento dovesse arrivare, difficilmente lo si sente proporzionato alla mole di energia e impegno spesi per gli altri.

Tuttavia, per alcuni, questo è l'unico modo possibile (quello che hanno imparato) di (provare) a rendersi visibili.

È a quel punto, probabilmente, che l'estrema disponibilità non è più tanto rivolta all'altro, quanto al sé: "Io mi rendo visibile all'altro aiutandolo (anche oltre ogni mio limite e senza alcun rispetto dei miei confini personali) e sento di avere valore nella misura in cui l'altro me lo riconosce".

E se l'altro non lo facesse?

Il grosso rischio è quello di non riconoscermi io stess*  il mio valore perché, nel frattempo, a forza di capire come far felici gli altri, ho perso me.

La solitudine è controversa. C'è chi la cerca perché fonte di riflessione, di contatto con sé, quindi, col mondo. E c'è ...
15/05/2023

La solitudine è controversa.
C'è chi la cerca perché fonte di riflessione, di contatto con sé, quindi, col mondo.
E c'è chi la evita come la peste riempiendosi di tutto, quindi di niente.
Ai secondi, più che ai primi, appartiene il senso di solitudine che è diverso dalla solitudine in sé.
Implica l'isolamento.

Ci si può sentire soli anche in mezzo a tanta gente, anche se si hanno parenti e amici, anche se si ha un lavoro, dei figli, una relazione.
Ci si può sentire soli in qualsiasi momento, anche quando apparentemente hai tutto e non ti manca nulla.
Ma, il tutto di cui parlo non è il tutto per tutti.

A volte, ci si sente soli perché ci si sente "scollati" da sé. Si cerca qualcosa che non si sa cosa sia, o qualcuno che non si sa chi sia.
Allora, alla chiamata senza risposta si è costretti a stare con sé, a sentire la propria voce, o il silenzio.
Urlare senza che qualcuno ti senta, ti costringe a sentire l'eco di quell'urlo che rimbomba tra le pareti del buco vuoto che si è fatto spazio nello stomaco.
E lo senti, ancora e ancora.

Ti senti?
Vuoto e angosciato.
E quel buco è nero e buio e  pensi di non riuscire a trovare un modo per venirne fuori, per salire in cima, aggrapparti e uscire.

Ti senti?

Forse no.

Non ti senti perchè sei così concentrato a tappare quel buco, a riempire il vuoto, da non accorgerti che ci potresti essere tu con te.

Ammesso che ritenga la tua stessa compagnia degna di nota.
Ammesso che tu ritenga di aver valore al di là di quanto ti stia adoperando.
Al di là di quello che pensano o dicono gli altri di te.
Come a Natale e ai compleanni dove tutti si aspettano che tu sia felice e gioioso, ma tu dove sei?

Perché la solitudine può diventare una presenza ingombrante in assenza di sé.

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Ispica
97014

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15:00 - 20:00
Martedì 09:00 - 13:00
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Mercoledì 09:00 - 13:00
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Giovedì 09:00 - 13:00
15:00 - 20:00
Venerdì 09:00 - 13:00
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Sabato 09:00 - 13:00

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