Dott.ssa Lucrezia Masciadri

Dott.ssa Lucrezia Masciadri Psicologa e Psicoterapeuta presso Studio Mosaico - Lucca

Iscritta all'Ordine degli Psicologi della Toscana con n. 8412

09/02/2025
08/02/2025

Mi piacciono le mie trasformazioni. Guardo intorno tranquilla e coerente, ma pochi sanno quante donne ci sono in me.

Anaïs Nin

“Una madre, una figlia, la sua compagna, tre donne ma una non può e non vuole esserlo. Tre punti di vista diversi, inatt...
01/02/2025

“Una madre, una figlia, la sua compagna, tre donne ma una non può e non vuole esserlo. Tre punti di vista diversi, inattesi, radicali. (...)

In Figli, figlie, Ivana Bodrožić immerge i suoi personaggi nella trasmessa dalla e dalla senza cercare facili colpevoli. La sua è una storia delicata e drammatica, narrazione di corpi, femminili e maschili, di aspettative biologiche, sociali, ideologiche, dei limiti che pongono nella ricerca del proprio carattere e del proprio destino. È un’opera che è stata acclamata per il suo stile e la forza emotiva, che mai accoglie tesi scontate e prive di sostanza, e che racconta una delle storie d’amore più tenere e tormentate della recente letteratura europea".

Sellerio editore, 2023

Ieri ho visto un post che ritraeva una persona che si fotografava allo specchio, a figura intera. L’ hashtag diceva:   ....
12/01/2025

Ieri ho visto un post che ritraeva una persona che si fotografava allo specchio, a figura intera. L’ hashtag diceva: .

Credo ci sia molta confusione che investe questo argomento.
Il “body positivity” prima di essere un invito ad amare il proprio corpo a prescindere da come esso sia, è un movimento che invita la società a fare campagne pubblicitarie / marketing ecc in cui sia presente un’ampia “varietà di corpi”. Gli slogan dell’amarsi incondizionatamente e ad ogni costo, spostano la responsabilità dalla collettività alle singole persone.

E questo può essere drammatico.

Il potere di cambiare come vediamo i nostri corpi è . Invece, i media propongono corpi "standard" e, attraverso filtri e app di fotoritocco, canoni di bellezza irraggiungibili, facendo così tanto rumore da interferire e fluire, come un fiume in piena, nel nostro dialogo interno. Ciò, oltre a richiedere una sana controforza, può andare a consolidare l’idea del corpo come un progetto eternamente incompiuto.

Ebbene, come possiamo convivere con la nostra corporeità in questo bombardamento mediatico di corpi-avatar che non ammettono nessuna o pochissima variabilità?

Proverò a fare un post a riguardo che apra ad alcune riflessioni. Intanto, possiamo provare a chiederci: sebbene sia augurabile di amare il proprio corpo e sentirsi a proprio agio nel “viverci”, è davvero possibile che questo avvenga in ogni momento?

“Quando ci fa male qualche parte del corpo cerchiamo di evitare che qualcuno le si avvicini, e talvolta quello che facci...
09/01/2025

“Quando ci fa male qualche parte del corpo cerchiamo di evitare che qualcuno le si avvicini, e talvolta quello che facciamo per il corpo lo facciamo anche per la nostra anima: cerchiamo di non farci toccare”

Ada D’Adamo

«il mio   Samantha, abitualmente stavasotto la mia sedia durante le sessioni di training in teatro (J. L. Moreno non sep...
06/01/2025

«il mio Samantha, abitualmente stava
sotto la mia sedia durante le sessioni di training in teatro (J. L. Moreno non seppe mai del mio cane per due anni). Un giorno, in teatro, Zerka Moreno stava lavorando con una donna che voleva morire. Zerka invitò la protagonista a stendersi su un materasso nel centro della scena e ad “essere morta” per tutto il tempo che volesse.

Zerka illuminò la scena di luce blu e ci chiese di essere testimoni silenziosi.

I dieci minuti nei quali restammo seduti sembrarono lunghi come giorni interi.

