
04/06/2025
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Morgan Freeman stava in piedi sotto il sole del tardo pomeriggio, sul set dell’ex carcere dell’Ohio, durante le riprese di Le ali della libertà (The Shawshank Redemption, 1994). Continuava a lanciare una palla da baseball a Tim Robbins, fra una ripresa e l’altra. La scena, per chi guardava da fuori, sembrava semplice, quasi insignificante. Ma dietro la macchina da presa, non lo era affatto: ci vollero quasi nove ore di riprese per portarla a termine.
Per tutto quel tempo, Freeman non chiese mai una pausa.
Non disse mai di provare dolore.
Non si lamentò nemmeno una volta.
La scena in questione è breve, apparentemente tranquilla: Red (interpretato da Freeman) è seduto sugli spalti e parla con Andy Dufresne (Robbins), lanciando di tanto in tanto la palla per mantenere un ritmo naturale. Ma per il regista Frank Darabont, ogni dettaglio doveva essere perfetto: la posizione del sole, la fluidità dei dialoghi, le reazioni di Robbins.
E questo significava rilanciare la palla esattamente nello stesso modo, per ore.
Nessuno si accorse di nulla.
Freeman, sul set, era come sempre: silenzioso, preciso, presente.
Solo il giorno dopo, quando si presentò con il braccio al collo, la troupe capì che si era fatto male.
Darabont ricorda:
“Morgan non disse niente.
Si presentò il giorno dopo con il braccio in una fascia. Tutto qui.”
Si era infortunato durante quella scena. E non aveva lasciato trapelare nulla.
Nessun lamento. Nessuna smorfia.
Non per orgoglio.
Non per testardaggine.
Ma per rispetto: per il personaggio, per la troupe, per il lavoro.
All’epoca, Le ali della libertà era un film senza garanzie, piccolo, quasi ignorato.
Red doveva apparire calmo, sereno.
Un solo accenno di dolore avrebbe rovinato tutto.
Quella resistenza silenziosa divenne leggendaria sul set.
Tim Robbins lo disse anni dopo:
“Quel giorno abbiamo capito tutto di Morgan.
Lui non recita per la telecamera.
Lui vive ogni scena, qualunque sia il prezzo da pagare.”
L’elegante riservatezza di Freeman durò solo pochi giorni, quanto bastava per far guarire il braccio. Poi tornò al lavoro.
Niente annunci. Nessun trattamento speciale.
Arrivava puntuale. Conosceva ogni battuta. E interpretava Red con quella calma profonda che ha reso il personaggio indimenticabile.
Freeman ha sempre riassunto il suo modo di vedere il mestiere con queste parole:
“Il tuo lavoro è la tua parola.
Se ti presenti senza dare tutto te stesso, stai tradendo quella parola.”
Non è spettacolo.
È la voce di un uomo che ha conosciuto il silenzio, il rifiuto, l’attesa.
E che ha deciso, quando finalmente è arrivato il suo momento, di onorarlo con umiltà e disciplina.
E il risultato di quella lunghissima giornata?
Una scena di meno di un minuto nel montaggio finale del film.
Ma per chi era presente quel giorno, quella scena racchiude tutto:
la pazienza, la dedizione, e la grandezza silenziosa di Morgan Freeman.
Non cercava applausi.
Voleva solo finire la scena.