L'autobus dell'ORIENTAMENTO

L'autobus dell'ORIENTAMENTO Raffaella Madarena Oratorio don Bosco Via Roma 138 La Spezia 0187714790 / 335135322 fax 0187715806

Cari amici
Siamo felici di poter comunicare che l’Oratorio don Bosco, socio federato della Federazione SCS/CNOS Salesiani per il Sociale, ha fatto un accordo con Formimpresa Liguria che prevede l’apertura presso l’Oratorio di uno sportello orientativo che può fornire le informazioni ed effettuare le iscrizioni ai percorsi triennali e formazione e corsi biennali di formazione per i giovani tra i 14 ed i 18 anni nonché corsi annuali per i giovani ultradiciottenni, realizzati da Formimpresa Liguria.

29/09/2020

❓Quanto è attuale e attuabile il richiamo di Don Bosco all’amorevolezza? In che senso il lavoro educativo può prevedere l’amore e quanto questo può essere una risorsa o un problema? Che rapporto c’è tra noi come persone, con un carattere, reazioni emotive, valori, e noi come educatori? Cosa significa essere con i ?
Don Bosco propone di risolvere in modo semplice una questione complessa e difficile, ovvero il rapporto affettivo tra educatore e minori: questo deve essere animato da , ovvero l’educatore deve amare i giovani; non solo, ma i giovani devono conoscere di essere amati.
L’amore deve essere trasmesso, testimoniato, come tratto trasversale di ogni condotta educativa: un amore “effettivo” che superi un amore semplicemente “affettivo”.
Don Bosco ha anche parlato di uno stile educativo caratterizzato dall’equilibrio tra fermezza e amorevolezza, in cui è importante non esasperare i ragazzi con le richieste, e di puntare piuttosto sulla coerenza e sulla moltiplicazione delle “occasioni” educative, privilegiando i temi della testimonianza, della saggezza e della benevolenza.
L’amore come principe dell’educazione: “Uno sguardo poco amorevole su alcuni produce maggior effetto di uno schiaffo. La lode, quando una cosa è ben fatta, o il rimprovero, in caso di trascuratezza, sono già un premio o una punizione”. “La famigliarità porta amore, e l'amore porta confidenza. Ciò è che apre i cuori e i giovani palesano tutto senza timore ai maestri, agli assistenti ed ai Superiori. Diventano schietti in confessione e fuor di confessione e si prestano docili a tutto ciò che vuol comandare colui dal quale sono certi di essere amati”.
L’amore per i giovani è il principio fondamentale della , soprattutto per quelli più bisognosi, dove il bisogno oggi significa mancanza di valori, di affetto, di interessi, di possibilità, di relazioni vere e costruttive.
Un’ulteriore e non scontata affermazione di Don Bosco riguarda il bisogno di amore come appartenente sia minori, sia agli educatori, che solo per amore e con l’amore possono affrontare la difficile scelta dell’impegno educativo. Don Bosco afferma: “chi sa di essere amato ama e chi è amato ottiene tutto specialmente dai giovani. Questa confidenza mette una corrente elettrica fra i giovani ed i Superiori. I cuori si aprono e fanno conoscere i loro bisogni e palesano i loro difetti. Questo amore fa sopportare ai Superiori le fatiche, le noie, le ingratitudini, i disturbi, le mancanze, le negligenze dei giovanetti”.
La tesi di Don Bosco, apparentemente semplice, pone delle questioni molto difficili. La libera scelta di un educatore di dedicarsi ai minori in difficoltà, ma soprattutto la scelta di vita di chi si fa salesiano e intraprende un cammino religioso, senza secondi fini se non il dedicarsi agli altri, ha alla base l’amore per i giovani. Solo l’amore e il dono della propria vita può motivare a rinunciare a sé per seguire una missione e una vocazione; sembra persino scontato sottolineare che nell’azione educativa occorre amare i giovani, perché tale amore è la premessa minima e necessaria di una scelta totalizzante compiuta dai salesiani.
Parlando di amore necessario, c’è quindi da chiedersi di che amore parli Don Bosco: di un sentimento (necessario) o della necessità di dimostrarlo in modo comprensibile ai giovani? Un’altra domanda ci suscita il messaggio di Don Bosco: l’amore può essere prescritto? Può essere invocato, richiamato, richiesto, essendo un affetto? L’amore come moto dell’anima esiste solo se del tutto libero e precede il proprio comportamento, che ne diventa espressione; non si dà un amore perché richiesto da una data situazione, anche se fondamentale come l’educazione, l’amore è originato dall’anima dell’educatore, può solo essere riconosciuto.
Inoltre, nei servizi educativi professionali, gli operatori sono lavoratori che hanno un contratto e sono pagati per svolgere un ruolo, secondo la rappresentazione socialmente condivisa per cui esiste uno scambio tra organizzazione e professionisti, denaro per prestazione; la dimensione affettiva, in questo scambio, non è prevista, né minimamente approfondita, ciò che ci si attende da un buon lavoratore è che svolga competentemente e con affidabilità il proprio compito.
Quindi che senso può avere richiedere, a professionisti dell’educazione, di amare i giovani? Anche in questo caso, il confronto con il messaggio di Don Bosco è provocatorio e difficile, e anima la riflessione con percorsi innovativi e produttivi, fino a definire alcune idee che possono porsi come riferimento dell’Ancora.
I’Ancora condivide la tesi principale di Don Bosco: per educare è necessario l’amore per i minori. Ma cosa è l’amore per i minori? È la partecipazione emotiva ed affettiva alla loro vita e ai loro percorsi, l’essere coinvolti dalle loro sofferenze ed essere felici per la loro felicità, essere profondamente appagati quando crescono avendo opportunità di sviluppare le proprie potenzialità, vivere la gioia dei loro sorrisi.
Amare i giovani significa essere particolarmente partecipi ed inclini alla loro condizione e desiderare la loro felicità. Ma in cosa consiste questa specificità dell’amore da parte degli educatori, cosa vuol dire “particolarmente inclini”?
Significa che, per un educatore, dedicarsi ai bambini non è solo un lavoro come gli altri, ma è fonte di gioia e soddisfazione indipendentemente dal guadagno, diventa una scelta di vita appagante e in cui sente una profonda sintonia.
Non si può fare l’educatore, si può solo essere educatore.
L’amore è quindi, nell’Ancora, necessario, ed è un presupposto della scelta di partecipare al progetto. Questo significa che non tutti possono lavorare all’Ancora, anzi, che la forte motivazione e una certa vocazione sono precondizioni per questo tipo di volontà, e hanno infatti contribuito molto all’individuazione degli operatori.
Osserviamo come si tratti di una notazione valida per tutte le professioni in qualche modo dedicate all’aiuto, e che si svolgono coinvolgendosi con le sofferenze e le problematiche di altre persone.

