17/11/2025
Ci sono momenti in cui la vita ci mette davanti a qualcosa che non si può controllare, correggere o prevedere.
Momenti in cui il dolore arriva come una corrente improvvisa e ciò che credevamo stabile diventa fragile.
In questi passaggi non serve avere risposte:
serve solo restare presenti.
Le persone, nei momenti estremi, non si comportano come immaginiamo.
La sofferenza può rendere più profondi,
ma può anche rendere più confusi, più chiusi, più rigidi.
Nessuno di noi sa davvero come reagirà finché non ci è dentro.
Per questo è importante ricordare una verità semplice e difficile:
il comportamento degli altri non definisce il nostro valore,
ma il loro limite.
È un errore pensare che ciò che gli altri fanno —
o non fanno —
sia sempre una misura di ciò che meritiamo.
A volte è solo l’espressione delle loro paure,
del loro caos interiore,
delle loro incapacità emotive.
E allora ciò che ci è chiesto non è giudicare,
ma non lasciarci ferire due volte:
una dal dolore,
una dall’interpretazione.
La vita, anche nelle sue pieghe più dure,
ci chiede una cosa sola:
custodire la nostra umanità.
Non diventare cinici,
non diventare duri,
non chiudere il cuore per paura.
Continuare ad amare, anche se tremiamo.
Continuare a restare fedeli a noi stessi, anche quando gli altri non lo sono.
Continuare a scegliere la dignità, anche quando tutto sembra confusione.
Ogni volta che attraversiamo un dolore grande,
la domanda non è “perché è successo?”,
ma “chi voglio diventare mentre lo attraverso?”
E lì, in quella domanda,
comincia la nostra libertà.
Dr. Carlo D’Angelo –