Sotto il Noce Erboristeria

Sotto il Noce Erboristeria Usi, consumi e costumi delle erbe officinali

L'uso delle erbe a scopo medicinale é precedente all'agricoltura. I nostri antenati, nomadi e raccoglitori, intuirono ad...
11/06/2025

L'uso delle erbe a scopo medicinale é precedente all'agricoltura. I nostri antenati, nomadi e raccoglitori, intuirono ad esempio che masticare i papaveri alleviava il dolore, ma anche che poteva rivelarsi pericoloso. Queste conoscenze perdurarono nella storia antica e 16 secoli prima di Cristo durante la XVI' dinastia, tra gli Egizi, ci fu chi scrisse il primo trattato di fitoterapia che il mondo abbia conosciuto (fonte: George Ebers 1873 egittologo). Impressionantemente già a quell'epoca si parlava di dosi e quantità in termini molto precisi; avevano inventato la posologia.
A Babilonia si utilizzavano a fini medici più di 250 piante diverse ( fonte: Reginald Campbell Thompson, 1924 assirologo). Successivamente, in Grecia, la conoscenza si affino e poi passo ai Romani.
Nel "Corpus Hippocraticum", del padre della medicina Ippocrate, sono scritti i rimedi vegetali per tutte le malattie conosciute.
Nel II secolo avanti cristo, nel "De re rustica" ,Catone cita 120 piante medicinali che lui stesso coltiva, Dioscoride, un secolo dopo, descrive 500 rimedi (vegetali, animali e minerali) e Galeno inventa la farmaceutica. Non aggiungo Plinio il vecchio perché lui era uno storiografo e nella sua monumentale storia della natura, poco si é curato di distinguere il razionale dall'irrazionale.
Persino durante il medio evo, nonostante la barbarie e l'ignoranza dei secoli bui, questo sapere non andò perduto, mantenuto vivo nei monasteri e tramandato dalle "streghe".
Il rinascimento accolse la cultura botanica ,nuovamente, in seno alla società e Paracelso cercando di estrarre la quint'essenza delle piante, ideò una sistemizzazione dei vegetali per affinità morfologiche. Di li a poco nacquero i primi orti botanici (Pisa 1543; Padova 1545) e nei decenni successivi, apertesi nuove rotte oceaniche arrivarono migliaia di piante sconosciute. Lo sforzo compiuto per incasellare tutto in un organico sistematico portò Carlo Linneo a pubblicare la sua "Systema Naturae". L'origine della tassonomia moderna.
Guardando organicamente la storia delle conoscenze botaniche, ci si accorge che è rettilinea, non ha mai deviato. L'elenco delle piante é andato sempre ampliandosi, la descrizione delle caratteristiche e degli effetti, si é sempre più affinata ed arricchita ed alla fine é arrivata la necessità di organizzare e classificare con rigore le specie. Oggi, le moderne scienze, ci permettono di esplorare ancora più a fondo questo Regno confinante e penso che proseguiremo a camminare sul sentiero tracciato dai nostri antenati ancora molto a lungo; perlomeno finché avremo bisogno d'ossigeno.

Solanum tuberosum. La patata. Giunse in europa molto dopo il ritorno di Colombo. Questi aveva portato dai suoi viaggi il...
01/06/2025