27/09/2020

❓Cosa significa usare la ragione oggi? Cosa significa in concreto essere capaci di con i di oggi?
La ragione come proposta educativa è l’investimento del dialogo, nell’approfondimento dei diversi punti di vista e nel confronto costruttivo.
Avere un atteggiamento ragionevole è molto più che un atto relazionale, è una proposta sociale e valoriale. Infatti, in questa fase storica anche per il ruolo pervasivo che la televisione prima e i social poi hanno avuto, i rapporti tra persone sono spesso rappresentati come scontri e attacchi reciproci per l’affermazione di sé attraverso la denigrazione personale e l’umiliazione pubblica dell’interlocutore, proposto come nemico.
La politica è diventata, più che conflitto legittimo ed utile di idee, scontro personale e per il , proponendo questo scontro come spettacolo in cui i cittadini, passivamente, diventano tifosi e fanatici partigiani, smettendo così di dialogare e comprendere le posizioni diverse dalla propria, e perdendo irrimediabilmente l’enorme preziosità della molteplicità delle idee, per affrontare problemi condivisi.
Questa cultura propone una visione dei rapporti in cui le riflessioni non contano e le ragioni non interessano: interessa solo la sopraffazione e l’affermazione dei singoli, del proprio partito, del proprio gruppo, della propria appartenenza.
I bambini crescono con queste rappresentazioni, che, implicitamente ma potentemente, comunicano i valori socialmente approvati e segnano direzioni di crescita e di aspirazione: i bambini rischiano di desiderare anch’essi il conflitto e l’affermazione di sé contro gli altri, e spesso impersonificano questi valori con atteggiamenti arroganti verso i coetanei.
In questo senso, la proposta di rappresenta una risposta attuale e profetica, verso una società che recuperi le potenzialità migliori delle persone.
La è una forma di , un modo di rapportarsi ai bambini che comunica un sentimento verso loro, un profondo e autentico .
Don Bosco invitava a manifestare affetto tramite la partecipazione al mondo del minore, inteso anche come suo personale modo di ragionare e vedere le situazioni. Proponendo al bambino il dialogo si comunica l’interesse a stare con lui, l’importanza del tempo e dell’attenzione, l’impegno a partecipare al suo mondo, e ai suoi pensieri.
Il dialogo e il ragionamento sono essi stessi testimonianza del valore che l’educatore attribuisce alla relazione; le persone e i bambini sono le cose più importanti e il tempo del dialogo è sempre prioritario rispetto ad ogni altra urgenza.
Incoraggiare i minori a ragionare non significa proporre una relazione paritaria; l’educatore mantiene la responsabilità della direzione e dei valori proposti, significa facilitare un percorso personale e un’esplorazione soggettiva di quegli stessi valori e del modo di comprendere le cose da parte dei bambini.
Questo richiede da parte dell’adulto una comunicazione comprensibile capace di sintonizzarsi con il minore creando fiducia, restituendo dignità senza imporre i propri punti di vista e senza assumere un atteggiamento giudicante.
Ragionevolezza non è quindi principalmente razionalità, ma disponibilità verso i vissuti dell’interlocutore e verso la ricerca comune.
Proporre il dialogo significa anche incoraggiare il pensiero e l’approfondimento e permettere ai bambini di sviluppare la fiducia nella propria capacità di comprensione.
Tutti i minori hanno una potenziale capacità di conoscere e capire e l’educatore ha il compito di facilitarne lo sviluppo.

