12/09/2020
Di Fausto Bernardini
NOTTE AL CASTELLO
Dopo cena, il Comandante di Gruppo si chiuse nel suo ufficio. Era un uomo di poche parole, che riusciva a trasmettere ai giovani la sua grande passione per il volo, ma per il resto era impenetrabile. Ligio al dovere, sfruttava anche i tempi morti del servizio d’allarme per compilare note caratteristiche o per controllare l’addestramento dei suoi piloti. Il gregario, un combat ready appena fatto, quella notte montava per la seconda volta “in 5”. Forse non era solo un caso che fosse di nuovo insieme a Pluto Uno. Probabilmente, il Colonnello non voleva ancora affidarlo a un capo coppia più giovane.
Un armiere, entrando al Gruppo, disse di aver visto il Comandante uscire dall’ufficio per andare vicino agli shelter ad osservare il cielo.
“Difficilmente, questa notte, ci faranno partire. Mi sono preso questo turno d’allarme per lasciare gli altri piloti alle loro famiglie. Che vadano a divertirsi alla festa e al cenone di fine anno, organizzato dalla Calotta, al Circolo Ufficiali! E poi… tutto sommato, se ci facessero partire sarebbe un bel capodanno supersonico, in mezzo a questa miriade di stelle. Spero solo che non ci spediscano verso il Centro Italia, dove piove e nevica, con cumulonembi affogati nelle nuvole.”
Gli specialisti e il giovane tenente ammazzavano il tempo guardando la televisione o giocando a carte. Un cagnolino, la mascotte del Gruppo, dormiva accucciato vicino ai piedi del Capo Linea, anch’egli anzianissimo, che la pensava pressappoco come il Comandante: aveva preso il turno di un giovane tecnico per lasciarlo libero di festeggiare l’arrivo del nuovo anno. Tutto era pace, in attesa della fine del millennio.
D’improvviso, la pace che imperava lontano dalle musiche dei Circoli, si sbriciolò con l’urlo lancinante della sirena dello scramble. Ciò che sembrava addormentato si svegliò di colpo, passando dalla calma all’impeto più assurdo. Dal dormiveglia all’attività frenetica. Il tutto, come diretto da un invisibile mago, che muovendo la sua bacchetta alle note di quella strampalata marcia di guerra, imponeva a piloti e tecnici di ubbidire. Apparentemente senza alcun ragionamento, ognuno iniziò a correre. I piloti s’imbarcarono sulla “campagnola” che li portava ai velivoli. Il cagnolino, eccitato dalle stesse note della sirena abbaiava, correndo anch’egli verso gli aeroplani. Tecnici, armieri, crew chief, autisti; tutti si mossero, come percorrendo invisibili binari. Pochi attimi e i due aviatori s’infilarono i giubbotti di salvataggio, che li attendevano appesi ai lunghi tubi di pitot dei rispettivi F104, poi d’un balzo furono a bordo. Alzarono le braccia e giunsero magicamente le cinghie che li assicurarono ai seggiolini eiettabili. Erano i crew chief a passargliele, per poi stringerle forte sulle loro spalle e sull’addome. Il casco, già collegato ai tubi dell’ossigeno e ai cavetti radio, bastava solo calzarlo, poi ruotare in alto la mano affinché il compressore gettasse aria nei condotti del J79. Entrambi gli starter inseriti, manetta idle… stop all’aria compressa. I due F104, precisi come orologi, raggiunsero il minimo regime. Ora erano pronti.
- Pluto check in! – chiamò il Comandante.
- Due! – rispose asciutto il giovane gregario.
- Istrana, Hotel Lima, two ship on scramble, taxy.
- Hotel Lima, Istrana, clear. Runway 26, Quebec November Hotel 30.00.
I due Cacciatori di Stelle sfilarono veloci nel buio, lampeggiando le minuscole luci davanti ai tecnici, che li avrebbero attesi ansiosi. Non avrebbero aperto il panettone e nemmeno sorseggiato una goccia di spumante, finché i piloti fossero tornati di nuovo con loro.
