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Questo progetto prende avvio dalla voglia di dare un contributo nuovo alla scienza psicologica, con il desiderio di partire da alcune domande volte a stimolarne di nuove.
In una ricerca del 14 giugno 2017 pubblicata su Psychological Science, viene portata avanti la tesi secondo cui è sufficiente leggere o ascoltare parole il cui significato è legato ad una maggiore o minore condizione di luminosità, per notare un effetto diretto sulla dilatazione delle pupille. Sebastiaan Mathôt, Jonathan Grainger e Kristof Strijkers ipotizzano che nel momento in cui il cervello crea immagini mentali, automaticamente il corpo reagisce per affrontare le conseguenze del plausibile scenario ambientale evocato dall’immagine generata. In pratica, se ascolto o leggo le parole “sole”, “fuoco” o “fascio di luce”, le pupille tendono a contrarsi per proteggere l’occhio da un eccesso di luminosità, mentre ascoltare parole come “notte”, “tenebre”, “buio” provoca, al contrario, la dilatazione delle stesse.
Già Charles Darwin nel 1872, con il suo trattato “L’Espressione delle Emozioni nell’Uomo e negli Animali” sostenne che le espressioni facciali hanno funzione adattiva, cioè aiutano l’uomo ad inserirsi all’ambiente: il cervello, deve programmare strategie finalizzate alla sopravvivenza e all’adattamento e ogni informazione che viene registrata da esso è un giudizio utile per “aggiustare il tiro.” La parola “luce” viene collegata a numerose immagini mentali, ricordi, sensazioni e, secondo i ricercatori, tali collegamenti sono sufficienti ad attivare modificazioni corporee chiaramente legate all’adattamento.
Ma pensiamo più in grande… se ascoltando la parola “sole” a distanza di pochi attimi le mie pupille si restringono, cosa succede al mio corpo quando per ore ed ore ripenso all’ingiustizia subita al lavoro o rimugino sul tradimento subito anni prima? E ancora.. cosa accade quando ci dedichiamo a pratiche specifiche di rilassamento o quando ripensiamo ad una passeggiata felice con un’amica?