26/09/2020

26/09/2020

Il modello salesiano propone la prevenzione come sistema.
Cosa si intende per ?
Un sistema è un insieme di elementi in rapporto, per cui ogni elemento condiziona gli altri e l’intero sistema.
Nel momento in cui ci avviciniamo ad un bambino che presenta qualche difficoltà, occorre aver ben presente che tali difficoltà sono in rapporto al sistema di appartenenza, non sono unicamente del bambino.
Il sistema definisce le condizioni in cui ogni minore cresce e apprende ed egli è in rapporto con una serie di figure e ambienti, ognuno dei quali agisce condizionandolo.
Agire preventivamente in un’ottica sistemica significa leggere e intervenire anche sugli altri elementi che concorrono alla vita del bambino, dalla famiglia, ai contesti di vita, agli altri coetanei, alla scuola, ai servizi.
In concreto, questo può ad esempio significare agire per valorizzare le capacità dei genitori, inserendoli in una rete sociale di supporto, aiutandoli con affiancamento e consulenza costante, per facilitare il sistema intorno al bambino nel prevenirne i problemi.
In generale, si cerca di agire non solo sul disagio ma sulle condizioni che lo provocano e, nel caso dei minori, rinforzando le risorse del sistema.
La prevenzione, quindi, è definibile come un’azione sistematica nella rete sociale: sui giovani che vivono le situazioni di disagio a qualsiasi livello (in situazione di rischio, colpiti da queste situazioni, o in quella che viene chiamata “devianza”).
La prevenzione come proposta sistemica ed educativa è quindi una visione dei problemi, consistente nel ricollocarli costantemente in una lettura della realtà relazionale e, più in generale, della realtà sociale.
In tal senso, è un processo continuo di anticipazione delle patologie sociali, mobilitazione di risorse capaci esse stesse di rigenerarsi come antidoto e come energie di crescita. Intervenire sulle cause spinge a pensare simultaneamente con gli individui e le istituzioni ai processi e alle interazioni umane in cui prendono forma esclusione, devianza, diversità.
Significa non distinguere tra i soggetti disagiati e i soggetti normali, ma vedere ogni problema come appartenente al contesto, e quindi vedere il contesto stesso come ambito di intervento sociale.
In concreto, significa non operare unicamente per il bambino, ma per promuovere un ambiente migliore e coerente con le finalità educative; questo si realizza attraverso la promozione di iniziative di socializzazione, solidarietà, attivazione di collaborazioni, sviluppo di reti informali, tramite la valorizzazione delle risorse del contesto, famiglie, volontari, animatori.
La prevenzione ha quindi una dimensione educativa all’interno di una prospettiva sociale.
Nel messaggio di Don Bosco, la prevenzione passa attraverso la , l’ e la .

