12/03/2018
PROBLEMI DA WHATSAPP
In una quinta elementare i bambini tramite WHATSAPP hanno cominciato ad insultare qualche compagno. Uno ha scritto degli insulti ad un coetaneo che poi sono stati ripresi da altri generando un pettegolezzo rilanciato da più persone.
Questo è un classico esempio di quanto è faticoso gestire la comunicazione virtuale all’interno di un piccolo gruppo, soprattutto quando ancora non c’è piena maturità emotiva e consapevolezza di ciò che si sta facendo e delle conseguenze che ne potrebbero derivare.
La maestra ha deciso di fare un intervento di prevenzione con i bambini e io l’ho supportata. Ecco come sono andate le cose.
Ho scritto su tre biglietti tre offese:
IO SONO UN ID**TA E UN GRAN DEFICIENTE
TU SEI UN ID**TA E UNA GRAN DEFICIENTE
ALBERTO E’ UN ID**TA E UN GRAN DEFICIENTE
Chiaramente i bambini ignoravano il contenuto dei tre biglietti. Ho chiesto a tre volontari della classe di uscire dalla porta.
Poi ho fatto rientrare il primo e di fronte a tutta la classe gli ho dato questi ordini.
Prendi il primo biglietto (era quello con su scritto: IO SONO UN ID**TA E UN GRAN DEFICIENTE) e leggilo mentalmente. Il bambino esegue. Poi gli ho detto: Ora metti la testa dentro questa scatola di cartone e sussurra piano quello che c’è scritto sul biglietto. Il bambino ha infilato la testa dentro alla scatola, sussurrato il contenuto del messaggio in modo che nessuno sentisse. Ecco il terzo comando: ora vai al centro della classe e pronuncia a voce alta quello che c’è scritto sul biglietto. Il bambino avrebbe perciò dovuto dire di fronte a tutta la classe: IO SONO UN ID**TA E UN GRAN DEFICIENTE. Qui sono nati i problemi: Alberto, io non ci riesco a dire una cosa del genere di fronte ai miei compagni. “Ma lo devi fare perché te lo dico io”, rispondo. Allora il bambino dice la frase a voce sussurrata. Quindi gli chiedo di ripeterla a voce alta e con fatica esegue l’ordine. Dovendo commentare la situazione, dice che per lui era facile leggere il messaggio nella mente e dentro la scatola, ma farlo – mettendoci la faccia di fronte a tutti – risultava quasi impossibile.
A questo punto ho fatto tornare il bambino al suo banco e ho fatto entrare il secondo bambino.
Il messaggio per lui era: TU SEI UN ID**TA E UNA GRAN DEFICIENTE.
Nessun problema a leggerlo nella mente e dentro la scatola. A questo punto, però, introduco una variazione e chiedo ad un ulteriore compagno di classe di uscire dal banco e di mettersi al centro dell’aula. Poi domando al bambino che ha il biglietto in mano di rimanere in un angolo della classe e – mentre volta le spalle al compagno che invece è al centro dell’aula e guarda la porta - dire la frase: TU SEI UN ID**TA E UNA GRAN DEFICIENTE.
Il bambino esegue anche se con un po’ di fatica. A questo punto sposto il bambino al centro dell’aula e lo metto di fronte al suo compagno. Gli chiedo di guardarsi reciprocamente negli occhi e di pronunciare ad alta voce la frase scritta sul biglietto. Ma il candidato “designato” non ci riesce: “Alberto, non riesco a dirgli questa cosa così di fronte a tutti, guardandolo negli occhi. Lo offenderei. Ci rimarrebbe male”. Rispondo: ”Sì però prova a farlo lo stesso”. Con molta fatica, a bassissima voce, il bambino esegue.
Li mando a sedere entrambi e faccio entrare il terzo volontario che era rimasto fuori dalla porta. Gli consegno l’ultimo biglietto, quello dove si parla di me perché c’è scritto: ALBERTO E’ UN ID**TA E UN GRAN DEFICIENTE.
Quando chiedo di leggerlo mentalmente, il bambino fa una faccia strana. Poi quando deve sussurrarlo dentro alla scatola, esegue sempre con una faccia strana. Infine, lo porto al centro dell’aula e gli dico che deve dirmi quello che c’è scritto sul foglietto davanti a tutti e a voce alta. Il bambino non ce la fa. Non posso farlo Alberto. E anche se invitato ripetutamente a eseguire l’ordine si rifiuta di metterlo in atto.
I tre volontari hanno sperimentato sulla loro pelle quanto differenti sono le emozioni quando insulti una persona in assenza e a distanza rispetto a quando lo fai in presenza guardandosi negli occhi.
Tutta la classe ha compreso perfettamente la lezione e subito dopo si è generato un dialogo molto interessante su quanto sia facile dire quello che si vuole degli altri e agli altri usando WHATSAPP o Facebook. Insomma la differenza tra vita virtuale e vita reale era sotto gli occhi di tutti. Era stata sperimentata, dimostrata, vista, toccata.
E’ di questo genere di messaggi ed esperienze educative che i nostri figli hanno bisogno se vogliamo che diventino davvero “MEDIA SMART”. Altrimenti seguiranno la scia di tutti gli altri, diventando pettegoli e insensibili. E cresceranno irresponsabili, credendo che dire e fare qualsiasi cosa degli altri è un loro diritto che non deve essere sottoposto ad alcun genere di censura e autoregolazione. Proprio come fa tanto gente che parla, urla e insulta alla TV. E che magari ci comanda.
Se siete arrivati fin qui a leggere questo messaggio e vi è piaciuto, postatelo e condividetelo con altri insegnanti e genitori. Fate in modo che nelle quinte elementari, prima della fine dell’anno tutti i bambini possano sperimentare questa attività.