Chiara Todaro Psicoterapeuta ψ

Chiara Todaro Psicoterapeuta ψ Psicologia del Benessere

La pagina dello Studio di Psicologia di Vicolo Beneficio condivide articoli, notizie su temi attuali e proposte di letture riguardanti il nostro benessere psicologico. E' possibile richiedere una consulenza presso lo studio oppure on line scrivendo un messaggio o contattandomi all'indirizzo skype: chtodaro;
verrano proposti percorsi e risposte specifiche mirate a promuovere, sostenere e recuperare il benessere psicologico e personale per la coppia, la famiglia e il singolo individuo nelle diverse fasi della vita.

Nella cultura giapponese esiste un’antica pratica artistica che racchiude una profonda saggezza psicologica: il kintsugi...
19/11/2025

Nella cultura giapponese esiste un’antica pratica artistica che racchiude una profonda saggezza psicologica: il kintsugi, letteralmente “unione d’oro”. Si tratta dell’arte di riparare con la lacca e polvere d’oro un oggetto di ceramica rotto, rendendo visibili le crepe invece di nasconderle.
L’oggetto, così restaurato, non solo recupera la sua forma, ma acquista un valore e una bellezza nuovi: la sua storia diventa parte della sua identità.

Il kintsugi nasce nel XV secolo, durante lo sh**unato giapponese. La leggenda narra che uno sh**un, rammaricato per la riparazione rozza di una tazza del tè, chiese agli artigiani di trovare un modo più armonioso di rimetterla insieme.
Essi usarono allora la lacca mescolata a polvere d’oro, trasformando la frattura in un segno di bellezza e rinascita.

Alla base del kintsugi vi è la filosofia wabi-sabi, che celebra l’imperfezione, la transitorietà e la semplicità. L’oggetto rotto non viene scartato, ma trasformato, in una metafora potente della condizione umana.

Sul piano psicologico, il kintsugi rappresenta un modello di resilienza e accettazione del sé.
Le ferite — emotive o relazionali — sono inevitabili nella vita. Spesso la nostra cultura spinge a negarle o a nasconderle, come se la vulnerabilità fosse un difetto. Il pensiero giapponese, invece, suggerisce di riconoscere la frattura, valorizzarla e integrarla nella propria storia personale.

Il processo terapeutico può essere visto come una forma di kintsugi interiore:

la presa di coscienza del trauma corrisponde al riconoscimento della rottura;

la rielaborazione emotiva è la fase di riparazione, lenta e preziosa;

la rinascita avviene quando la persona trasforma la ferita in forza e significato, proprio come l’oro che evidenzia le crepe.

In questo senso, le cicatrici non sono segni di debolezza, ma testimonianze di sopravvivenza e crescita.

Il kintsugi ci invita a cambiare sguardo: la perfezione non è sinonimo di bellezza, e la fragilità non è un limite.
Ogni esperienza dolorosa, se accolta e trasformata, può diventare una traccia luminosa del nostro percorso.
In una società che tende a occultare i fallimenti e a celebrare l’efficienza, questa filosofia insegna la gentilezza verso sé stessi e la possibilità di trovare senso anche nelle fratture più profonde. Essere umani significa inevitabilmente rompersi, ma anche poter scegliere come ricomporsi.
Il kintsugi ci ricorda che il valore non sta nell’assenza di fratture, ma nel modo in cui le accogliamo e le trasformiamo.
Ogni crepa può diventare un filo d’oro: il segno tangibile di una bellezza che nasce dalla cura, non dalla perfezione.

Il kintsugi non riguarda soltanto gli oggetti, ma diventa un modo diabitare la vita con consapevolezza. Ogni volta che accettiamo una perdita, una delusione o un cambiamento senza rinnegarlo, compiamo un piccolo atto di kintsugi interiore. La nostra storia si ricompone, e in quella nuova forma — forse meno perfetta, ma più autentica — brilla un valore che prima non esisteva.

