Raffaella Tondelli Psicologa

Raffaella Tondelli Psicologa Dott.ssa Raffaella Tondelli
Psicologa Psicoterapeuta
Psicologia Giuridica
Ipnosi Clinica - EMDR adolescenti e adulti

SamhainC’è un tempo, nell’anno e nell’anima, in cui la luce si ritira, e ciò che era pieno diventa spazio. È il Capodann...
01/11/2025

Samhain
C’è un tempo, nell’anno e nell’anima, in cui la luce si ritira, e ciò che era pieno diventa spazio. È il Capodanno dei Celti, ma anche di chi attraversa sé stesso. Un confine lieve, dove il mondo visibile si fa trasparente e ciò che vive nel profondo torna a parlare. In questo silenzio che precede ogni rinascita, si possono incontrare le ombre senza paura, perché portano memoria, e la memoria, se ascoltata, diventa radice.

Samhain non chiede di correre, ma di sostare. Di lasciare che il vecchio muoia con grazia, che il dolore respiri, che le mani imparino il gesto del lasciare andare. Solo allora, dal buio, qualcosa di nuovo comincia a muoversi, timido come un seme che ignora la primavera, ma la attende. Ogni cambiamento autentico passa da qui: da una notte che non è fine, ma soglia. Da un silenzio che non è vuoto, ma grembo. E così, anche dentro di noi, ogni volta che accettiamo di non sapere, che restiamo nel buio senza spegnerlo, stiamo già nascendo di nuovo.

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L'arte del non capire subitoViviamo immersi nella fretta di capire: per risolvere, per agire, per placare l’incertezza.....
30/10/2025

L'arte del non capire subito

Viviamo immersi nella fretta di capire: per risolvere, per agire, per placare l’incertezza...
Eppure, in psicoterapia come nella vita interiore il non capire non è un fallimento, ma una forma raffinata di ascolto.
Ci sono momenti in cui le parole del paziente non chiedono interpretazioni, ma spazio. Momenti in cui l’inconscio, come un animale timido, si avvicina solo se non viene inseguito. È allora che il terapeuta deve coltivare una particolare qualità dell’attenzione: quella che non stringe, non forza, non risolve.
Nel tempo sospeso del non-sapere, qualcosa matura. Il senso emerge lentamente, come una fotografia che affiora dal liquido di sviluppo: un’immagine che prima era invisibile e che, se l’avessimo afferrata troppo presto, si sarebbe rovinata.
Anche fuori dal setting terapeutico, la stessa arte può essere praticata: nelle relazioni, nel lavoro, nell’ascolto di sé.
Non capire subito significa concedersi il lusso di stare con ciò che non è ancora chiaro, riconoscendo che la mente umana non cresce per accumulo di risposte, ma per profondità di domande. A volte, quello che non comprendiamo oggi sta solo cercando il tempo giusto per raccontarsi.

Aforismi e dintorni oltre le frasi ad effettoC’è chi colleziona francobolli, chi tazze, chi traumi. E poi c’è chi collez...
28/10/2025

Aforismi e dintorni oltre le frasi ad effetto
C’è chi colleziona francobolli, chi tazze, chi traumi. E poi c’è chi colleziona frasi ad effetto: aforismi, citazioni, “perle di saggezza” da postare sotto un tramonto o sopra un cappuccino schiumoso. Ogni epoca ha i suoi miti: una volta erano gli eroi, ora sono le formulazioni brevi. Meglio una frase che “suoni bene” di un pensiero che “pesi dentro”.
L’aforisma è la pillola del pensiero: piccola, rivestita di zucchero, e come ogni pillola, a volte cura, ma più spesso anestetizza. Perché se ogni ferita trova il suo “tutto accade per un motivo”, non serve più sentire, né capire. Dietro la frase ad effetto, spesso, il vuoto e dietro la chiarezza assoluta, un pensiero che non ha mai rischiato il dubbio.
Nel linguaggio delle emozioni, le frasi ad effetto sono come cerotti brillanti: coprono la ferita, ma non la curano. Pensare davvero significa sostare nel paradosso, dove la mente non ha ancora trovato un titolo né un epilogo. I pensieri più trasformativi non nascono per essere citati, ma per essere vissuti e spesso arrivano stonati, incompleti, perfino scomodi. C’è un’economia psichica nel desiderio di chiudere tutto in una frase: il bisogno di controllo che prevale sul bisogno di significato. Eppure, come ricordava Bion, il pensiero nasce solo se la mente riesce a tollerare l’assenza di risposta.

