11/04/2025
In nome dei diritti si negano... i diritti
Nel ddl Affido condiviso più attenzione ai diritti dei genitori che a quelli dei figli. L’Autorità garante Marina Terragni è stata ascoltata dalla Commissione giustizia del Senato. Perplessità su domicilio paritetico, mantenimento diretto e obbligo di mediazione familiare.
Qui una sintesi: https://www.garanteinfanzia.org/nel-ddl-sullaffido-condiviso-piu-attenzione-ai-diritti-dei-genitori-che-quelli-dei-figli
VIDEO INTEGRALE: https://webtv.senato.it/webtv/commissioni/affidamento-condiviso
TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DI MARINA TERRAGNI
AUDIZIONE COMMISSIONE GIUSTIZIA, 9 APRILE 2025
Nell’introduzione al testo di legge si fa riferimento alla Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori introdotta dall’Autorità Garante nel 2018. Il concetto di bigenitorialità espresso in quella Carta non sembra però corrispondere all’idea di bigenitorialità del ddl.
Lì la bigenitorialità, ovvero la possibilità che in caso di separazione il minore possa mantenere efficaci ed armoniosi rapporti con entrambi i genitori, è nella chiave dell’interesse del minore, sempre superiore rispetto a quello degli adulti. Un abito su misura cucito di volta in volta, caso per caso e con tutta la necessaria flessibilità a vantaggio dei figli, e non un diritto dei genitori a una spartizione perfetta o quasi perfetta, due vite, due case. La Corte di cassazione lo precisa: affido condiviso e bigenitorialità non coincidono necessariamente con eguali tempi di permanenza con ciascun genitore.
Eliminando il concetto di residenza abituale e stabilendo l’obbligo di domicilio paritetico in due case, oltre a operare un’invasione dello Stato nella sfera privata, in violazione della Convenzione per la Salvaguardia dei diritti dell’uomo e del Cittadino del 1950 che sancisce: “Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza”, la modifica travolge l’istituto dell’assegnazione della casa familiare intesa come l’abitazione presso la quale si è svolta la vita della famiglia durante la convivenza, l’“habitat” domestico centro degli affetti e delle consuetudini. Imponendo due domicili in modo paritetico si nega il diritto del minore a godere di un centro e di un habitat definito. Quindi la destinazione della casa familiare appare come il centro del ddl.
Sempre nell’introduzione si menziona l’ordinanza 26697/2023 della Corte di cassazione là dove afferma che “il regime legale dell’affidamento condiviso (…) deve tendenzialmente comportare, in mancanza di gravi ragioni ostative, una frequentazione dei genitori paritaria con il figlio”. Ma si omette significativamente di citare il passaggio successivo - che sposta decisamente l’asse del discorso- dove si dice “che tuttavia nell'interesse del figlio il giudice può individuare un assetto che si discosti da questo principio tendenziale, al fine di assicurare al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita".
E ancora, che "il diritto alla bigenitorialità è anzitutto, un diritto del minore prima ancora dei genitori” e che il diritto del singolo genitore a realizzare e consolidare relazioni e rapporti continuativi e significativi con il figlio minore (…) assume carattere recessivo” se il diritto del minore “non sia garantito”.
Quindi la giurisprudenza della Suprema Corte in armonia con la normativa sovranazionale, ha sempre escluso l'automatismo "affidamento condiviso= tempi paritetici" dovendo caso per caso il giudice verificare quale sia la soluzione che meglio realizzi il miglior interesse del minore.
Proprio oggi si celebra la Giornata Nazionale dell’Ascolto dei minori, ma nel ddl si registra un arretramento rispetto alla normativa nazionale (riforma Cartabia) e internazionale che impone un’attenta valutazione del volere dei bambini nei provvedimenti che li riguardino. Il rischio dunque è una prospettiva prevalentemente adultocentrica. Il doppio domicilio comporta un aggravio di sofferenza per minori già provati dal disgregarsi del nucleo familiare con la perdita dei riferimenti garantiti da una continuità abitativa, con lo sradicamento dai luoghi abituali, dagli amici, con la fatica e lo stress di una vita sdoppiata in due case magari lontane fra loro. Il minore non può diventare soggetto-oggetto nei cui confronti gli adulti rivendicano posizioni di diritto.
Ancora la Cassazione parla (9764/2019) di “presenza comune nella vita del figlio” che sia tuttavia “idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita”. Superiore interesse del minore è restare nella casa in cui è cresciuto, anche se in seguito alla separazione niente sarà più come prima.