Così, imparare a riparare con l’oro significa imparare a trasformare la sofferenza in saggezza, la frattura in connessione, la fragilità in forza. È un invito a guardare noi stessi con occhi più morbidi e a riconoscere che, proprio nelle nostre imperfezioni, si nasconde la più profonda forma di bellezza umana.



In un’epoca segnata da ansia da prestazione, burnout e perdita di significato, il concetto giapponese di ikig*i offre un...
19/11/2025

In un’epoca segnata da ansia da prestazione, burnout e perdita di significato, il concetto giapponese di ikig*i offre un orizzonte psicologico e filosofico di straordinaria attualità. Letteralmente, iki significa “vita” e g*i “valore” o “motivo”. L’ikig*i è dunque il “motivo per cui vale la pena vivere”, una dimensione esistenziale che unisce piacere, scopo e contributo al mondo.

L’idea di ikig*i nasce in Giappone come parte della visione olistica della vita tipica della cultura nipponica, dove il benessere non è mai solo individuale, ma intrecciato con l’armonia sociale e naturale. Nelle isole di Okinawa – note per l’alta longevità dei suoi abitanti – l’ikig*i è considerato uno dei fattori chiave del vivere a lungo e in salute.
Più che un obiettivo da raggiungere, l’ikig*i è un processo di scoperta e continuità, una direzione che accompagna l’individuo lungo tutto il ciclo di vita, sostenendolo nei momenti di cambiamento o crisi. Nella sua interpretazione contemporanea, spesso rappresentata da un diagramma di quattro cerchi sovrapposti, l’ikig*i nasce dall’incontro tra:

Ciò che ami – le passioni, le attività che generano entusiasmo e flusso (flow).

Ciò in cui sei bravo – le competenze e i talenti, riconosciuti anche dagli altri.

Ciò di cui il mondo ha bisogno – il senso di contributo, la connessione etica e sociale.

Ciò per cui puoi essere pagato – la sostenibilità economica e la possibilità di vivere del proprio scopo.

Quando queste dimensioni si sovrappongono, si crea una zona di equilibrio che integra piacere, utilità e significato: l’essenza dell’ikig*i.

Dal punto di vista psicologico, il concetto di ikig*i si collega a diverse teorie occidentali del benessere e della motivazione.

Con la logoterapia di Viktor Frankl condivide l’idea che la ricerca di senso sia la forza primaria della psiche umana.
Con la teoria dell’autodeterminazione (Deci e Ryan) condivide l’importanza di autonomia, competenza e relazioni come bisogni fondamentali. Con il positive psychology movement (Seligman) condivide l’enfasi sul meaning come componente della felicità autentica.
In questo senso, l’ikig*i non è un semplice “scopo di vita” in senso produttivo, ma un equilibrio dinamico tra dimensioni interne (desideri, talenti, valori) ed esterne (relazioni, contributo, contesto).
Trovare il proprio ikig*i non significa costruire un progetto perfetto, ma ascoltare ciò che dà senso alle giornate. È una pratica di attenzione quotidiana, fatta di piccoli gesti che riconnettono alla propria vitalità.
Molti terapeuti e coach integrano oggi l’ikig*i come strumento esplorativo, invitando le persone a riflettere su domande come:

Cosa mi fa sentire vivo?

Quali attività mi fanno perdere la nozione del tempo?

In che modo posso essere utile agli altri restando fedele a me stesso?

L’obiettivo non è “trovare una risposta definitiva”, ma sviluppare un dialogo continuo con la propria autenticità. In una cultura che misura il valore personale attraverso la produttività, l’ikig*i ci ricorda che la realizzazione non coincide con il successo esterno, ma con l’allineamento interiore tra ciò che siamo, ciò che facciamo e ciò che doniamo.
Vivere secondo il proprio ikig*i significa costruire un senso di coerenza esistenziale: una calma presenza nel mondo, in cui ogni azione, anche la più semplice, diventa espressione di significato.