Solanum tuberosum. La patata. Giunse in europa molto dopo il ritorno di Colombo. Questi aveva portato dai suoi viaggi il mais, la batata ( ipomea batatas) e il pomodoro ma la patata era coltivata principalmente sui rilievi, anche sopra i 2000 metri dove le altre specie stentavano. I popoli andini la chiamavano "papa" ed era oggetto di culto. A lei si sacrificavano animali ed anche fanciulli per propiziarne la crescita. Rappresentava l'abbondanza ed era possibile conservarla a lungo sia fresca che essiccata secondo un metodo che è in uso ancora oggi tra quelle popolazioni. È il 'Chuno'; si tratta di un procedimento complesso che sfrutta la rigidità del clima notturmo. Lasciare esposte le patate al gelo andino comporta la formazione di grandi cristalli di ghiaccio che rompono le cellule del tubero, liberando l'acqua allo scongelamento. Dopo un numero preciso e strettamente legato al clima di gelo e disgelo la patata può essere lavata, pressata ed essiccata. Il prodotto finale ha perduto oltre l'80% dei fluidi originali; é diventato leggero e friabile e può essere conservato per decenni. É un ottimo alimento e quando questa tecnica é giunta in Europa si è potuto utilizzarla per, ad esempio, produrre i purè istantanei.
L'inizio della storia della patata nel nostro continente non è così fortunata come si potrebbe immaginare; non era citata nella Bibbia e la forma bitorzoluta, esteticamente sgradevole, portarono molte persone a disprezzare il tubero di questa Solanacea. Lo stesso Linneo, per anni guardò con diffidenza questa pianta, conoscendobe la parentela con le temibili Morella, Belladonna, Giusquiamo e Strammonio che sono tra le erbe più velenose della nostra flora. In effetti le parti verdi anche della patata contengono solanina che può provocare gravi intossicazioni. La patata fu utilizzata come alimento militare in Germania già a partire dal 1665 ma Ci volle uno studio della Facoltà di Medicina di Parigi, interpellata dal governo francese nel 1770 per riabilitare la fama delle patate. Erano state riproposte come alimento qualche anno prima dall'agronomo francese Parmentier Antoine-Augustin, che durante la prigionia in Germania ne apprezzò il sapore, constatando la sua facilità di crescita in terreni relativamente poveri. Nel 1785 re Luigi XVI provò ad imporne la coltivazione ma ottenne la resistenza del popolo. Il re allora mise in pratica uno stratagemma psicologico geniale. Fece coltivare alcuni terreni del Campo di Marte a patate e li fece piantonare dalla guardia reale lasciando trapelare che si trattasse di una prodigiosa leccornia destinata al solo Palazzo. La curiosità, la bramosia e la cupidigia umana spinsero molti al furto ed allo scoppio della rivoluzione il tubero era alimento popolare.
In Italia la patata non apparve nei ricettari che all'inizio dell'ottocento. Pellegrino Artusi, pur non apprezzando veramente le patate le inserisce in molte ricette anche se le considerava vagamente "barbare" intendendo "francesi" ma in un piatto in particolare elevava la patata al rango di "portata" anziché semplice contorno; l'insalata di patate con uova e capperi.

" benché si tratti di (semplici) patate vi dico che questo piatto, nella sua modestia, é degno di essere elogiato, ma non é per tutti gli stomaci"
( P. Artusi. La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene. Ricetta 444).

Oggi parliamo del farinello. Chenopodium album. Il genere chenipodium è un delirio tassonomico di cui neppure il Pignatt...
26/05/2025

Oggi parliamo del farinello. Chenopodium album. Il genere chenipodium è un delirio tassonomico di cui neppure il Pignatti ha trovato la quadra ma almeno in questo caso è male da poco. I chenopodi hanno caratteristiche molto simili tra loro e sono una verdura dimenticata. Dall'India al Messicco, passando per la Francia ed anche l'Italia del nord si son contesi i campi con gli spinaci per secoli e poi han vinto gli spinaci almeno qui; nelle americhe ad esempio meno. La quinoa è un chenopodio e la si coltiva comunemente là.
Ifarinello da noi anticamente si coltivava per le foglie gustose anche se dall'aroma a fresco per me un po' sgradevole e per i semi ricchi di glucidi da mangiare in minestra o sfarinati in pani.
È una pianta abbastanza riconoscibile ma sono note somiglianze ad esempio con Atryplex longifolia che meritano attenzione. Alle volte, come in questo caso basta un particolare, la disposizione delle foglie, a distinguere i generi, alterne nel chenopodio e opposte in Atryplex altre volte è meno immediato.

Oggi con la "riscoperta" di queste piante si assiste ad un fenomeno di riappropriazione culturale. Ci sono persone che "cominciano" a coltivare i chenopodi a scopo alimentare e come è successo con l'amaranto, riscoperto negli anni settanta grazie a studi antropologici, trovano nuova vitalità nelle culture ecologiste emergenti.
Nel resto dei casi amaranto e chenopodio sono erbacce che infestano i sarchiati, specialmente se ben concimati e ricchi d'azoto; prolifici e vigorosi, l'agricoltura li disprezza e li combatte.