- Istrana Hotel Lima line up and take off. One pins, canopy, swivel.
- Two, pins canopy, swivel.
- Hotel Lima clear Chioggia 7, 37 angels. After take off contact Pedro, on 244.6. Clear to line up and take off.
Entrambi i piloti fecero mentalmente gli ultimissimi controlli, prima di lasciare i freni. “Pitot, Nav, Stab” poi l’aereo del leader illuminò la notte con la fiamma arancione del post bruciatore. Alcuni secondi e il gregario lasciò i freni, illuminando anch’egli la sua parte di notte. Seguì il suo “Capo”, che si allontanava veloce. Cinque minuti dopo il suono della sirena, i due caccia puntavano il cielo stellato, e subito il gregario tranquillizzò il leader confermandogli che lo seguiva sul radar.
- Hotel Lima number two, tide on radar.
“E bravo il ragazzo, che non molla il suo leader!” Pensò Pluto uno.
- Hotel Lima switch 244.6
- 244.6
- Good evening, Pedro. Hotel Lima crossing ten thousand feet, climb to 37 angels.
- Hotel Lima, Pedro, reaching 37 angels insert heading 170°. Clear supersonic.
I due starfighter, sul mare Adriatico, superarono la barriera del suono a 11.000 metri di quota, e dopo una manciata di minuti avevano già raggiunto il punto d’inizio discesa.
- Hotel Lima, insert heading 185° and descend at FL 170. Target at your eleven ‘o clock, 70 nautical miles, zombie. Switch Pioppo Radar on 242.7.
- Hotel Lima, copy. Leaving 370 to 170. Heading 185. Switch with Pioppo on 242.7.
Quando i due caccia livellarono il volo alla quota assegnata, erano dentro spesse nubi che di tanto in tanto lasciavano intravedere fiochi bagliori davanti ai tubi di pitot. Bagliori che presagivano poco di buono. Il leader tentò il contatto radio chiedendo al radar se nel suo schermo vedesse dei claters, ma non ricevette alcuna risposta. Chiese allora al gregario se era tutto ok, e se lui riceveva il radar.
- Comandante, io ricevo solo lei e… accidenti… la sua traccia è scomparsa dal mio radar di bordo.
Dopo una serie di tentativi di contatto con Pioppo, il Comandante decise:
- Due da uno, viriamo a sinistra, prua 360° e saliamo on top. Davanti a noi ci sono dei grossi temporali. Torniamo indietro.
Ma in quel momento l’aereo del Tenente, non più in contatto col leader, entrò in una nube con forte attività temporalesca. Colpito da enormi chicchi di grandine, sballottato come una foglia nella tempesta, il pilota fece di tutto per eseguire l’ordine dato dal Comandante, ma un fulmine lo colpì, asportando al suo aereo il radome ed il tubo di pitot. Poi il 104 impazzì. Senza più indicazioni di quota e di velocità, nella più severa turbolenza, che gli fece sb****re più volte la testa contro il tettuccio, terrorizzato dalla tempesta di grandine, pensò che da un momento all’altro avrebbe impattato il suolo. Se non sbagliava, doveva essere sui monti più alti dell’Appennino Toscano. Nella speranza di un miracolo che gli facesse vedere le luci di qualche paese ebbe un attimo di esitazione, ma anche quell’attimo terminò. Afferrò la maniglia secondaria del Martin Backer, quella che spunta appena sotto la grossa fibbia delle cinghie, e la estrasse con quanta forza aveva. A causa della dilatazione temporale, che in certi momenti drammatici spesso accade, pensò che il sistema automatico del seggiolino eiettabile non avesse funzionato, ma immediatamente giunse un forte colpo sotto il sedere e sentì l’odore acre del fumo dei razzi entrargli nei polmoni. Poi ebbe lo schiaffo violentissimo dell’aria e si trovò a cappottare nel cielo che, per fortuna, non era più denso di grandine ma soltanto di neve. La forte accelerazione imposta dal seggiolino e la sberla degli ottocento chilometri l’ora gli fecero perdere i sensi. Ritornò in sé quando sentì ti**re le cinghie del paracadute, che si era aperto.