L’autorità garante si avvale in una prospettiva di ascolto di una Consulta dei Ragazzi: riguardo alle separazioni i ragazzi dicono che “i figli possono anche fare sacrifici per stare con i genitori, ma si aspettano che i genitori non stravolgano la loro vita, che consentano di mantenere inalterate, per quanto possibile, le loro abitudini”. E dicono che ogni caso è a sé e va valutato dal giudice nella sua singolarità, senza standardizzazione da parte della legge, anche ascoltando i minori -e per ascolto si intende anche la capacità di leggere segnali non verbali, disegni, comportamenti, rendimento scolastico eccetera, compito che richiede un’alta specializzazione. In collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore il nostro ufficio ha pubblicato il libro “Perché proprio a me? La separazione vista dai bambini”. Questo è Lorenzo, 9 anni: Mi sento come un pacchetto postale, girando tra le due case”.
La norma del doppio domicilio paritetico limita il giudice nella sua valutazione autonoma caso per caso. Ma il Grevio ha stigmatizzato il fatto che in Italia spesso il giudice decide già troppo poco, basando le sue decisioni sulle CTU, mentre la parte valutativa deve tornare nelle sue mani.
Quanto poi ai bambini piccoli, la pratica del doppio domicilio è semplicemente impensabile. Allattamento a parte che è senza dubbio superiore diritto del minore, come insegna la neuropsichiatria infantile ogni essere umano nei primi tre anni di vita è impegnato in un corpo-a-corpo con la madre finalizzato alla separazione-individuazione, processo che tutti noi abbiamo affrontato per passare dal sentirci un tutt’uno indifferenziato con la madre alla realizzazione di un nostro sé separato e autonomo. La bigenitorialità non può essere intesa come paritarismo che occulta la realtà della differenza sessuale e in particolare la profonda e ineliminabile differenza tra il ruolo materno e quello del padre, differenza che conosciamo tutti. Il legame tra la madre e il figlio è il nucleo autentico della famiglia e della comunità umana. Il che non equivale a minimizzare il compito del padre e a disconoscerne i diritti, ma a prendere atto della differenza tra le donne e gli uomini che si basa su leggi di natura indisponibili alla legiferazione umana. Basti considerare il fatto che una donna può decidere di essere madre anche in solitudine, qualunque cosa legittimamente si pensi di questa scelta: lo dico in modo del tutto avalutativo e vi invito a considerarne l’oggettività. Mentre essere padre single comporta una serie di manovre biotecnologiche che una recente legge, quella sul cosiddetto utero in affitto reato universale, ha nettamente e giustamente stigmatizzato.
La bigenitorialità intesa come occultamento della differenza rischia dunque di affermare un paritarismo ideologico a cui tuttavia nel medesimo ddl non corrisponde poi il riconoscimento di una semplice parità di opportunità quando, mettendo sullo stesso piano il padre e la madre dal punto di vista del contributo economico per il mantenimento dei figli, non tiene conto del gap a livelli di occupazione e di retribuzione. Se è vero che stiamo registrando un record di occupazione femminile, è vero anche che il gap continua a esistere.
Eliminando l’assegno di mantenimento per i figli per passare, con il collocamento paritetico, al mantenimento diretto addirittura “per capitoli di spesa”, con un mini-bilancio, da parte di ciascun genitore durante la permanenza presso di lui, oltre a una casa più confortevole e una meno, potremo avere livelli di vita e di consumi da una parte più alti e dall’altra meno, con tutto ciò che ne consegue diseducativamente, anche questo in violazione del superiore interesse del minore e a vantaggio dell’adulto economicamente più forte.
Di più: al compimento della maggiore età e in caso di non autosufficienza economica, cioé praticamente sempre, il ddl riconosce la contribuzione diretta al figlio che difficilmente riserverà all’auto-mantenimento la somma percepita, impegnandola in attività più voluttuarie e aggravando ulteriormente il peso economico per il genitore più debole. Questa oggettiva disparità quasi sempre a svantaggio della madre comporta il rischio prospettico che quel sì, quel fiat con cui ogni donna accetta di diventare madre e senza il quale non vi è nascita a fronte di simili condizioni diventi sempre più raro. E allora non c’è piano di natalità che tenga, e conosciamo bene le dimensioni del problema della caduta delle nascite.
Sul punto della mediazione il mio ufficio sta per pubblicare un articolato studio realizzato con il contributo di una commissione formata dai maggiori esperti e finalizzato a diffondere la conoscenza di un istituto ignoto ai più e che i tribunali purtroppo offrono a macchia di leopardo. La mediazione familiare può costituire un’opportunità preziosa con un’importante riduzione dei costi economici, umani e sociali delle separazioni laddove non si siano ancora prodotte conflittualità insanabili. Ma i requisiti irrinunciabili perché possa funzionare sono almeno due: l’assoluta volontarietà e la certezza che non vi sia un pregresso di violenza: la riforma Cartabia ha precluso la possibilità di mediazione anche solo in presenza di allegazioni di violenza, così la Convenzione di Istanbul.
