
01/07/2025
𝐏𝐄𝐑𝐂𝐇𝐄́ 𝐬𝐩𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐏𝐑𝐄𝐅𝐄𝐑𝐈𝐀𝐌𝐎 𝐆𝐋𝐈 𝐀𝐍𝐈𝐌𝐀𝐋𝐈?
Molte persone che hanno vissuto traumi nell’infanzia preferiscono la compagnia di un animale a quella di un essere umano perché il loro sistema nervoso, il loro campo energetico e la loro coscienza profonda si sono dovuti adattare a condizioni di relazioni umane vissute come pericolose, caotiche o incoerenti.
Questa preferenza non è una semplice scelta affettiva, ma il risultato di un processo complesso di sopravvivenza, autoregolazione e protezione, che non va giudicata.
Dal punto di vista del sistema nervoso centrale, un bambino che cresce in un ambiente in cui i caregiver sono imprevedibili, assenti, svalutanti o pericolosi sviluppa una costante attivazione dell’asse dello stress.
Il sistema nervoso simpatico può restare in iperattivazione cronica (allerta, vigilanza, fuga), oppure può prevalere una risposta dorsovagale di congelamento (apatia, ritiro, disconnessione).
In entrambi i casi, l’organismo associa la relazione con l’essere umano a uno stato di 𝐩𝐞𝐫𝐢𝐜𝐨𝐥𝐨.
Il contatto con un altro umano, quindi, anche da adulto, può generare inconsciamente allerta, contrazione o un senso profondo di affaticamento.
L’animale, invece, non richiede performance sociali, non emette giudizi, non minaccia l’identità, e soprattutto comunica in modo non verbale, coerente e leggibile.
Questo regola il sistema nervoso traumatizzato: la coerenza ritmica della sua presenza favorisce il ritorno alla sicurezza, attiva il nervo vago ventrale e la produzione di ossitocina, facilitando il radicamento e l’autoconsolazione.
Chi ha vissuto traumi precoci ha spesso un 𝐜𝐚𝐦𝐩𝐨 𝐚𝐮𝐫𝐢𝐜𝐨 𝐚𝐥𝐭𝐞𝐫𝐚𝐭𝐨: squilibrio nei chakra inferiori (senso di sicurezza, confini, corpo) e nei chakra superiori (fiducia, relazione, apertura).
La vicinanza con un essere umano può innescare dinamiche di difesa, fuga o iperadattamento.
L’animale, al contrario, ha un campo energetico stabile, privo di maschere, con una vibrazione 𝐜𝐨𝐬𝐭𝐚𝐧𝐭𝐞.
Non forza, non invade, non impone ruoli. L’umano traumatizzato può “sintonizzarsi” su questo campo come su una base neutra e armonica.
Il comportamento che ne deriva è una forma di evitamento sociale che però ha una funzione regolativa: evitare il dolore relazionale per non riattivare le ferite.
Molte persone che hanno vissuto ferite profonde nel legame umano primario (madre, padre, famiglia) sviluppano una forma di rifiuto dell’incarnazione relazionale.
C’è una ferita di fiducia nell’altro, e spesso anche una separazione interiore tra anima e corpo, tra cuore e radici.
Gli animali, con la loro purezza istintiva e la totale assenza di ego, diventano per loro un ponte verso l’amore incondizionato, ma in una forma non minacciosa.
Il loro sguardo non giudica, non chiede di essere “all’altezza”, non rievoca le aspettative mancate.
La connessione con l’animale diventa quindi un 𝐛𝐚𝐥𝐬𝐚𝐦𝐨 per l’anima ferita, un momento di quiete nel caos del mondo umano. È come se l’anima dicesse: “Da te, almeno, non devo difendermi.”
In questa scelta c’è una forma di guarigione silenziosa, ma anche una difesa.
Il rischio è che diventi una zona di comfort, ma nel tempo, se accolta e rispettata, può aprire la strada a una relazione nuova anche con l’umano, fondata non più sulla paura, ma sulla presenza.
Intanto, godiamoci i nostri piccoli amori pelosi.
𝒞𝓁𝒶𝓊𝒹𝒾𝒶 𝒞𝓇𝒾𝓈𝓅ℴ𝓁𝓉𝒾