Gli sembrò di essere ancora alto nel cielo e la discesa, dentro e fuori dalle nuvole, gli apparve molto lenta. Ebbe tempo di guardarsi intorno e di ringraziare il Cielo per essere uscito vivo da quell’inferno. Pensò a come avrebbe preso terra, e se si sarebbe ferito cadendo nel buio dei boschi. Una spalla gli faceva male, forse l’aveva urtata nel montante del tettuccio mentre veniva catapultato fuori dal suo aereo. Un raggruppamento di luci, vicino al punto dove stimava l’atterraggio, carpì la sua attenzione. Non erano luci elettriche, ma tanti fuochi che delineavano un perimetro, o qualcosa del genere. Improvvisamente, fu investito dai grossi rami di una pianta e ricevette alcuni colpi in testa, attutiti dal casco che ancora calzava. Gridò di dolore. La sua corsa verso terra era terminata, appeso a un paracadute rimasto incastrato tra i rami di una quercia, con i piedi a meno di un metro dal suolo. Nel buio, però, il Tenente non riuscì a valutare la sua altezza da terra. Si sgonfiò di tutta la tensione accumulata, per un attimo pensò con tenerezza al suo F104 e sperò che cadendo non avesse combinato grossi guai. Poi si lasciò andare, in attesa che alcune voci lontane prendessero forma e lo tirassero giù. Tra la f***a vegetazione osservò le fiamme di alcune torce avvicinarsi, poi passare oltre. Temendo di non essere visto, cominciò a gridare alla volta di quelle torce. Illuminate dai loro stessi fuochi, una quindicina di persone in costume medioevale, con armature leggere, spade e picche, si diressero verso lui. Alcune di esse non indossavano l’elmo e tra quelle facce barbute risaltava il volto di una giovane donna in armatura. Alla vista del pilota, il gruppo si fermò esterrefatto: ai loro occhi una “bestia”, o peggio ancora qualcosa di ignoto, con indosso un elmo che gli copriva per intero la testa e il viso, penzolava da una quercia. Le mani guantate, il giubbotto di salvataggio, i cavi del paracadute, le fibbie e gli stivali da volo contribuirono a alimentare la diffidenza. Una lunga picca gli fu poggiata sul petto, e il Tenente esclamò:
- Va bene che state festeggiando, ma io ho appena affrontato un lancio da un velivolo da caccia. Aiutatemi a scendere da qui!
Un mormorìo si alzò dal gruppetto. Paura, e volontà di uccidere l’oggetto che alimentava la loro paura, si mescolarono in quegli strani grugniti. Parole che il giovane riuscì a comprendere solo in minima parte e gli ricordarono i tempi del liceo. Una specie di strano latino, quasi completamente incomprensibile. Quando dal luccichio delle armi comprese che forse non si trovava nel bel mezzo di una festa di fine anno, si chiese dov’era finito e pensò che l’ultima volta che aveva osservato il TACAN si trovava all’incirca sulla radiale 130 a 70/80 chilometri a sud est di Firenze.
La donna prese il comando della situazione, intimando di allontanare la lancia. Estrasse la spada che gli penzolava di lato all’armatura e la poggiò nell’unico lembo di pelle visibile di quello strano individuo: sotto il pomo d’Adamo, dove si era sfilato il foulard rosso a puntini bianchi. Parlò a lungo, ma il succo di quanto il Tenente riuscì a comprendere fu solo questo:
- Chi sei? Da dove vieni? Che intenzioni hai? I miei soldati ti uccideranno se non rispondi a queste domande.
Il pilota pensò di essere capitato in una gabbia di matti, quelli che si vestono da militari e vanno per i boschi a combattere, con tanto di mitra a piombini di gomma e bazooka. Ma questi erano particolari. Vestivano come nel medioevo ed erano del tutto rincitrulliti, se non avevano ancora compreso la situazione. La donna, con la punta della spada sfilò il foulard e lo prese in mano.