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Errori da non ripetere: come la nostra storia familiare influenza il presenteLa famiglia è il primo contesto in cui impa...
15/11/2025

Errori da non ripetere: come la nostra storia familiare influenza il presente
La famiglia è il primo contesto in cui impariamo a conoscere noi stessi e il mondo. È il luogo dove sviluppiamo le prime relazioni affettive, i modelli di comunicazione e le prime strategie di coping di fronte alle difficoltà. Tuttavia, ogni famiglia porta con sé schemi, comportamenti e convinzioni che, se disfunzionali, possono lasciare impronte profonde sullo sviluppo emotivo e relazionale dell’individuo. Riconoscere questi modelli e imparare a non ripeterli è un passo fondamentale per crescere come persone libere e consapevoli.

La memoria emotiva familiare
Ogni famiglia costruisce una sua “cultura emotiva”: modalità di esprimere l’affetto, gestione dei conflitti, interpretazione delle emozioni. Crescendo in questo contesto, interiorizziamo regole implicite e aspettative che diventano una sorta di mappa inconscia della realtà.

Alcuni esempi comuni includono:

Critiche costanti o svalutazioni: bambini che crescono in un contesto ipercritico possono sviluppare insicurezza, perfezionismo e difficoltà ad accettare se stessi.

Eccesso di controllo o iperprotezione: può portare a dipendenza dagli altri o incapacità di prendere decisioni autonome in età adulta.

Distanze emotive o scarsità di affetto: spesso si traducono in difficoltà a entrare in intimità, paura di abbandono o inibizione nell’esprimere emozioni.

Spesso questi schemi non sono evidenti: si manifestano in comportamenti ripetitivi, scelte affettive simili a quelle dei genitori, o in difficoltà a stabilire confini sani. In psicologia, questi modelli vengono definiti “schemi familiari” e rappresentano una sorta di programma inconscio che guida le nostre azioni e reazioni.

Gli errori più comuni da evitare
Ripetere i ruoli disfunzionali
Chi ha vissuto genitori autoritari può diventare eccessivamente controllante con partner o figli. Chi ha vissuto trascuratezza può sviluppare comportamenti di ricerca costante di approvazione, sacrificando bisogni e desideri personali.

Trasmettere paure e insicurezze
L’ansia, la rabbia o il senso di colpa non elaborati possono trasferirsi ai figli o alle relazioni adulte, creando un circolo generazionale difficile da spezzare.

Negare il proprio vissuto
Minimizzare o ignorare esperienze dolorose impedisce di elaborarle. Questo può portare a comportamenti automatici che replicano inconsapevolmente le dinamiche familiari.

Idealizzare il passato
Idealizzare genitori o contesti familiari può impedire di riconoscere modelli dannosi e di intervenire su di essi.

Evocare colpa o vergogna
Punirsi per errori passati o per comportamenti che replicano dinamiche familiari blocca la possibilità di crescita e perpetua schemi negativi.

Trascurare l’influenza delle emozioni non espresse
Molti comportamenti problematici nascono dal tentativo di evitare emozioni dolorose. Imparare a riconoscerle e gestirle è fondamentale per non replicare schemi familiari.

Come interrompere il ciclo
Interrompere i modelli disfunzionali richiede consapevolezza, riflessione e pratica costante. Alcuni strumenti utili includono:

Riconoscere i propri schemi
Osservare le proprie emozioni, pensieri e reazioni nelle relazioni intime permette di identificare schemi ripetitivi. La consapevolezza è il primo passo verso il cambiamento.

Fare scelte consapevoli
Riconoscere quali comportamenti desideriamo mantenere e quali modificare. Ad esempio, imparare a esprimere un disaccordo senza rabbia o a chiedere supporto senza sentirsi in colpa.

Cercare supporto esterno
La psicoterapia, in particolare approcci come la Schema Therapy o la Terapia Cognitivo-Comportamentale, aiuta a elaborare il passato e a costruire nuove strategie di gestione emotiva. Anche gruppi di sostegno e workshop psicologici possono essere utili.

Praticare l’auto-compassione
Accettare di essere figli del proprio contesto familiare senza giudizio, riconoscendo i limiti del passato e trattandosi con gentilezza.