23/09/2020

Pensiamo al rapporto educativo e alla responsabilità dell’educatore.

Nei momenti in cui i bambini stanno con noi, noi siamo per loro il mondo, nel senso che noi costituiamo il riferimento per comprendere, conoscere, interpretare gli eventi e in generale la società.

Siamo anche coloro che li aiutano a sviluppare una identità, un adeguato modo di relazionarsi con il contesto.

Quando viviamo con i bambini, contribuiamo a dar senso alla loro vita in rapporto agli altri, e le future relazioni sono solo immaginate.

Da educatori, portiamo la nostra visione della società, non solo del rapporto con i bambini.

Come operatori vogliamo assumere questa responsabilità e esplicitare consapevolmente questa prospettiva; si può essere educatori solo pensando se stessi in rapporto al più ampio contesto sociale e al periodo storico, si può educare solo avendo presente quali sono le problematiche e le domande che caratterizzano la povertà educativa attuale.

Certo, si può ignorare questo livello di lettura, ma non si può non farne parte; nella nostra azione educativa siamo operatori sociali, educare significa anche e soprattutto predisporre alla vita nella società.

In questo senso, siamo attori del cambiamento etico, perché trasmettiamo ai bambini una visione dei rapporti tra persone, e un sistema di valori; proponiamo l’educazione come tema centrale per l’impegno comunitario, in sintonia con l’opera stessa che fu di .
Egli, infatti, divenne , ma divenne anche , , , migliorò la vita dei bambini, ma cambiò anche la società.

Se vuoi essere educatore, devi sognare il futuro di tutta la società, devi stare accanto ai bambini, ma sentire, vivere, interpretare i bisogni, le difficoltà e le grandezze del tuo tempo.

L’Ancora ha come obiettivo di offrire un servizio educativo ai bambini di Pescara, ma ha come ambizione di riconnettere costantemente l’educazione ai problemi della società, di aiutare i bambini a farne parte con coraggio, fiducia, allegria e voglia di ricercare la bellezza che la vita può dare.

La sfida dell’educazione non è creare “bravi studenti e poi professionisti” in un contesto ideale, ma costruire una comunità, sentirsi parte di essa, che accolga e che riconosca l’individuo rispondendo al bisogno di appartenenza e identità costruendo modelli di comportamento.

L’educatore è colui che propone un modello attraverso i propri comportamenti, calati in una relazione autentica con il minore che si fonda sulla condivisione di esperienze e dell’esplorazione congiunta (gioco nel cortile).

L’educatore, mentre condivide esperienze e esplora congiuntamente con il minore, non offre solo un modello ma promuove lo sviluppo delle capacità emotive, relazionali e cognitive fondamentali perché il minore possa diventare un individuo capace di scegliere autonomamente.

L’educatore deve essere un adulto sufficientemente adeguato e cioè capace di riconoscere e rispondere in maniera consona, coerente e prevedibile ai bisogni del minore, ma anche capace di riconoscere e di comunicare i propri bisogni in maniera chiara e sincera. Solo così il minore imparerà a riconoscere e a rispondere ai propri e altrui bisogni rispettandoli.

La sfida dell’educatore è non agire per il ruolo ma mettersi in gioco come persona.

Colui che educa non deve essere un Ciclope ma deve vedere “come staff” adottando più punti di vista. In tal modo si agisce come un sistema di adulti che funge da esempio.