- Dal castello abbiamo sentito un grande boato a poca distanza da qui, e siamo accorsi a vedere cos’è stato.
- È stato il mio aeroplano! Mi sono lanciato col seggiolino eiettabile e lui chissà dov’è finito. Ma ora, basta con gli scherzi. Sono ferito a una spalla e vi prego di farmi scendere da qui.
Poi, intuendo dall’altezza della torcia che aveva di fronte di essere vicino al suolo, con un pugno sulla scatola di sgancio rapido si liberò dal paracadute e cadde in ginocchio davanti a lei che, per non ferirlo, rapida allontanò la spada dal suo collo. In un attimo fu accerchiato. Vide una decina di lance davanti agli occhi, pronte a colpirlo. Ma la donna, che aveva un ruolo importante, fece cenno ai suoi uomini di metter giù le armi. Il Tenente sganciò la maschera d’ossigeno e si tolse il casco. Nel vederlo in viso, la ragazza ebbe un lieve sorriso, subito represso. Dalle parole che rivolse ai suoi uomini si comprese che lo avrebbero portato a un castello, ubicato nelle vicinanze. Partirono a piedi lungo aspri sentieri innevati. Con difficoltà provò a parlarle, senza ricevere mai alcuna risposta. Dietro di loro, i soldati gridavano e bestemmiavano, ma dal tono si comprendeva l’eccitazione bestiale nei confronti della preda catturata. L’avrebbero ucciso all’istante, se la giovane non glie l’avesse impedito.
Giunti al castello, il giovane fu scaraventato in una cella con poca paglia sul pavimento di terra. Prima che la porta si chiudesse, una guardia gli lasciò una ciotola d’acqua, poi per qualche ora non si vide più nessuno.
Fu la donna guerriero a fermarsi davanti alle robuste sbarre. Si era tolta l’armatura e sopra una tunica di lana grezza indossava la cotta di maglia metallica, col cappuccio appoggiato sulle spalle, che lasciava vedere una folta chioma nera. Si sedette su uno sgabello di fronte a lui, e gli disse:
- Tra poco verrà mio padre. Vuol vederti.
Parlò lentamente per farsi comprendere meglio. Così, i due giovani iniziarono un semplice colloquio.
- Mio padre è il Conte di questi territori ed ha potere assoluto. I soldati gli hanno detto che vieni dalla luna e il drago che ti ha portato è caduto, lanciando fiamme altissime, aldilà della collina dove ti abbiamo trovato.
- Ma quale drago? Io sono un pilota e stavo volando su un F104, prima che una tempesta mi abbattesse. Ma voi chi siete, che state festeggiando l’arrivo del nuovo anno terrorizzando la gente?
La ragazza comprese qualcosa, a proposito del nuovo anno, e tentò di rispondere.
- Il nostro astronomo, in base ai suoi calcoli, ha detto che sono passati mille anni dalla nascita di Cristo, e questa notte ci sarà la fine del mondo. Quando abbiamo sentito quel boato e poi abbiamo visto te, cavaliere che viene dalla luna per portare la morte, puoi immaginare il terrore che ci ha angosciati.
- Vuoi dirmi che pensate di essere nell’anno 1000 dopo Cristo?
- E come no? Siamo appena entrati nell’anno 1000 e spero che la tua missione di morte sia fallita.
- Ascoltami… come ti chiami?
- Matilde. Mio padre Manfredo è il vassallo di questo feudo. E tu, come ti chiami?
- Chiamami… - ci pensò un po’ prima di rispondere – chiamami Tenente. Sarà facile da ricordare.
- Bene, Tenente. Vuoi dirmi da dove arrivi.
- Posso dirti da dove non arrivo. Non arrivo dalla luna.
