
22/06/2025
I I numeri evidenziati non vogliono semplicemente mettere a confronto le azioni di due paesi recentemente entrati in guerra.
Quanto più, vogliono mettere in risalto la retorica dei politici israeliani.
A fronte di dati chiari e incontestabili, non possiamo continuare a definire la guerra di Israele come una semplice difesa, né – tanto meno – evitare di criticare l’abuso retorico del termine “terrorismo”.
Quello che sconcerta, in questa dinamica, è la lucidità con cui viene costruita la menzogna.
Non si tratta di una proiezione in senso psicoanalitico, in cui un contenuto inconscio viene attribuito all’altro.
Qui si tratta di una retorica sfacciatamente menzognera, che non ha altra funzione se non rovesciare l’accusa: accusare l’altro di ciò che si sta compiendo.
Nella proiezione psicologica, almeno, c’è un velo: qualcosa che impedisce al soggetto di riconoscere ciò che gli appartiene.
Qui, non c’è più alcun velo.
Non è più l’inganno che sconvolge, ma il fatto che non serva più mentire.
Le accuse vengono pronunciate a fronte di numeri e azioni che parlano chiaro.
Non è più l’inganno che turba. È sapere che non serve più. Perché si scommette sul silenzio, sulla mancanza di pensiero critico, sull’inerzia collettiva.
Il potere non mente più: dice ciò che vuole sapere che resterà incontestato contando sulla passività politica degli altri paesi e sulla mancanza di pensiero critico delle popolazioni che li abitano.