20 centesimi di psichiatria

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È comune dire: “mi fa male la pancia” o “mi fa male la schiena”, come una cosa che capita a tutti. Chi lo dice, non si sente “strano” per questo, sa che verrà capito: comunica la sofferenza per chiedere aiuto, un po’ di comprensione o per la semplice necessità di condividere il proprio stato d’animo. Quando però la sofferenza non ha una parte del corpo da indicare le cose cambiano: non si trovano

le parole per descrivere il proprio stato, e la necessità di condividere si scontra con l’imbarazzo e la paura di essere emarginati. Il malessere della mente inizia dalla incapacità di dare un nome alle cose che ci accadono, si rimane soli in quel vuoto che si crea tra le parole pericolose della psichiatria e una sofferenza che non si può dire o essere compresa. Questo vuoto può essere riempito anche con le parole del quotidiano usate per dare il nome giusto alle cose che ci accadono. Narrare con semplicità aiuta tutti ad essere capiti e ad ascoltare meglio, riduce i pregiudizi sui disturbi mentali, favorisce la condivisione di stati d’animo come prima forma di cura, contribuisce alla prevenzione, a risparmiare denaro e sofferenze inutili.

07/05/2024

Una prima visita: medico-paziente: un rapporto umano

20/12/2023

Questo è un progetto di ricerca narrativa che vuole indagare le condizioni di vita all'interno delle organizzazioni sanitarie per studiare meglio il fenomeno del burnout in ambito medico ma non solo.

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