22/09/2020

un comporta confrontarsi con un’identità e un’ispirazione che, di per sé, non possono essere apprese in senso stretto, ma che si propongono come principi ispiratori e trasformativi del modo stesso di intendere l’educazione.
Il modello salesiano è quindi, più propriamente, un ideale etico e una visione della società, in particolare della funzione sociale dell’educazione; questo ne ha fatto un messaggio così rilevante e capace di trasformare profondamente il senso della cura dei minori come responsabilità comune e comunitaria, messaggio per altro oggi molto attuale.
Don Bosco, se possiamo usare questa espressione indefinita, parla alle coscienze degli adulti. Ma le scelte etiche e gli ideali debbono essere scelti, non possono essere imposti e trasferiti senza che vi sia una disponibilità al cambiamento.
È evidente che creare un servizio specialistico, rivolgendosi a professionisti con percorsi formativi e professionali decennali, ponga una questione rispetto al rapporto con la dimensione etica e ideale, ad aspetti della scelta educativa che riguardano scelte di vita.
E sul piano degli ideali, un gruppo di persone può trasformarsi e svilupparne di condivisi solo se l’apertura al cambiamento appartiene a tutti e l’interesse all’esplorazione è reale; non è perseguibile lo sviluppo di valori che qualcuno propone ad altri univocamente.
La formazione non è quindi configurabile prevalentemente come trasferimento di informazioni o tecniche, ma come spazio di elaborazione e costruzione, che parta dalle competenze e dalle riflessioni che ogni operatore ha sviluppato nei propri anni di attività educativa.
Sul piano del metodo formativo, piuttosto che spiegare i contenuti della teoria e della visione salesiana, aspettandosi poi (ingenuamente e irrealisticamente) che professionisti esperti ne eseguano i principi nella propria successiva attività, sono utilizzabili le stesse domande come pretesto per il confronto produttivo.
L’obiettivo della creazione di un servizio salesiano non è assunto come compito del responsabile, che si troverebbe nella necessità di “formare alla salesianità” gli operatori, ma è un obiettivo della e dello , nella propria funzione organizzativa.
Questo specifica molto il senso della formazione in un ambito come il nostro, in cui non vi possono essere contenuti da acquisire da parte di professionisti “privi” di tale riferimento, ma proposte evocative, domande e suggestioni.
Mentre, ad esempio, in un’azienda eventuali nuovi dipendenti sono addestrati e formati alle procedure e alla cultura dell’organizzazione alla quale devono adeguarsi, assumendo quindi che i contenuti preesistano, per un nascente servizio salesiano, agli operatori è chiesto di contribuire a creare la salesianità del progetto.
Si tratta quindi di un ribaltamento dei termini; non è fornita la risposta alla domanda: in che senso è un progetto salesiano? La domanda stessa è posta a loro, considerati da subito come professionisti in grado di costruire risposte, a livello educativo, organizzativo, etico, metodologico e, più in generale, della sostenibilità sociale del progetto.
Il progetto diviene così salesiano in quanto tutti contribuiscono a renderlo tale, essendo l’appartenenza salesiana una grande risorsa, potenziale, per lo stesso progetto e quindi per tutti gli operatori.

