
26/08/2025
Intrappolato nella desolata e gelida distesa dell’Antartide, un giovane dottore si trovò davanti a una scelta impossibile: una morte certa e dolorosa o un atto disperato e senza precedenti di auto-chirurgia. Nell’aprile del 1961, Leonid Rogozov, un medico sovietico di 27 anni, era l’unico professionista sanitario alla remota stazione Novolazarevskaya. Una violenta tempesta di neve improvvisa aveva tagliato ogni possibilità di soccorso, e quando fu colpito da un dolore addominale lancinante, riconobbe subito i segni di un’appendicite acuta — una bomba a orologeria nel suo stesso corpo.
Senza altri medici o ospedali per migliaia di chilometri, capì che l’unico modo per sopravvivere era operarsi da solo. Non era un esercizio teorico; era questione di vita o di morte. Pianificò meticolosamente l’intervento, affidando a due colleghi non medici — un meteorologo e un meccanico — il ruolo di assistenti chirurgici, tenendo uno specchio e passando gli strumenti. Con anestesia locale, fece il primo taglio, guidandosi al tatto e con il riflesso distorto nello specchio.
Le due ore dell’operazione furono una dimostrazione della sua pura forza di volontà. Nonostante il dolore intenso che lo costrinse a fermarsi e quasi svenire, continuò, arrivando anche a ferirsi accidentalmente il cieco, che però suturò con calma prima di proseguire. Le mani, intorpidite dal freddo e dalla fatica, estrassero finalmente l’appendice pericolosamente infiammata. Si prese un momento di riposo prima di richiudersi.
Entro due settimane, Rogozov era di nuovo in piedi, dopo aver compiuto una delle operazioni più eroiche e improbabili della storia della medicina, salvandosi la vita nel luogo più ostile della Terra. Questo audace gesto consacrò il suo posto nella storia come simbolo di resilienza e determinazione umana.