Il giovane cominciò a pensare di essere entrato in una magica, tragica realtà, ed evitò di dare spiegazioni sul suo vero stato. Lettore, in età scolare, di romanzi di fantascienza, a suo tempo, sfogliando, gli erano capitati racconti di particolari situazioni atmosferiche, che aprivano varchi temporali; però, sia allora che adesso non credeva.
Poco dopo giunse il Conte, che intimò alla figlia di allontanarsi dalle sbarre della cella. Non chiese niente al tenente. Lo guardò curioso per qualche minuto, poi si rivolse a Matilde, indicando lui e il suo equipaggiamento di volo:
- Domani, così vestito, sarà portato incatenato in processione, dove verrà cantato il Te Deum, per ringraziare il Signore dello scampato pericolo. Poi ci rimetteremo al volere del popolo e al mio. Se vorremo la sua morte, sarà giustiziato e tu presiederai l’esecuzione. Altrimenti sarà lasciato al suo destino, lontano da qui. Nella speranza che i suoi compagni, non vedendolo tornare, pensino che si sia perso tra le stelle.
Infine, Manfredo prese il braccio di Matilde e la portò con sé.
Le ore che trascorsero indussero il giovane a molteplici riflessioni. L’idea del varco temporale gli sembrava assurda, ma era l’unica che aveva un senso, insieme quella di un gruppo di matti da legare che giocavano a fare i re e le regine. Cercò di pensare alla possibilità di evadere, ma le sbarre erano robuste e non ci sarebbe mai riuscito. Stava per giungere la prima alba del nuovo millennio, quando Matilde aprì le sbarre della cella ed entrò, incappucciata su un lungo mantello nero. Il giovane la guardò senza alcun segno di emozione in viso ed aspettò che fosse lei a parlare.
- Ho autorizzato le guardie ad andare a bere un bicchiere di vino alla taverna. Se vuoi, posso farti scappare, ma col freddo che fa avresti poche possibilità di sopravvivere più di un giorno. Inoltre, fuori c’è una tempesta di neve. Se sei deciso a fuggire, prendi questa coperta, che ti riparerà dal freddo.
- Ci sono delle alternative? Ho visto le facce dei tuoi soldati e domani, insieme al popolo, mi vorranno morto.
- Convincerò mio padre a non farti uccidere.
- Preferisco fuggire.
- Allora, prendi questa coltre e abbi cura di te.
Poi estrasse da sotto il mantello una piccola ampolla di vetro dicendo:
- In questa boccetta c’è un liquore che fa il nostro mago - astronomo con le erbe del bosco. È molto buono e forte. Bevine, ti aiuterà a vincere il freddo durante la fuga.
Infine, prese una collana di cuoio con appesa una croce d’argento. Lo guardò negli occhi ed ebbe solo la forza di dirgli:
- Buona fortuna. Questa croce ti proteggerà.
Si assicurò che non fossero rientrate le guardie e lo invitò nuovamente a bere dall’ampolla. Il Tenente la ringraziò, e tirò un lungo sorso. Gli si arrossirono gli occhi e sentì le gambe vacillare. Nel tentativo di abbracciarla scivolò per terra…
L’equipaggio della missione “Rescue India Lima Alfa” decollò da Istrana in piena notte, a bordo di un AB 212, per giungere prima dell’alba sul luogo dove il radar aveva visto l’ultima traccia dell’F104. Erano tutti membri della “Nobile Squadriglia”, i Boxer, gli amici stretti dei Pluti. Inutile dire che a bordo regnava un pesante silenzio. Solo raramente si udiva qualche commento, ma nessuno osava fare pronostici. Solo speranze nei cuori dei Boxer.
Il Comandante della base, quando era venuto a conoscenza dell’incidente di volo, aveva interrotto la festa danzante. Era quasi mezzanotte e pochi minuti dopo ci fu lo scambio degli auguri. Poi nessuno ebbe più voglia di restare e lentamente i circoli si svuotarono.