Coltivare relazioni consapevoli
Scegliere amicizie e relazioni affettive che incoraggino rispetto, ascolto e sicurezza emotiva. Questo permette di sperimentare dinamiche diverse da quelle vissute in famiglia.

Scrivere e riflettere sul passato
Tenere un diario emotivo o praticare esercizi di scrittura riflessiva aiuta a chiarire schemi ripetitivi e a trasformare il vissuto in consapevolezza.

Educazione emotiva per i figli
Chi decide di avere figli può applicare consapevolmente lezioni apprese, evitando di trasmettere schemi disfunzionali. L’attenzione alla comunicazione, al riconoscimento delle emozioni e all’autonomia favorisce uno sviluppo emotivo sano.

Esempi pratici
Scenario familiare: una persona cresciuta in una famiglia dove la rabbia era repressa può evitare i conflitti a tutti i costi. Senza consapevolezza, rischia di replicare lo stesso schema con il partner, portando a frustrazione e incomprensioni.

Scenario relazionale: chi ha vissuto genitori ipercritici può ripetere inconsapevolmente lo stesso atteggiamento verso amici o colleghi, creando tensioni e isolamento.

In entrambi i casi, riconoscere la dinamica e agire consapevolmente, ad esempio esprimendo le proprie emozioni o chiedendo feedback, permette di interrompere il ciclo.

Guardare avanti senza dimenticare
La nostra storia familiare non determina il nostro destino. Riconoscere gli errori del passato non significa colpevolizzare se stessi o i propri genitori, ma acquisire strumenti per fare scelte consapevoli. Ogni passo verso la consapevolezza emotiva è un’opportunità per costruire relazioni più sane, un’identità più autentica e una vita libera dai vincoli del passato.

Accettare il proprio passato con le sue difficoltà non indebolisce: ci permette di affrontare il presente con forza e di costruire un futuro emotivamente sicuro. Solo così possiamo interrompere i cicli disfunzionali e creare un’eredità emotiva positiva, sia per noi stessi sia per le generazioni future.

Il termine gaslighting è sempre più presente nel linguaggio comune, nei media e nei discorsi sulla salute mentale. Non s...
15/11/2025

Il termine gaslighting è sempre più presente nel linguaggio comune, nei media e nei discorsi sulla salute mentale. Non si tratta di una parola alla moda, ma di un fenomeno psicologico profondo, capace di minare lentamente la percezione di sé di una persona. Comprendere il gaslighting significa imparare a riconoscere le dinamiche manipolative che possono insinuarsi nelle relazioni affettive, familiari, amicali, lavorative e persino sociali.

Origine del termine
La parola gaslighting deriva dal film “Gaslight” (1944), in cui un marito manipola la moglie al punto da farle dubitare della propria sanità mentale. Una delle tecniche consisteva nel modificare l’intensità della luce a gas in casa e negare costantemente di averlo fatto: un gesto simbolico ma potentissimo, che rappresenta perfettamente l’essenza del gaslighting moderno.

Che cos’è il gaslighting
Il gaslighting è una forma di manipolazione psicologica nella quale una persona mette in discussione la realtà dell’altra. L’obiettivo — conscio o inconscio — è far sì che la vittima perda sicurezza nelle proprie percezioni, nei propri ricordi e nel proprio giudizio.
Si tratta di un processo graduale, quasi mai evidente all’inizio, e che si costruisce attraverso piccole negazioni, minimizzazioni e distorsioni.

Come funziona: le tecniche più comuni
Chi mette in atto gaslighting utilizza una serie di strategie ricorrenti, spesso sottili:

1. Negazione sistematica
Frasi come:

“Non è mai successo.”

“Stai esagerando.”

“Ti inventi tutto.”
servono a far vacillare la fiducia della vittima nella propria memoria.

2. Minimizzazione delle emozioni
Quando i sentimenti dell’altro vengono ridicolizzati o svalutati:

“Sei troppo sensibile.”

“Reagisci sempre in modo esagerato.”