Tranquillamente, Samantha uscì da sotto la mia sedia, salì i tre livelli del palco, leccò la protagonista sulla guancia e ritornò nel buio nel suo posto sotto la mia sedia. Tutti noi fummo toccati dal fatto che il cane aveva fatto quello che noi non eravamo stati in grado di fare.

La protagonista si sedette piangendo e disse:
“questa è la tenerezza della che ho sempre voluto”. “Da parte di chi?” chiese Zerka e cominciò a lavorare con lei sulla scena»

M. Karp

Nei giorni che precedono l’inizio del nuovo anno sembra che il tempo desideri scorrere al contrario in una sorta di rewi...
29/12/2024

Nei giorni che precedono l’inizio del nuovo anno sembra che il tempo desideri scorrere al contrario in una sorta di rewind che ci invita ad un bilancio autoriflessivo: cosa c’è stato di particolare in questi ultimi 12 mesi? Quali eventi colgono la mia attenzione? Quali sono state le conseguenze delle scelte che ho preso? In che direzione mi sono mossə? Quali obiettivi ho raggiunto? A (e con) quale costo? and more.

In questo tentativo di bilanci, confronti e riflessioni, ti è mai capitato di incolparti per non essere statə abbastanza coraggiosə?

Domanda che nasce dagli incontri delle ultime settimane (dentro e fuori lo studio) con persone, le più diverse. Mi viene in mente Edgar* che in terapia si è preso del tempo per provare a ricordare a sé stesso “chi era” quando a febbraio scorso ha deciso di non seguire quello che pensava essere l’ della sua vita; oppure Smilla* che, nell’ultimo nostro colloquio, ha sentito la necessità di ricordare a sé stessa come la facesse sentire la prospettiva di cambiare lo scorso gennaio e perché non l’ha fatto. O anche Joy*, che si è incolpata più volte per aver rimandato di mesi l’inizio della e, con questa, la possibilità di provare a cambiare l’idea che aveva di sé stessa.

A chi non è mai successo, come a loro, di guardarsi indietro e dimenticarsi chi era, cosa desiderava e che emozioni provava nel momento di alcune scelte importanti?

E allora, pensando alla fine dell’anno come un tempo che apre una panoramica privilegiata sul passato, vorrei augurare a tuttə di poter guardare alla propria vita come una storia fatta di scelte piene di senso. Di osservarle, esplorarle e provare a ricostruirle; per poi rivolgersi al futuro provando a chiedersi:

“di ciò che desidero nel breve - lungo termine, cosa mi sento di voler vivere?”
*nome di fantasia
#2025

«   » dal latino partus -us, der. di parĕre «partorire», può essere una parola d’ordine che spalanca i cuori, che gioisc...
07/12/2024

« » dal latino partus -us, der. di parĕre «partorire», può essere una parola d’ordine che spalanca i cuori, che gioisce, che perdona, che spiega, genera e dà senso. Ma anche una parola che mette a n**o, che contrae, che chiede - vicinanza e umanità - e richiede - energia, consapevolezza e sforzo. Una parola che sa essere perturbativa, che segna e in-segna.

Se qualcunə, per questi motivi, la definisse “una parola che mente di continuo”, probabilmente lə capirei e non lə darei torto. Nemmeno se aggiungesse che ancora troppe donne non riescono a pronunciarla, a raccontarla, a dire a voce alta il significato che ha avuto per loro.
Oggi in Italia, 1 donna su 5 (il 21% secondo l’indagine di doxa-OVOItalia) ha subito una qualche forma di violenza durante il parto.

Quando incontro queste in terapia, intorno al doloroso sostantivo “parto” ruotano sentimenti di e che sembrano perduti.

E molti, tanti pezzi di sé che chiedono di tornare uniti.