13/09/2020

“Quale è oggi la missione dei ?
Dove sono i emarginati, disagiati? Cosa è oggi l’ingiustizia sociale? In cosa consiste oggi la ? Quale è la domanda di educazione, quali sono le nuove , cosa significa oggi?
Come salesiani ci poniamo costantemente queste domande, soprattutto noi che dell’agire quotidiano abbiamo fatto uno dei nostri tratti fondanti.
Non saremmo infatti all’altezza delle richieste dei minori se ci limitassimo a stare loro accanto, ad aiutarli senza alzare lo sguardo sulle grandi questioni del loro e quindi, sulla con cui si devono e si dovranno confrontare.
Dove trovare le giuste risposte?
La nostra missione non è solo evangelica, ma è di ricerca e scoperta, e solo nel rapporto diretto, nel contatto quotidiano, personale, affettivo con i giovani è possibile dare forma alla nostra responsabilità di educatori. La nostra missione di salesiani è stare dove sono i più poveri, in un mondo in cui la povertà è sempre più dilagante e sempre meno evidente e definibile.
Siamo chiamati ad essere, soprattutto oggi, adulti che orientano la crescita dei bambini, ma anche educatori che apprendono e che anch’essi crescono, siamo chiamati ad agire pensando, ma anche a pensare e comprendere tramite l’azione, in una frontiera educativa chiamata costantemente a nuove sfide.
È un compito importante, che i salesiani hanno il privilegio di assumere, ed è un compito difficile.
Difficile perché le attività quotidiane con i ragazzi, spesso molto impegnative, portano a cercare di gestire al meglio le incombenze, senza che ci sia sempre spazio per l’apertura di prospettive e pensiero; è consuetudine che ci troviamo coinvolti da un’infinità di piccoli e grandi problemi nella gestione dei gruppi di ragazzi all’oratorio, nel doposcuola, nei laboratori, e perdiamo la percezione di quanto tutti questi momenti siano una occasione unica e preziosa per capire, dalla vita autentica, non mediata da indagini sociologiche, come stanno cambiando le richieste dei giovani e, con loro, la società.
Nel mondo giovanile in gran parte virtuale, segreto, interconnesso senza reali filtri con la società, i rischi e le derive sono più pervasivi e meno gestibili di quanto fossero per le scorse generazioni.
Il disagio e la povertà ci sono sempre stati, ma oggi hanno assunto forme del tutto nuove, in cui un dilagante consumismo, individualismo, mercificazione di ogni vissuto, anche dei sentimenti, hanno trovato nel mondo virtuale un’irrefrenabile possibilità di sfogo, basata sull’apparenza e sulla fugacità di esperienze relazionali quasi completamente vuote, immaginarie e che impoveriscono le anime.
Ma la nostra responsabilità non è solo di analisi e visione, è anche e principalmente operativa.
Cosa significa educare in un mondo in cui la società sembra aver messo al centro i minori, richiamando dappertutto alla loro tutela, ma sembra anche del tutto incapace di proteggerli da modelli deleteri dovunque proposti? Cosa significa prevenire, in una società che garantisce ormai la sussistenza materiale, ma sembra incapace di tutelare dalle ferite emotive e dalla solitudine?
Anche queste domande trovano risposta solo nella quotidiana azione e nella sperimentazione di pratiche dovute all’intuizione degli operatori. Anche queste domande ci responsabilizzano e ricordano la fondamentale funzione che siamo chiamati a svolgere.
I salesiani, infatti, devono essere sulla frontiera dei bisogni educativi, ma anche sulla frontiera delle nuove risposte, e anche questo comporta una quotidiana e incessante riflessione, che da analisi interpretativa diventi costruzione metodologica.
Nella nostra presenza vicino agli ultimi, siamo realmente all’altezza di proporre attività efficaci e valide per dei problemi complessi come quelli posti dai giovani di oggi?
Si tratta di un problema che non possiamo sottovalutare: Don Bosco è stato un pioniere, e il suo insegnamento più importante non è di replicarne le scelte operative, ma di essere, anche noi, pionieri nella povertà di oggi.
Occuparsi dell’emarginazione è molto più che un atto di soccorso, è un messaggio e una visione politica, che trova traduzione nell’esperienza di rapporto con le istituzioni, gli attori del territorio e con tutte le persone che entrano in contatto con l’opera.
Si ricorda la centralità dell’esperienza come via principale di cambiamento e di apprendimento; ogni principio deve diventare prassi. E il cambiamento sociale passa attraverso lo sviluppo di una comunità, come è chiaramente descritto nelle riflessioni del testo, non solo attraverso il farsi carico di un minore. Significa farsi carico principalmente del suo rapporto con il contesto, con la famiglia (spesso tanto aggredita dall’emarginazione, quanto ingiustamente colpevolizzata), con la scuola, con le altre realtà, e in generale con la società.
Dobbiamo al contempo essere lontani dalla freddezza di tanta azione sociale, dobbiamo reagire alla violenza di tanta politica, dobbiamo ricordarci che il nostro fondamento è l’amore. Una parola tanto importante, quanto enormemente difficile, se calata in un servizio che si propone come specialistico, una parola che tuttavia non può assolutamente essere elusa, perché noi salesiani dobbiamo essere all’altezza delle sfide scientifiche che il processo educativo comporta, ma anche del grande e profondo bisogno di amore che i giovani continuano ad avere.
Un che è necessario ed è richiesto, un amore che di per sé conduce al rapporto con Dio, anche se in un servizio professionalmente connotato questa parola è così complicata da usare.
E forse anche questa è una frontiera educativa, in una società che ha ormai segmentato e codificato ogni rapporto, e che spesso parla di educazione in termini di diagnosi dei deficit, analisi delle competenze, bilancio delle risorse personali, definizione di crediti e debiti formativi, i salesiani sono chiamati a testimoniare quanto la principale sfida sia trasmettere ai giovani amore, e quanto le cause della povertà educativa (pensiamo alla dispersione scolastica) vadano proprio ricercate nella povertà di amore.
Ancora questa è la proposta metodologica, rimettere al centro dell’educazione gli ideali assoluti, proporre ai giovani la speranza e una profonda fiducia nel futuro, condividere il senso della vita, recuperare con e tramite loro la capacità di sognare, contrapponendoci ad una società sempre più attaccata ad un presente effimero.
E quindi quale è il nostro compito? Non solo quello d’infondere fiducia e di portare entusiasmo, ma soprattutto quello di trovare il percorso per permettere alla naturale luce, , vitalità e dei ragazzi di aprirsi con tutto il suo impeto, senza rischiare di perdersi in un mondo che spesso è poco a loro misura.
Forse questa è la nostra missione oggi, non tanto proporre un’esperienza più coinvolgente, divertente, emozionante, quanto proporre un diverso modo di considerare i giovani, investendo nel loro protagonismo. Anche questa parola, certamente abusata, ha un senso preciso, come appartenenza alla piccola , come valorizzazione emotiva del , come esperienza intensa di reciproca .
E chissà quanti ragazzi, una volta immessi in aziende o rapporti economici e professionali, avranno ancora l’occasione di sperimentare questo , chissà quanto ne sentiranno la e al contempo la presenza, contribuendo a rendere più solidali anche i contesti in cui si troveranno.
Un augurio è che oltre alle risposte, veniamo tutti richiamati dalle , per non smettere mai di cercare, come comunità e carisma, di tradurre l’amore per i giovani in azione efficace”.
(premessa al manuale del Centro Diurno IL FARO - Scarica l'e-book gratuito 👉 https://centrodiurnoilfaro.it/per-fare-il-faro/32)