Il fascino pop dello psicologo: perché tutti fanno gli psicologiForse perché oggi il linguaggio psicologico è diventato ...
14/10/2025

Il fascino pop dello psicologo: perché tutti fanno gli psicologi

Forse perché oggi il linguaggio psicologico è diventato di uso comune: tutti parlano di ansia, traumi, narcisismo, confini, emozioni tossiche. Eppure, tra parlare di psicologia e fare psicologia, c’è la stessa distanza che passa tra raccontare un intervento chirurgico e saperlo eseguire.
La psicologia clinica non è una chiacchierata empatica. È una disciplina basata su modelli teorici, su dati, su neuroscienze, su un metodo di osservazione e di valutazione che ha alla base anni di formazione universitaria e post-universitaria. Non lavora con opinioni, ma con processi mentali, biologici e relazionali complessi.
Fare lo psicologo non significa “capire le persone”. Significa conoscere come funzionano il cervello, la memoria, il trauma, la regolazione emotiva, la dissociazione, la coscienza di sé. Significa sapere che l’empatia non basta, e che una parola detta in modo improvvisato può amplificare un dolore invece di contenerlo.
E allora? Tutti possono parlare di emozioni, ma non tutti possono trattarle clinicamente. Perché servono strumenti, conoscenze, supervisione e responsabilità.
Essere psicologi non è improvvisarsi sensibili: è saper restare lucidi dentro la complessità,
e portare luce, non opinioni, nei luoghi dove la mente soffre.
Parola di psicoterapeuta.
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10 ottobre 2025 Giornata Mondiale Salute MentaleVedo quotidianamente quanto sia fragile la linea che separa il funzionar...
10/10/2025

10 ottobre 2025 Giornata Mondiale Salute Mentale

Vedo quotidianamente quanto sia fragile la linea che separa il funzionare dal sentire.
E quanto spesso la sofferenza nasca non dal dolore in sé, ma dal tentativo di nasconderlo.
Non servono parole eroiche, né campagne rassicuranti.
Serve una cultura capace di accogliere la complessità: che sappia che l’inquietudine non è un errore,
che la vulnerabilità è una forma di intelligenza, e che il silenzio, a volte occorre.
La salute mentale non è uno stato. È un processo relazionale. È ciò che accade quando qualcuno, dentro o fuori di noi ascolta davvero.

Festa dei Nonni: Felici e al tempo stesso stanchi di esserloOggi celebriamo i nonni: figure affettuose (nella maggioranz...
02/10/2025

Festa dei Nonni: Felici e al tempo stesso stanchi di esserlo

Oggi celebriamo i nonni: figure affettuose (nella maggioranza dei casi), colonne silenziose delle famiglie, custodi di ricordi, storie e valori.
Eppure, accanto alla gioia di esserlo, molti nonni e nonne raccontano anche la fatica di questo ruolo.
Negli ultimi decenni, la loro funzione è profondamente cambiata. Non sono più solo “presenze amorevoli” da incontrare nei momenti speciali: per molte famiglie rappresentano un pilastro quotidiano, fondamentale nella cura dei nipoti e nella gestione degli impegni.
Mattine presto, pomeriggi intensi, corse tra scuola e attività… spesso i nonni diventano una seconda “centrale organizzativa”, con poco spazio per sé.
Eppure, questo momento della vita dovrebbe essere anche il loro tempo: il tempo ritrovato dopo anni di lavoro e responsabilità, il tempo dei viaggi sognati, degli impegni personali rimandati, della lentezza finalmente possibile. Un tempo per sé, per coltivare passioni, per rallentare. Dietro ai sorrisi e all’amore sincero, spesso si nascondono responsabilità pesanti: sentirsi indispensabili, avere poco margine per dire di no, vivere con il timore di “non farcela più come una volta”. E tutto questo mentre si cerca di dare un significato nuovo alla propria quotidianità.
In questa festa, oltre a ringraziarli con affetto, è importante riconoscere la loro fatica, legittimarla e aprire spazi di dialogo autentico.
Essere nonni non dovrebbe significare annullarsi, ma trovare un equilibrio nuovo, che tenga insieme la gioia della relazione con i nipoti e il diritto al proprio tempo, ai propri ritmi e alla libertà conquistata.
Celebriamoli, dunque, non solo con fiori e parole dolci, ma anche con ascolto vero e con la disponibilità a redistribuire compiti e carichi, perché possano continuare a essere nonni… senza smettere di essere persone.

