02/12/2025
Ruolo del contesto...
Una domanda che in terapia ritorna spesso è questa: quanto contano il contesto in cui siamo cresciuti e quanto invece contano le nostre caratteristiche personali?
È una domanda importante, perché molte persone arrivano pensando che tutto ciò che oggi fa male e fa soffrire sia “colpa loro”.
Altre, invece, arrivano convinte che sia “tutta colpa della famiglia”, della storia personale o comunque di qualcosa che viene da fuori.
La verità è che le cose sono più complesse… ma proprio per questo più chiare da comprendere quando iniziamo a guardarle nel modo giusto.
Non siamo né totalmente vittime del contesto, né completamente liberi da ciò che abbiamo vissuto.
Siamo il risultato di un concorso di responsabilità tra ambiente, predisposizioni, storia personale e risorse interne.
Fin dai primissimi anni di vita, infatti, il nostro cervello registra tutto. Prima ancora di capire il significato delle cose, ne assorbiamo l’impatto.
La scienza ce lo spiega chiaramente, la plasticità cerebrale infantile è altissima.
Questo significa che le esperienze ricorrenti, positive o negative, modellano i circuiti emotivi, cognitivi e relazionali.
Impariamo attraverso l’osservazione, l’imitazione e il modellamento.
Non scegliamo cosa assorbire: lo assorbiamo e basta. Se cresciamo in una famiglia dove la dipendenza è “normale”, fatichiamo a vedere la disfunzione. Se viviamo relazioni caotiche, quelle modalità diventano per noi familiari. Se le emozioni non vengono riconosciute o regolate, impariamo a viverle come possiamo.
Tutto questo non determina il nostro destino, ma influenza profondamente il nostro modo di funzionare.
Allo stesso tempo, ognuno di noi nasce con un temperamento, più sensibile, più impulsivo, più resistente o più vulnerabile.
Queste predisposizioni biologiche spiegano perché due persone, cresciute nello stesso ambiente, possano sviluppare reazioni molto diverse.
Un bambino più sensibile assorbirà di più. Uno più impulsivo potrà essere più esposto a certi rischi. Uno più regolato potrà reagire in modo più stabile.
La psicologia moderna parla di interazione gene × ambiente: non si tratta di scegliere tra cosa viene da fuori o cosa viene da dentro, ma di capire come queste due dimensioni si influenzano continuamente.
Il contesto può amplificare le vulnerabilità o sostenere le risorse.
E il nostro assetto interno può renderci più o meno esposti agli effetti dell’ambiente.
Ed è proprio tenendo insieme queste due dimensioni (ciò che ci ha influenzati e il modo in cui siamo predisposti a reagire) che possiamo capire come arriviamo all’età adulta con certi automatismi e certe modalità di funzionamento.
L’età adulta non elimina ciò che abbiamo imparato da piccoli, ma ci offre la possibilità di comprenderlo.
In terapia questo passaggio è fondamentale, scoprire che certi automatismi, certe difficoltà o certe fragilità non sono “difetti personali”, ma risposte costruite in un contesto che forse oggi non c’è più.
La libertà adulta non consiste nel “scegliere tutto da zero”, ma nel poter guardare le cose con più consapevolezza e iniziare a cambiare le risposte automatiche.
È la possibilità di dire: “Questo me lo porto dietro da anni, ma oggi posso farci qualcosa.”
In terapia cerchiamo sempre di distinguere ciò che arriva dal passato, ciò che appartiene al nostro temperamento, ciò che oggi possiamo modificare e ciò che invece dobbiamo imparare a gestire. Non per togliere responsabilità, ma per distribuirla in modo realistico. Non per trovare colpevoli, ma per capire come siamo arrivati fin qui.
È un equilibrio delicato tra il riconoscere l’imprinting del contesto, l’accettare le nostre caratteristiche individuali e l’attivare la parte adulta che oggi può fare scelte più funzionali. Perché dove c’è consapevolezza, c’è possibilità di cambiamento. E dove c’è possibilità di cambiamento c’è anche responsabilità, quella vera sana che ci libera.
Ricordiamocelo sempre, capire da dove veniamo non serve a trovare scuse, ma a costruire strade di vita più libere.
E questo è importante, perché la consapevolezza non cambia il passato, ma cambia il nostro modo di abitarlo. E, proprio grazie a questa consapevolezza, possiamo essere figli della nostra storia, sì, ma non per questo dobbiamo esserne prigionieri.