Sambucus ebulus. In italia vivono tre specie di sambuco. 2 sono alberi di anche 10 metri di altezza, la terza é il Sambu...
15/05/2025

Sambucus ebulus. In italia vivono tre specie di sambuco. 2 sono alberi di anche 10 metri di altezza, la terza é il Sambucus ebulus o Ebbio che invece é un'erbacea perenne molto pollonifera e crea estese coperture sui suoli umidi e ricchi di nitrati. Delle tre specie il S. ebulus é quello con la maggior concentrazione di principi attivi ma é tossico per l'uomo per la presenza di glucosidi e cianuri nei semi e nelle parti verdi. Anche le bacche sono velenose e a seconda della dose possono essere emetiche o fortemente lassative. È molto importante identificare bene la specie perché le 2 specie arboree ( S. nigra e S. racemosa) sono utilizzati.in erboristeria e in fitoterapia per la cura di molti disturbi, in cucina per la produzione di succhi e confetture ed i frutti fermentati sono utilizzati da millenni per farne vinelle leggermente alcoliche. L'Ebbio invece é tossico anche se nella tradizione popolare il succo delle bacche forniva un colorante per tessuti e una sorta di inchiostro rudimentale. Era utilizzato anche da maghi e guaritori per il colore sanguigno dei suoi succhi e dai pescatori perché le bacche sono molto appetite dai cavedani. I fusti di tutte le specie del genere possiedono un grosso midollo spugnoso, facile da rimuovere e quindi sono stati usati nella costruzione di flauti e cerbottane, giochi poveri adatti a tutti. Identificare correttamente le piante che troviamo é fondamentale per non incorrere in drammatiche conseguenze. Morfologicamente l'Ebbio si differenzia dal Sambuco nero per la forma vegetativa; è un'erbacea non piu alta di 1 o 2 metri mentre il sambuco é un albero anche se molto pollonifero. Le infiorescenze dell'ebbio sono compatte ed erette mentre quelle del sambuco sono patenti. Entrambe le piante hanno odore sgradevole e producono grandi infiorescenze di fiori bianche ma mentre gli stami del sambuco nero sono gialli quelli dell'ebbio sono viola. Gli steli dell'ebbio non sono lignificati e non sono quasi mai ramificati inoltre la forma erbacea cespugliosa é un ottimo indicatore e permette una certa sicurezza nell'identificazione. La cosa che mi sento di dire é che nonostante io abbia una discreta conoscenza delle piante sono sempre molto prudente nell'utilizzo delle spontanee perché la concentrazione dei principi attivi é molto dipendente da fattori poco identificabili come esposizione, condizione climatica, tipo di suolo, presenza di inquinanti etc ; quindi anche quando sono certo dell'identità di una essenza ne evito l'uso medicinale limitandomi ad usi alimentari o domestici come liquori o tisane. Per curarsi con le piante è sempre necessario l'intervento di un medico o un erborista ed anche forti di una grande esperienza é meglio affidarsi a preparati titolati e certificati. Dobbiamo imparare a conoscere e preservare la natura ma la salute é un argomento che si deve affrontare assieme ad un professionista perché la presunzione di sapere é il nostro più pericoloso vizio.

Sambucus nigra. Il sambuco. Molte piante hanno ereditato dalla tradizione fama ambivalente forse perché le forze della n...
14/05/2025