3. Rovesciamento delle responsabilità
La vittima viene accusata di provocare o immaginare problemi:

“Il problema sei tu.”

“Sei tu che ti comporti male.”

4. Manipolazione dei fatti
La persona manipolatoria racconta eventi in modo distorto, selettivo o parziale per far apparire sé stessa in modo innocente e l’altro in errore.

5. Isolamento sottile
Indurre la vittima a dubitare di amici o familiari, insinuando che “non capiscono” o che “non vogliono il suo bene”.

Effetti sulla vittima
Il gaslighting può avere conseguenze profonde e dolorose. Tra le più comuni:

Confusione costante: la persona non sa più di chi fidarsi, nemmeno di sé stessa.

Riduzione dell’autostima: sentirsi “sbagliati” o incapaci di capire la realtà.

Dipendenza emotiva: chi subisce gaslighting può affidarsi sempre più al giudizio del manipolatore.

Ansia e senso di colpa: vivere in uno stato di allerta o chiedere scusa continuamente.

Difficoltà decisionali: ogni scelta sembra rischiosa o potenzialmente errata.

Il punto più delicato è che la vittima spesso non riconosce subito la manipolazione: il gaslighting è progettato proprio per rendere la persona dubbiosa e insicura.

Perché alcune persone fanno gaslighting
Le motivazioni possono essere diverse e non sempre consapevoli:

Bisogno di controllo o potere nella relazione.

Paura dell’abbandono: manipolare per trattenere l’altro.

Stili relazionali appresi in famiglie manipolative.

Tratti narcisistici o antisociali.

Difesa da un sé fragile, che teme il confronto diretto.

Non sempre chi attua gaslighting è “cattivo”: in alcuni casi si tratta di schemi relazionali interiorizzati e ripetuti automaticamente. Ciò non toglie che siano dannosi e che vadano riconosciuti e interrotti.

Come riconoscere il gaslighting
Alcuni segnali utili:

Ti senti spesso confus* su ciò che è accaduto.

Ti scusi per cose di cui non sei responsabile.

Hai l’impressione di “camminare sulle uova”.

Ti chiedi se stai diventando troppo sensibile.

Eviti di esprimere emozioni o bisogni per paura della reazione dell’altro.

Ti senti svuotato, insicuro, meno te stesso.

Se diversi di questi aspetti risuonano, è importante prestare attenzione alla qualità della relazione.

Come proteggersi
Un percorso di uscita dal gaslighting è possibile, e può essere costruito con cura e gentilezza verso sé stessi.

1. Fidati delle tue sensazioni
Le emozioni sono un sistema di segnalazione prezioso: se ti senti confus*, svalutat* o controllat*, qualcosa merita attenzione.

2. Mantieni un contatto con l’esterno
Parlare con una persona di fiducia può aiutare a ritrovare orientamento e confermare la tua percezione dei fatti.

3. Prendi nota degli eventi
Scrivere ciò che accade può rendere più chiaro il quadro e contrastare la distorsione della realtà.

4. Imposta confini chiari
Dire “no”, chiedere rispetto o interrompere conversazioni manipolative è un passo di autodifesa.

5. Cerca supporto professionale
Uno psicologo può aiutare a distinguere dinamiche disfunzionali, rinforzare il senso di sé e ricostruire l’autostima.

Conclusione
Il gaslighting è una forma di manipolazione subdola ma riconoscibile, e soprattutto superabile. Educarci a leggerne i segnali — senza giudizio, con rispetto verso le nostre emozioni — permette di proteggerci e proteggere gli altri.
Imparare a fidarsi della propria voce interna è un gesto di cura autentica, un modo per rimettersi al centro e vivere relazioni più sane, libere e rispettose.

Indirizzo

Vicolo Beneficio, 14
Merate
23807

Orario di apertura

Lunedì 08:00 - 20:00
Martedì 08:00 - 20:00
Mercoledì 08:00 - 20:00
Giovedì 08:00 - 20:00
Venerdì 08:00 - 20:00
Sabato 08:00 - 20:00

Sito Web

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