L’idea di una pre-mediazione obbligatoria pertanto non è sostenibile. E nei casi di allegazione di violenza non è difficile che una delle due parti non ottemperi.
Anche la proposta di una nuova figura terza, quella del coordinatore genitoriale, è problematica anzitutto per il fatto che non si tratta di una figura professionalmente regolamentata, ma anche perché sarebbe nei fatti un nuovo passaggio di mediazione. Non si fa inoltre alcun riferimento a un divieto di inserire il coordinatore genitoriale nei casi di violenza, tema su cui insisto perché è tenuto in ombra nel ddl.
L’introduzione di nuove figure terze, che si aggiungono ad assistenti sociali, consulenti tecnici, mediatori, e ovviamente legali, comporta il rischio di allungare i tempi dei procedimenti e di aumentarne i costi -perché la mediazione è a pagamento, e un primo incontro gratuito non risolve nulla- esasperando i conflitti e aumentando mole e durata dei contenziosi, con evidenti danni anche per i minori.
Quanto alle figure terze è sempre più urgente una formazione specifica per tutti professionisti che in tribunale abbiano a che fare con minori. Quando vi siano allegazioni di violenza -psicologica, economica, fisica- si sa che il Ctu deve operare nel rispetto della Convenzione di Istanbul, ma in un’indagine empirica realizzata qualche tempo fa e del cui coordinamento scientifico faceva parte tra gli altri Fabio Roia, attuale presidente del Tribunale di Milano, si è rilevata la propensione dei CTU a far prevalere la bigenitorialità come dogma, anche declassando la violenza a ordinaria conflittualità e dando spesso scarso credito alle parole del minore. Alcuni CTU hanno perfino ammesso di non sapere che cosa sia la Convenzione di Istanbul “Mi ricordi l’anno? Perché personalmente ne so molto poco, non l’ho studiata molto quindi ammetto la mia ignoranza in materia. Devo ricominciare a studiare”. “Non conosco questa convenzione; non l'ho mai studiata. So per nome che esiste, ma non ne so nulla”.“Non so cosa sia”.“Non so nemmeno di cosa stia parlando”.
Insisto sul tema violenza domestica perché sostanzialmente sottaciuto nel ddl che non sembra tenere conto della normativa nazionale e internazionale nonché della recentissima ordinanza della Cassazione n. 4595 del 21.2.25, che attesta che “il tribunale civile non può trascurare le allegazioni di violenza al fine di valutare nel caso concreto il best interest del minore nonché l’idoneità del genitore a svolgere adeguatamente il suo ruolo”. Mentre prevale l’idea, in ossequio all’osservanza del principio della bigenitorialità perfetta, che anche un genitore violento può essere un buon genitore, che un conto è la violenza e un altro la capacità genitoriale anche se sia Grevio sia la riforma Cartabia affermano che un genitore violento non può essere un buon genitore.
Vi è poi nel ddl una norma di modifica in cui si sostiene che “il giudice può per gravi motivi ordinare che la prole sia collocata presso una terza persona, preferibilmente dell'ambito familiare o, nell'impossibilità, in una comunità di tipo familiare”, ovvero in casa famiglia. La norma non qualifica quali siano questi gravi motivi, la cui individuazione viene delegata alla discrezionalità del giudice. Ma nell’introduzione si menzionano “situazioni ostative costruite ad arte”, espressione dietro la quale continua ad aleggiare il fantasma della cosiddetta Pas, Sindrome di alienazione parentale, costrutto stigmatizzato più volte dalla Corte di Cassazione come ascientifico e il ricorso al quale è vietato anche dalle raccomandazioni delle Nazioni Unite, ma che continua a orientare esiti di procedimenti in una girandola di nuove definizioni che non ne mutano la sostanza. Di nuovo in violazione del suo diritto di essere ascoltato in ogni procedimento che lo riguardi, il minore viene troppo spesso ritenuto incapace di esprimere una sua propria volontà e manipolato da un genitore ostativo.
Vi anticipo che il prossimo 11 giugno presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri l’Autorità Garante per l’infanzia e l’Adolescenza presenterà una delle ricerche più ampie mai realizzate in Italia sul tema del maltrattamento dei minori, con una copertura totale -in senso statistico- della popolazione minorile nel nostro Paese, in cui si evidenzia tra i focus principali quello della violenza assistita. Se ne può dedurre che il numero di separazioni alla base delle quali vi è violenza -per non parlare del sommerso- è considerevole. Proprio per questa ragione non si può non rilevare la sottovalutazione del fenomeno nell’articolato del ddl.