Sambucus nigra. Il sambuco. Molte piante hanno ereditato dalla tradizione fama ambivalente forse perché le forze della natura esprimono in sintesi ispirazioni antitetiche. Per i Germani il sambuco era sacro in quanto appartenente a Holda, una fata nel cui mito riecheggia la figura di F***g mitica moglie del sommo Odino. Costei é dea benevola, che protegge le madri e la loro prole, premia i virtuosi e i laboriosi ma detesta i pigri e i lavativi. Il sambuco quindi diventava amuleto della casa ed é per questo che se ne piantava intorno alle abitazioni ma solo se si fa virtù di vita; i lavativi ne patiscano le conseguenze. Tra i Celti il sambuco era dimora di elfi, che si celavano tra il fogliame e coboldi, nascosti nel midollo spugnoso dei suoi rami e a lui era dedicato il tredicesimo mese del calendario lunare. Il tredici è un numero notoriamente magico e fortemente ambiguo che simboleggia il rinnovamento ciclico, la rigenerazione e quindi anche la morte nel perenne ciclo di rinascita della natura, tant'è vero che, nella tradizione cristiana, il sambuco era posto a suggello nei riti funebri. Il becchino, recandosi a casa del defunto si adornava di fiori, foglie o frutti, a seconda della stagione perché propiziassero il viaggio verso l'aldilà. Il rispetto reverenziale che si portava al sambuco portava addirittura ad inchinarsi o togliere il cappello quando si passava vicino all'albero e nell'uso medicinale ci si imponeva atti di rispetto per cui era comune chiedere all'albero il permesso di coglierne delle parti.
Il sambuco non si bruciava perché si credeva potesse inquinare il focolare con influssi malvagi e non si usava per costruire culle per non esporre i neonati agli scherzi delle fate. Si dice che anche il profumo dei fiori e delle foglie potesse provocar malesseri e perfino la morte.
Con i rami svuotati del midollo spugnoso si producevano flauti che possedevano proprietà magiche, ma i tronchi adatti andavano colti, dopo aver chiesto permesso e aver consegnato qualche cosa di proprio, da un albero cresciuto dove non si sentisse il canto dei galli. Questi flauti avevano il potere di proteggere dai sortilegi e se suonati nell'ora del pericolo, di liberare dai guai.
Le proprietà medicinali del sambuco spesso mischiate alla magia sono note da lungo tempo e sono molti gli antichi autori che ne hanno riportato esempi; da Teofrasto (de causis plantarum) a Dioscoride, da Gaio Plinio Secondo ad Apuleio (de virtutibus herbarum) fino a Castore Durante, tutti concordano sui benefici nell'uso della pianta che oggi é conosciuta per le sue proprietà antinevralgiche (germogli), antisettiche e dermonormalizzanti (foglie), depurative (fiori), antiinfiammatorie delle vie respiratorie( frutti), emetiche o lassative in funzione del dosaggio (corteccia), antigottose (radice) e antidolorifiche per uso topico (midollo). Sette sono le parti usate e sette volte bisognava inchinarsi al sambuco per ringraziare dei suoi doni. Chi aveva le gengive doloranti doveva estrarre una scheggia promettendo di riportarla, a casa si incideva la gengiva fino a bagnare di sangue la scheggia che rimessa al suo posto sull'albero avrebbe trasferito il dolore.
Si credeva anche che potesse scacciare i serpenti e gli scorpioni ed era usanza strofinare i ferri dei cavalli con le foglie per impedirne l'arruginimento e appunto proteggere dai morsi i garetti esposti.
Oggi sappiamo che tutte le parti della pianta esclusi i fiori e le bacche mature senza noccioli, contengono sostanze tossiche tra cui cianuri e alcaloidi ed é quindi bene adoperarla solo sotto stretto controllo medico ed anche per le parti innocue é bene fare attenzione perché molto simili a quelle del Sambuco ebulus (di cui abbiamo parlato in un'altra scheda).

Il pioppo é trino. Si manifesta triplice; infero, umano e celeste.. P. nigra, P. tremula e P. alba. Sembra un mantra del...
09/04/2025