La Squadriglia era in prontezza SAR e i due piloti si recarono al BOC per ricevere notizie utili alla ricerca, che sarebbe iniziata al più presto. Finalmente l’RCC li chiamò sulla hot-line dandogli le coordinate dell’ultima traccia sul radar di Pioppo. Il Comandante di Squadriglia, insieme al suo “Secondo”, calcolarono l’orario di decollo utile per giungere in zona alle prime luci dell’alba, poi decise di partire con un’ulteriore ora di anticipo. Chissà che nel buio fosse apparsa la luce di un razzo minolux. Sarebbe stato il più bel regalo del nuovo millennio. Giunsero in zona con molte difficoltà. In pianura pioveva e sull’Appennino nevicava, ma i fiocchi di neve ghiacciata, fortunatamente, non restando attaccati all’elicottero gli permisero l’inizio della ricerca.
Purtroppo, nessuna luce di un razzo di salvataggio li raggiunse, e quando apparvero le prime luci dell’alba tutto l’equipaggio aguzzò gli occhi per frugare fra gli alberi. La ricerca fu breve. Improvviso, l’urlo in cuffia del giovane aerosoccorritore assordì gli altri membri dell’equipaggio,
- Comandante! Comandante! Ad ore 7 cinquecento metri.
- Spiegati meglio. – intanto aveva iniziato a virare a sinistra.
- Un uomo sdraiato sulla neve, ai piedi di un rudere. Forse i resti di un castello.
- In vista!
- Lo vedo anch’io! – disse il Secondo.
- Comandante, se mi autorizza apro lo sportellone per guidarla. – chiese l’Operatore di Bordo.
- Autorizzato. Non c’è spazio sufficiente per atterrare, guidami per un verricello. Aerosoccorritore, imbragati per scendere con la barella. Accendi la radio portatile e quando sei al suolo informaci sulle condizioni dell’uomo. O.B., avanti con la radioguida.
Il Secondo Pilota, dopo qualche istante, disse che l’incidentato vestiva la tuta di volo e il giubbotto di salvataggio, quindi non poteva essere altri che lui. In elicottero s’accese l’euforia e ad alimentarla furono le parole dello specialista:
- Il casco è a fianco del pilota. Se è riuscito a sfilarlo significa che è vivo!
Il cuore dell’anziano Comandante ebbe un fremito. Ripensò per un attimo a tutte le volte che anch’egli avrebbe potuto avere bisogno di un aiuto dal cielo. Poi si concentrò sulle parole dell’Operatore di Bordo, che lo guidò sulla verticale del Tenente.
- Fuori l’Aerosoccorritore! Iniziamo il recupero.
- Cinque metri da terra… quattro… tre… due… Aerosoccorritore al suolo – disse il tecnico.
I pochi minuti in attesa di comunicazioni furono lunghissimi. Poi la radio dapprima gracchiò, infine forte e chiaro disse:
- È vivo! Preparate le coperte per avvolgerlo, è quasi congelato. È addirittura riuscito a farfugliare qualche parola. Ora lo assicuro alla barella e poi saliamo su.
Appena a bordo ci fu un'esultanza. Ognuno faceva domande, ma il Tenente aveva gli occhi sofferenti a si lasciò avvolgere nelle coperte, sdraiandosi sul pavimento metallico dell’elicottero. Pensò che fosse meglio non menzionare la notte al castello. Tanto più che forse era stato solo un incubo. Il Comandante, viste le sue condizioni, chiese se reputava opportuno essere portato in ospedale ad Arezzo, distante pochi chilometri da lì, ma il Tenente rispose che, escluso il dolore a una spalla, le sue condizioni potevano considerarsi buone. Quindi di essere in grado di proseguire fino ad Istrana. Poi chiuse gli occhi e ripensò a quell’incubo. Con le vibrazioni dell’elicottero sentì scivolare sotto la tuta qualcosa di metallico. Egli non indossava mai catenine o bracciali, e si incuriosì. Mise la mano dentro la tuta da volo ed estrasse un crocefisso d’argento, legato a un sottile nastro di cuoio.