27/07/2020
02/07/2020

🌏 Viviamo insieme la bellezza, il desiderio di un mondo migliore e la gioia di realizzarlo insieme.

🦀 🏄‍♂️ Quando camminiamo sulla spiaggia non abbiamo un’espressione di rimprovero verso l’inciviltà altrui, abbiamo il sorriso immaginando insieme una spiaggia molto più bella!

🐳🚣 Non pensiamo che l’ambiente sia la nostra dispensa;noi pensiamo che l’ambiente sia essenziale per dare bellezza alla nostra vita, e il modo in cui una comunità tratta gli spazi comuni è il modo in cui tratta se stessa.

Scopri di più >> https://centrodiurnoilfaro.it/news/iniziative-solidali/cercando-insieme-la-bellezza/60

09/06/2020

🌱 “I bambini sono un segno. Segno di speranza, segno di vita, ma anche segno “diagnostico” per capire lo stato di salute di una famiglia, di una società, del mondo intero. Quando i bambini sono accolti, amati, custoditi, tutelati, la famiglia è sana, la società migliora, il mondo è più umano. (…)

😢«Questo per noi il segno: troverete un bambino…». Forse quel bambino piange. Piange perché ha fame, perché ha freddo, perché vuole stare in braccio… Anche oggi piangono i bambini, piangono molto, e il loro pianto ci interpella. (…)”

🤙Per questo, Don Bosco divenne educatore, ma divenne anche comunicatore, politico, animatore sociale, migliorò la vita dei bambini, ma cambiò anche la società.
Scopri di più👉 https://centrodiurnoilfaro.it/news/presi-per-mano-da-don-bosco/67

08/06/2020

Ho bisogno di perchè cadere otto volte nello stesso piccolo abisso non può mai essere casualità bensì causalità.

Ho bisogno di psicoterapia perchè il mondo è un abito che ultimamente mi sta straordinariamente male, perchè il mondo è un abito e, chissà, un divano forse è il camerino giusto.

Ho bisogno di psicoterapia perchè cerco nel piacere un modo per riempire tutti i vuoti che ho nell’anima e voglio conoscere questi vuoti per riempirli con parole di amor proprio, con carezze a me stesso.

Ho bisogno di psicoterapia perchè la mia voglia di divorare il mondo è finita quando ho sentito che il mondo si impegnava a divorare me e qui non c’è retorica, qui c’è qualcuno che deve imparare che vivere non è essere pranzo nè commensale e non si può sperare che sia il mondo a impararlo.

Ho bisogno di psicoterapia perchè vedo cose, e non è bello vedere in te quello che tanto ti infastidisce vedere negli altri, perchè a volte sento che nessuno fa parte di me.

Ho bisogno di psicoterapia perchè sono un uomo che lavora più del normale, per brillare più del normale, com’è normale in questo sistema e mi sto rendendo conto che il normale non ha niente a che vedere con il .

Ho bisogno di psicoterapia perchè gli anni mi hanno reso odiosamente responsabile e non deve consistere solo nel viaggiare verso il paese delle responsabilità. Deve consistere anche nel vivere in con le tue ferite, in pace con il tuo passato, in pace con le persone.

(Marwan, 2016)

Indirizzo

La Spezia
19122

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