07/04/2023
Mi sembra importante
QUANDO UN FIGLIO NON CE LA FA
A Chieti, uno studente universitario si è tolto la vita, perché era rimasto indietro con gli esami universitari e non riusciva a condividere con la famiglia la verità intorno al suo “non farcela” negli studi. Il dolore di noi genitori nel leggere notizie come queste è implacabile. Perché vorremmo dire a figli così timorosi di comunicarci la loro fatica nello stare alla pari con il piano di studi: “Parlami. Non pensare che è meglio la bugia della verità. Sappi che so starti accanto anche quando non ce la fai. Troveremo il modo di capire come si fa ad affrontare la tua fatica e la tua difficoltà.”. Dovremmo, però, anche chiederci – in quanto genitori - perché i nostri figli non sanno “reggere” la verità di se stessi di fronte a noi, quando questa verità ha a che fare con l’esperienza della sconfitta, dell’errore e della caduta. Forse davvero gli abbiamo insegnato che a noi i figli piacciono solo se obbedienti e vincenti. Forse non gli abbiamo permesso di sentirsi degni del nostro amore, anche quando non sono esattamente come noi avremmo voluto che fossero. Penso anche che dovremmo riflettere su come tante piccole variazioni che abbiamo chiamato “innovazioni” hanno reso fragile tutto e tutti. Mi riferisco ai registri elettronici su cui i voti dei nostri figli vengono pubblicati in tempo reale, così che quando un figlio torna a casa da scuola, la relazione “genitore-figlio” risulta completamente ribaltata. Non è più lui a parlarci di cosa gli è successo, di come gli sono andate le cose. Siamo noi a dirgli che sappiamo già tutto, a commentare prima ancora che lui abbia deciso come, quando e quanto dirci della sua verità. C’è un’enorme fragilità nel mondo interiore dei nostri ragazzi. Deve essere faticoso e dolorosissimo tenere in piedi un “falso se stesso” che rende (fintamente) felice chi non vuoi deludere, preferendo apparire come non si è, piuttosto che essere come non si vorrebbe apparire. La verità di se stessi ognuno la scrive dentro di sé. E l’adultità comporta assumersi la responsabilità di chi si è. Non di quello che gli altri si aspettano che tu sia. Perché questo accada, i nostri figli devono percepirci capaci di stare con loro e per loro anche nell’esperienza dell’errore. Devono sapere ed essere certi che la nostra felicità di genitori non deriva dal loro essere “numeri uno”, ma dal loro diventare chi davvero possono, sanno, vogliono essere.
Forse potrebbe essere utile, partendo dalla notizia – dolorosa e terribile – dello studente di Chieti, leggere questo post con i propri figli e studenti. Comunicare loro che ciò che conta per noi è la loro capacità di sentirsi all’altezza di ciò che davvero vogliono essere. Cosa che potrebbe comportare anche prendere atto che ciò che stanno facendo e vivendo non è in funzione delle loro aspettative, ma delle nostre. Scoperta dolorosa e a volte sconvolgente ma che, una volta fatta, potrebbe restituire a tutti (a loro, i nostri figli e a noi, i loro genitori) il coraggio e la possibilità di fare della propria vita un progetto consapevole e responsabile. Ovvero adulto.
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