10/08/2024
È il 1990 a Baltimora, Maryland. Un giorno, la maestra dell’asilo convoca d’urgenza Debbie Phelps, madre di Michael. “Michael non riesce a stare seduto, non sta mai tranquillo, non riesce a focalizzarsi” dice la maestra con tono critico. “Forse è solo annoiato” risponde Debbie, speranzosa. “Impossibile. Si rassegni, suo figlio non è dotato, non sarà mai in grado di focalizzarsi su nulla” conclude la donna senza appello.
Michael Phelps ha solo cinque anni, cresciuto senza padre, circondato dall’amore della madre e delle due sorelle. Fino a quel momento, non ha quasi mai messo piede in una piscina. Quando lo fa, è così terrorizzato all’idea di ba****si la faccia che l’istruttore è costretto a insegnargli il dorso. Michael ha un talento innato per il nuoto, ma la sua attenzione è incostante. A scuola, le cose non vanno meglio. Tutte le sue insegnanti ripetono a Debbie le stesse frasi: “Non riesce a concentrarsi su nulla”, “non è portato per questa materia”, “disturba i compagni”.
Determinata a comprendere le difficoltà del figlio, Debbie lo porta da uno specialista. La diagnosi è chiara: ADHD, Disturbo da deficit di attenzione/iperattività. Ma Debbie, oltre ad essere una madre, è anche insegnante e preside. Decide di dimostrare a tutti che si sbagliano. “Sapevo che, se avessi lavorato duro con Michael, lui avrebbe potuto raggiungere tutti gli obiettivi che si fosse prefissato.” Lavora a stretto contatto con gli insegnanti di Michael, trovando modi creativi per aiutarlo a superare le sue difficoltà. Ad esempio, quando Michael fatica con la matematica, gli trova un tutor e lo coinvolge con problemi legati al nuoto, come: “Quanto tempo impieghi a nuotare per 500 metri se nuoti a una velocità di 3 metri al secondo?”
Ogni volta che Michael ha uno scatto di rabbia o frustrazione in piscina, Debbie dagli spalti gli fa un segnale convenzionale a forma di “C” che, nel loro linguaggio privato, significa “Ricomponiti”. Michael migliora a scuola, mentre in vasca è già un piccolo squalo: a 11 anni, è più forte e veloce di qualsiasi altro suo coetaneo negli Stati Uniti.
Nel maggio del 1996, Debbie è convocata per un altro importante colloquio. Questa volta è il suo allenatore, Bob Bowman. “Signora Phelps, nel 2000 Michael parteciperà ai Trials olimpici. Non so se conquisterà la convocazione, ma sicuramente farà parlare di sé. E nel 2004 sarà senza dubbio un atleta che vincerà delle medaglie olimpiche. E saremo solo all’inizio”.
Bob aveva ragione e torto allo stesso tempo. Nel 2000, a Sydney, Michael non solo si qualifica nei 200 metri farfalla, ma raggiunge la finale, classificandosi al quinto posto. Ha appena compiuto 15 anni. Da quel giorno, per i successivi 16 anni, Phelps conquisterà 83 medaglie, di cui 66 d’oro, 28 olimpiche e 33 iridate, diventando nel 2008 a Pechino l’atleta con più ori (otto) in una sola edizione della storia dei Giochi.
Michael Phelps, che ha appena compiuto 39 anni, è diventato un’icona planetaria, il nuotatore più vincente di ogni tempo e uno degli sportivi più forti di ogni epoca. Ma questo campione straordinario è stato anche un bambino con ADHD, come tanti altri nel mondo. La sua fortuna più grande? Una madre, Debbie Phelps, che non ha mai smesso di credere in lui, trasformando i suoi limiti in opportunità.
Forse nessuno dei milioni di bambini con ADHD diventerà Michael Phelps – ma che importa? Dietro una diagnosi e un giudizio senza appello, ci sono talenti e capacità fuori dal comune. A volte, tutto ciò che serve è qualcuno disposto a vederli e a riconoscerli. Qualcuno come Debbie Phelps.