Il pioppo é trino. Si manifesta triplice; infero, umano e celeste..
P. nigra, P. tremula e P. alba. Sembra un mantra della natura in grado di legare tre piani di realtà. E così in effetti era visto.
I pioppi sono alberi sacri, legati alla vita, alla morte ed alla resurrezione in moltissime culture. Il pioppo nero é l'albero di chi piange i suoi morti; essi sono le Eliadi, sorelle di Fetonte che ne piangono la caduta nel fiume Eridano. É un albero legato alla grande madre il cui culto era spesso celebrato all'ombra di pioppi neri.
Il pioppo tremolo, trema come l'uomo colpito dalle febbri, fu Dio in potenza che lo condanno al suo destino, per la sua superbia; un monito per la vita dell'uomo tanto superbamente viva, quanto precaria, improbabile e tremante.
E il pioppo bianco. P.alba...sulla riva del lago di mnemosine, dove i morti, i vivi e chi ancora deve nascere conservano i ricordi e che grazie alle sue acque consacra gli eroi, cresce un grande pioppo bianco testimone della Rinascita e della Memoria. Quando Eracle giunse qui, sfinito dalle 12 fatiche, si inghirlandò per rinfrescarsi dal sole di tralci della pianta. Le pagine inferiori delle foglie a contatto col sudore dell'eroe splendettero di bianco in contrasto col cupo della pagina superiore a testimoniare che egli aveva lottato e vinto in entrambi i mondi. Un simbolo di rinascita quindi, verso un nuovo futuro che contiene in se gia i semi della morte a ricominciare il giro.
In fondo la Grande Madre, rappresenta proprio gli aspetti tellurici, generativi ma incomprensibili e caotici che stanno alla base della vita; quelle cose che ci fanno una gran paura e che cerchiamo di razionalizzare, quelle cose che nella nostra societa controllata e sicura ci spaventano di più. Siamo una ben strana civiltà noi che chiudiamo nell'armadio o sotto al letto le paure per averle sempre a portata di mano ed esorciziamo la morte con l'illusione della sicurezza e del controllo. Ed intanto sotto a tutto, la Natura, bolle.

La mattina successiva alla Candelora la luce sveglia la campagna e fa scricchiolare lo strato di ghiaccio che riposa la ...
01/02/2025

La mattina successiva alla Candelora la luce sveglia la campagna e fa scricchiolare lo strato di ghiaccio che riposa la terra. Pian piano il gelo si scioglie bagnando le zolle e le piante addormentate. Dopo il tramonto nelle radure dove il ghiaccio è disciolto il buio é tagliato dalla corteccia delle betulle, d'argento come la luna che la fa scintillare. É la grande Dea che si desta nell'inverno.
La betulla ne é la personificazione e con lei adduce alle energie caotiche e primordiali della natura. Gli sciamani scandinavi, russi, germanici e celti la consideravano un varco iniziatico. La betulla é un albero "aurorale", che presagisce al risveglio. Le popolazioni di questi luoghi avevano nella betulla un potente alleato. La sola corteccia, da giovanissima é commestibile, più spessa era adatta alla costruzione di sandali e fasciame per le piroghe e da vecchia si usava come copertura per le capanne.
É l'albero della saggezza, della conoscenza della natura e della medicina. Nel medioevo le bacchette dei maestri erano di betulla.
La corteccia é febbrifuga, diuretica e digestiva, la linfa facilita l'eliminazione degli acidi urici e le foglie modulano l'espulsione dell'albumina. Il carbone di corteccia è un valido rimedio nei casi di avvelenamento da funghi del genere Amanita ed é questo un buon motivo perché i druidi, che erano soliti procurarsi stati alterati con elisir a base di funghi, la tenessero in così grande considerazione. Nell'alfabeto oghamico dei celti Beth, é la B, il sapere e la luna. Sulla sua corteccia Ogma incise il primo segno, per avvertire Lugh dell'imminente rapimento della moglie ad opera delle fate se egli non l'avesse protetta con rami di betulla, e così facendo dono l'Alfabeto agli uomini.
L'alfabeto oghamico é costituito da una serie di linee perpendicolari e trasversali che venivano tracciate su pietre o bastoncini di legno di tasso, nocciolo, melo, faggio o betulla ed era impiegato dai Druidi per lanciare incantesimi, imporre o redigere divieti e scrivere poesie. Ogni lettera é un albero, un segno, un simbolo, un animale, uno o più attributi ma anche un'identità, un gruppo etc. La conoscenza approfondita di questo alfabeto permetteva al Druido una comprensione ed una grande proprietà sul mondo fenomenico.