❤️


Ho incontrato questo libro quando lavoravo nell’ambito della Tutela. Ciò che mi ha incuriosita fin da subito, mentre in ...
01/12/2024

Ho incontrato questo libro quando lavoravo nell’ambito della Tutela. Ciò che mi ha incuriosita fin da subito, mentre in libreria sfogliavo la prefazione di Stefano Cirillo - pioniere nel campo della tutela dei minori -, è stata la scelta teorica dell’autore.
“Per avvicinarsi alla realizzazione della sua ambizione di «classificare le infanzie infelici»” scrive Cirillo “Luigi Cancrini si rifà alle undici ricostruzioni che Lorna Smith Benjamin presenta delle vicende infantili che le raccontano i suoi pazienti adulti (…)” e a quelli che definisce i suoi “compagni di viaggio” (e.g. , , , ). Nessun riferimento esplicito alla teoria dell'attaccamento , ampiamente condivisa tra chi si muove nell'ambito della protezione all'infanzia.

Seppur Cancrini e gli autori a cui fa rimando siano abbastanza distanti dalla cornice epistemologica in cui sono solita muovermi, credo che poter osservare in che altro modo si possano chiamare “le cose” che nominiamo quotidianamente in quanto clinici, sia un movimento arricchente, stimolante e forse necessario.

In questo libro, tra le altre, ci sono storie di bambini abuxsati, di minori adottati, di altri violenti. E c’è anche quello sguardo (cito Cirillo) “saggio e affettuoso che Luigi indirizza tanto al bambino ferito che vede davanti a sé (…), quanto al bambino traumatizzato che si sforza di scovare (…) dentro quell’ adulto violento che gli viene condotto davanti recalcitrante: e dentro questo sguardo si incontrano i due percorsi di cura”.

Le parole che utilizziamo per descrivere le esperienze che facciamo nella vita hanno un peso significativo e in   di Mic...
16/11/2024

Le parole che utilizziamo per descrivere le esperienze che facciamo nella vita hanno un peso significativo e in di Michela Murgia, questo peso si avverte tutto.

Murgia apre a riflessioni sulle famiglie ***r , sulla ***rness e sulle implicazioni emotive, etiche e sociali della gestazione per altr* ( ). Apre anche alla necessità di operare una distinzione tra tre termini che, nel linguaggio comune, vengono spesso sovrapposti: gravidanza, maternità e genitorialità. Ognuna di queste parole porta infatti con sé sfumature e significati differenti che esplora con cura per sottolineare la loro importanza.

Se assumiamo che la (processo biologico di portare in grembo un bambino) sia già maternità, dobbiamo dirci che la (“dare la vita” senza generare biologicamente. In continuità o non, con l’intenzione riproduttiva) è anche altro. Quest’ultima sta sotto a un cappello più ampio che è quello della (relazione di cura e responsabilità).

Ha senso per te fare una distinzione del genere?

Consiglierei questo davvero a tutt*, a prescindere dal personale punto di vista, convinta che possa offrire strumenti utili per comprendere meglio le scelte di ciascuno.

È online il nuovo numero della Rivista Italiana di Costruttivismo con un bellissimo editoriale della nostra caporedattri...
06/11/2024

È online il nuovo numero della Rivista Italiana di Costruttivismo con un bellissimo editoriale della nostra caporedattrice Lila Vatteroni.

Download gratuito al link www.rivistacostruttivismo.it

27/07/2024

Questo è dedicato a chi molla.
Questo è dedicato a chi rinuncia, a chi si arrende, a chi si ritira.
Questo è dedicato a chi, a un certo punto, si è reso conto che non era capace, che non era buono, che non era in grado. E al posto di provarci a tutti i costi, se ne è andato.
Questo è dedicato a chi è stanco, a chi è esausto, a chi almeno una volta ha detto: basta, non ce la faccio, ne ho avuto abbastanza, lascio.

Questo è dedicato a chi cede, a chi abbandona, a chi abdica, a chi si dimette. Anche da se stesso.
A chi non s’è fatto fregare dalla retorica dell’eroe, dagli anabolizzanti dell’ottimismo a tutti i costi, a chi da piccolo si è sentito dire “non mollare” e da quel momento in poi mollare è diventata soprattutto una questione di principio.
Questo è dedicato a chi ha lasciato un lavoro, un progetto, un rapporto o una concezione di se stesso. A chi ha accantonato un account, ha abbandonato un abbonamento, a chi ha chiuso i conti con un conto corrente.

