
29/09/2020
❓Quanto è attuale e attuabile il richiamo di Don Bosco all’amorevolezza? In che senso il lavoro educativo può prevedere l’amore e quanto questo può essere una risorsa o un problema? Che rapporto c’è tra noi come persone, con un carattere, reazioni emotive, valori, e noi come educatori? Cosa significa essere con i ?
Don Bosco propone di risolvere in modo semplice una questione complessa e difficile, ovvero il rapporto affettivo tra educatore e minori: questo deve essere animato da , ovvero l’educatore deve amare i giovani; non solo, ma i giovani devono conoscere di essere amati.
L’amore deve essere trasmesso, testimoniato, come tratto trasversale di ogni condotta educativa: un amore “effettivo” che superi un amore semplicemente “affettivo”.
Don Bosco ha anche parlato di uno stile educativo caratterizzato dall’equilibrio tra fermezza e amorevolezza, in cui è importante non esasperare i ragazzi con le richieste, e di puntare piuttosto sulla coerenza e sulla moltiplicazione delle “occasioni” educative, privilegiando i temi della testimonianza, della saggezza e della benevolenza.
L’amore come principe dell’educazione: “Uno sguardo poco amorevole su alcuni produce maggior effetto di uno schiaffo. La lode, quando una cosa è ben fatta, o il rimprovero, in caso di trascuratezza, sono già un premio o una punizione”. “La famigliarità porta amore, e l'amore porta confidenza. Ciò è che apre i cuori e i giovani palesano tutto senza timore ai maestri, agli assistenti ed ai Superiori. Diventano schietti in confessione e fuor di confessione e si prestano docili a tutto ciò che vuol comandare colui dal quale sono certi di essere amati”.
L’amore per i giovani è il principio fondamentale della , soprattutto per quelli più bisognosi, dove il bisogno oggi significa mancanza di valori, di affetto, di interessi, di possibilità, di relazioni vere e costruttive.
Un’ulteriore e non scontata affermazione di Don Bosco riguarda il bisogno di amore come appartenente sia minori, sia agli educatori, che solo per amore e con l’amore possono affrontare la difficile scelta dell’impegno educativo. Don Bosco afferma: “chi sa di essere amato ama e chi è amato ottiene tutto specialmente dai giovani. Questa confidenza mette una corrente elettrica fra i giovani ed i Superiori. I cuori si aprono e fanno conoscere i loro bisogni e palesano i loro difetti. Questo amore fa sopportare ai Superiori le fatiche, le noie, le ingratitudini, i disturbi, le mancanze, le negligenze dei giovanetti”.
La tesi di Don Bosco, apparentemente semplice, pone delle questioni molto difficili. La libera scelta di un educatore di dedicarsi ai minori in difficoltà, ma soprattutto la scelta di vita di chi si fa salesiano e intraprende un cammino religioso, senza secondi fini se non il dedicarsi agli altri, ha alla base l’amore per i giovani. Solo l’amore e il dono della propria vita può motivare a rinunciare a sé per seguire una missione e una vocazione; sembra persino scontato sottolineare che nell’azione educativa occorre amare i giovani, perché tale amore è la premessa minima e necessaria di una scelta totalizzante compiuta dai salesiani.
Parlando di amore necessario, c’è quindi da chiedersi di che amore parli Don Bosco: di un sentimento (necessario) o della necessità di dimostrarlo in modo comprensibile ai giovani? Un’altra domanda ci suscita il messaggio di Don Bosco: l’amore può essere prescritto? Può essere invocato, richiamato, richiesto, essendo un affetto? L’amore come moto dell’anima esiste solo se del tutto libero e precede il proprio comportamento, che ne diventa espressione; non si dà un amore perché richiesto da una data situazione, anche se fondamentale come l’educazione, l’amore è originato dall’anima dell’educatore, può solo essere riconosciuto.
Inoltre, nei servizi educativi professionali, gli operatori sono lavoratori che hanno un contratto e sono pagati per svolgere un ruolo, secondo la rappresentazione socialmente condivisa per cui esiste uno scambio tra organizzazione e professionisti, denaro per prestazione; la dimensione affettiva, in questo scambio, non è prevista, né minimamente approfondita, ciò che ci si attende da un buon lavoratore è che svolga competentemente e con affidabilità il proprio compito.
Quindi che senso può avere richiedere, a professionisti dell’educazione, di amare i giovani? Anche in questo caso, il confronto con il messaggio di Don Bosco è provocatorio e difficile, e anima la riflessione con percorsi innovativi e produttivi, fino a definire alcune idee che possono porsi come riferimento dell’Ancora.
I’Ancora condivide la tesi principale di Don Bosco: per educare è necessario l’amore per i minori. Ma cosa è l’amore per i minori? È la partecipazione emotiva ed affettiva alla loro vita e ai loro percorsi, l’essere coinvolti dalle loro sofferenze ed essere felici per la loro felicità, essere profondamente appagati quando crescono avendo opportunità di sviluppare le proprie potenzialità, vivere la gioia dei loro sorrisi.
Amare i giovani significa essere particolarmente partecipi ed inclini alla loro condizione e desiderare la loro felicità. Ma in cosa consiste questa specificità dell’amore da parte degli educatori, cosa vuol dire “particolarmente inclini”?
Significa che, per un educatore, dedicarsi ai bambini non è solo un lavoro come gli altri, ma è fonte di gioia e soddisfazione indipendentemente dal guadagno, diventa una scelta di vita appagante e in cui sente una profonda sintonia.
Non si può fare l’educatore, si può solo essere educatore.
L’amore è quindi, nell’Ancora, necessario, ed è un presupposto della scelta di partecipare al progetto. Questo significa che non tutti possono lavorare all’Ancora, anzi, che la forte motivazione e una certa vocazione sono precondizioni per questo tipo di volontà, e hanno infatti contribuito molto all’individuazione degli operatori.
Osserviamo come si tratti di una notazione valida per tutte le professioni in qualche modo dedicate all’aiuto, e che si svolgono coinvolgendosi con le sofferenze e le problematiche di altre persone.