31/12/2024
22/11/2024

Salvataggio di un gattino caduto in una cisterna a campana nei Sassi di Matera.
Grazie Ivan!

Solanum nigrum. La Morella è una pianta con un'aria da spacciatore in un vicolo. Cresce anche nel marciume del disfacime...
05/11/2024

Solanum nigrum. La Morella è una pianta con un'aria da spacciatore in un vicolo. Cresce anche nel marciume del disfacimento urbano ed anzi ama i suoli nitrici e detritici del degrado umano.
É scura e sempre un po' in penombra. È una solanacea ed é velenosa. Possiede un arsenale biochimico micidiale, principalmente glicoalcaloidi come la solanina. Le solanacee sono una famiglia importante per il genere umano. Forniscono medicinali e veleni come la nostra morella (belladonna, strammonio, giusquiamo, tabacco etc) ed anche cibo e cultura (patata, pomodoro, peperone, melanzana etc); tutte contengono un mix di numerosi glicoalcaloidi che le rendono velenose nelle parti verdi e tutte fanno bacche colorate e sugose.
E allora perché alcune bacche sono velenose come quelle della Morella ed altre no?
Perché la natura é sistematica e le prova tutte e mescola e rimescola le componenti del suo complesso biochimico.
Dal punto di vista della pianta ciascun glicoalcaloide ricopre un ruolo definito, normalmente di protezione cellulare( la tomatina del pomodoro ad esempio è un fungicida); derivano quindi da una sintesi molecolare della pianta, che parte per molte solanacee , principalmente, da 6 gliconi e 4 saccaridi del metabolismo steroideo. Combinandoli si ottengono 24 glicoalcaloidi.
Nelle solanacee spesso si trovano mix di queste sostanze, così ad esempio, la tossica solanina si ritrova nella morella e nella dulcamara ma anche nelle patate. Molte solanacee sono state guardate con sospetto dal momento della loro introduzione. Il pomodoro ad esempio non venne consumato fino alla metà del 700 nonostante fosse arrivato in europa quasi 2 secoli prima. Così come la patata, in cui venne isolata la solanina agli inizi del XIX secolo. Le parti verdi delle solanacee sono da evitare proprio perché vi sono contenute quantità rilevanti di alcaloidi tossici, mentre nei frutti maturi si riscontrano concentrazioni più basse che nei frutti acerbi.
La morella delle foto é cresciuta tra due travi poggiate al suolo in un cantiere industriale a dimostrazione che amano gli ambienti antropizzati ed é cosmopolita, nel senso che cresce in tutto il pianeta.
Le sue proprietà narcotiche sono conosciute fin dall'antichità ed anzi il nome Solanum deriva da un termine latino "solor" che significa "io co***lo" proprio in relazione all'uso analgesico che l'uomo ne ha fatto lungo la storia. Molti sono gli usi che se ne faceva in passato, sia esterni che interni ed in letteratura sono riportati addirittura usi culinari per le foglie ma io qui non mi inoltro perché la pianta è realmente pericolosa come molte delle sue sorelle. Posso però dire invece dell'uso "magico" che se na faceva. Le piante non sono ne buone ne cattive, attribuiamo noi un valore ad esse ma le solanacee sono particolari. Si dice che chi possedeva la conoscenza delle solanacee poteva rovesciare regni, evitare guerre, indurre alla propria volontà ed era quindi vista con sospetto. Erano le piante di Medea, di Circe, di Ecate, grandi e potenti Streghe maestre d'erbe e d'avvelenamento e quindi anche di guarigione. Il termine "Pharmakos" in origine indicava un rito di purificazione che prevedeva l'allontanamento di un "maledetto" dalla città che si portasse via il male, costui era reietto e contemporaneamente salvatore. Più tardi il termine si personificò in "Pharmakeus" che assunse il sognificato di avvelenatore, stregone ma anche guaritore ed infine si disse "Pharmakon" , droga, pianta curativa ed anche veleno da cui si deriva la nostra parola "farmaco" ; le solanaceae come le papaveraceae furono forse le prime tra queste "medicine".

Indirizzo

Via Ospedale Vecchio, 11 (Sassi/Porta Pistola)
Matera
75100

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