A chi ha lasciato una città, perché già ci era nato e viverci pure gli pareva di infierire.
Questo è dedicato a chi chiude con l’università quando gli manca un solo esame e a chi sta a due passi dal traguardo quando capisce non ce la fa più. A chi non lo vuole neanche ba***re il calcio di rigore, a chi abbandona la nave. Magari non per primo, ma tra i primi dieci.
Questo è dedicato a chi si è reso conto di aver fallito, di aver disatteso aspettative ed eluso persone, e adesso deve fare i conti col fatto che forse non è abbastanza bravo in quell’unica cosa che era sicuro di saper fare.

Questo è dedicato a chi prende la decisione più facile e più difficile di tutte, a chi trova il coraggio di dichiarare: mollo.
Questo è dedicato a chi molla un punto di vista, un’opinione, un preconcetto. A chi trova la forza per scardinarsi dai propri giudizi, a chi si sbullona dal piedistallo. A chi, mollando, è costretto a fare quello che più fa paura: fermarsi. Ma fermandosi magari trova il tempo per guardarsi intorno.

A chi si ritrova deluso da sé a domandarsi se sia giusto, se doveva metterci più impegno, se sia il caso di aggiungere un rimpianto alla collezione.
A chi si ritira, a chi si ritirerà, a chi non prova la minima vergogna, anzi: voi tenetevi la vittoria, io mi tengo la dignità.
Questo è dedicato a chi molla perché è scontento, perché è infelice, questo è dedicato a chi molla perché è imperfetto.
Questo è dedicato a chi, in un mondo che ci vuole tutti concorrenti, ha scelto di non giocare piuttosto che giocare male, che giocare sporco. A chi ha deciso di mollare per paura di diventare come le persone che odia, di perdere quelle che ama o di trasformarsi in uno di quei fantasmi che lo tormentano. Quelli sì non mollano mai.

Questo è dedicato a chi ha mollato perché era la cosa più sensata da fare, perché era la più giusta, perché glielo chiedevano in tanti, perché sinceramente stava rendendo la vita difficile a tutti. È dedicato a chi si è reso conto di aver rotto un po’ il c***o.
Questo è dedicato a chi ha mollato quando stava vincendo e adesso passa la notte sveglio a domandarsi se poteva vincere molto di più. È dedicato a chi ha mollato mentre stava perdendo e adesso la notte dorme come un bambino.

Questo è dedicato a chi ha mollato perché aveva bisogno d’aiuto. A chi l’ha ricevuto. A chi no.
A chi rinuncia alla rivincita, alla bella, alla vendetta. A chi si è imparato a perdere senza fare tante storie e a chi non ha bisogno di vincere per sapere chi è.
Questo è dedicato a chi molla con stile, con generosità, con umiltà. A chi molla subito, a chi non trascina una cosa patetica per mesi, a chi ci scherza sopra anche se fa male.

Questo è dedicato a chi, mollando, si assume la responsabilità di deludere tutti quelli che credevano in lui. A chi, andandosene, si lascia dietro un bella scia di macerie. A chi dà una mano a pulire e a chi, con quelle macerie, ci farà i conti per il resto della sua vita.
Questo è dedicato a chi dopo aver mollato ha detto: e adesso? Sentendo la paura mo***re come un temporale.
Questo è dedicato a chi ha scoperto che c’era altro, che si sopravvive. A chi mollando ha trovato sollievo, ispirazione, libertà. E a chi invece ha trovato solo un vuoto che se l’è consumato un po’ alla volta.

Perché mollare, da queste parti, ti hanno insegnato che è un tabù, uno stigma, la ricetta per l’incostanza, l'improduttività e quindi per l’accidia e per l’infelicità.
E allora questo, soprattutto, è dedicato a chi ha mollato ma resiste, a chi ha mollato e nonostante c’è.
A chi ha mollato per restare.
A chi se n’è andato, ed è ancora qua.

Il testo è di Nicolò Targhetta e la grafica di Amandine Delclos.
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