Ipnosi in menopausaL’ipnosi funziona. Non perché lo dico io, non perché la pratico con passione e rigore in ambito psico...
15/09/2025

Ipnosi in menopausa
L’ipnosi funziona. Non perché lo dico io, non perché la pratico con passione e rigore in ambito psicoterapeutico, quindi in clinica. L’ipnosi funziona perché lo dicono gli studi, le revisioni sistematiche e persino le linee guida internazionali. La menopausa non è fatta solo di vampate di calore. È una fase che ha un impatto molto spesso negativo su sonno, metabolismo, ossa, umore e qualità della vita. Vampate e sudorazioni notturne restano comunque tra i sintomi più evidenti e disturbanti: incidono sulle notti e tolgono energia alle giornate e, proprio le vampate sono il sintomo più trattato con l’ipnosi.
Nel 2023, la North American Menopause Society (NAMS) ha riconosciuto l’ipnosi clinica, insieme alla CBT, come opzione non ormonale di prima linea per la gestione dei sintomi vasomotori (Menopause. 2023;30(6):573-590). Un passaggio che segna una linea netta: l’ipnosi non è più folklore, ma pratica evidence-based. Le basi di questa scelta erano già state poste con il trial di Elkins et al. (2013), pubblicato su Menopause:
187 donne in post-menopausa,
5 sedute settimanali di ipnosi con insegnamento dell’autoipnosi,
confronto con un gruppo di controllo attivo (attenzione strutturata).
Dopo 12 settimane, i risultati erano chiari:
−74% vampate auto-riportate,
−80% del punteggio complessivo,
−57% episodi misurati strumentalmente.
A distanza di dieci anni, una revisione del 2025 (Muñiz et al., Women’s Health Reports) ha confermato il quadro:
la CBT riduce il fastidio percepito, ma solo l’ipnosi riduce frequenza e intensità reali delle vampate, con benefici anche su sonno e umore.
Se siete scettiche, perché pensate a pratiche da palcoscenico o perché avete visto… sentito… (chissà chi, che cosa…) tenetevi alla larga dal mio studio milanese … perché sono una psicoterapeuta, non una cabarettista. Se credete che l’ipnosi clinica sia una magia tenetevi ancora più lontane. La psicoterapia è roba seria, è una professione sanitaria, con obblighi, responsabilità e formazione continua.
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Dal mito alla scienza: Ipnosi clinicaL’ipnosi, soprattutto nella sua declinazione moderna e terapeutica, non è più legat...
09/09/2025

Dal mito alla scienza: Ipnosi clinica
L’ipnosi, soprattutto nella sua declinazione moderna e terapeutica, non è più legata a immagini stereotipate di pendolini o spettacoli da palcoscenico, o almeno così mi auguro. In ambito clinico, l’ipnosi è uno strumento raffinato e rispettoso che favorisce l’accesso a risorse interne spesso trascurate, aiutando la persona a superare difficoltà emotive e psicologiche.
L’ipnosi clinica è entrata da tempo a pieno titolo in ambito ospedaliero e non soltanto in terapia del dolore. Si tratta di un metodo che all’interno di una psicoterapia si può anche integrare e/o alternare con altri strumenti clinici (ad esempio utilizzo l'EMDR).
Mi sono formata a Milano presso la Scuola quadriennale di Psicoterapia AMISI, che si può frequentare successivamente il corso di Laurea in Psicologia e relativa abilitazione e iscrizione all’Albo degli Psicologi.
Durante l’ipnosi, il paziente non perde il controllo né cade in un sonno profondo. Al contrario, entra in uno stato di coscienza vigile e concentrata, in cui l’attenzione si focalizza su aspetti interni: sensazioni, immagini, ricordi. Questa condizione permette di sospendere per un momento le abituali modalità di pensiero critico e razionale, creando lo spazio per nuove prospettive.
La psicoterapia ipnotica valorizza il ruolo dell’inconscio non come un luogo oscuro, ma come un serbatoio di esperienze, memorie e potenzialità. Attraverso metafore, immagini e suggestioni, il terapeuta aiuta la persona a scoprire risorse personali utili per affrontare ansia, fobie, dolore cronico, disturbi psicosomatici e molte altre problematiche.
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Il tempo per séConcedersi del tempo in una cultura che misura il valore in prestazioni e risposte immediate è un atto qu...
28/07/2025

Il tempo per sé
Concedersi del tempo in una cultura che misura il valore in prestazioni e risposte immediate è un atto quasi sovversivo. Non coincide con il fare qualcosa di piacevole in una pausa dal lavoro o in vacanza, sebbene talvolta possa passare anche di lì. È un atto, più intimo e difficile, si tratta di sostare con ciò che emerge quando cessa il rumore di fondo.
Ci sono persone che, appena accennato il tema, si irrigidiscono: “non ho tempo”, “non posso permettermelo”, ecc.; poi emerge lentamente, il cuore della questione: non è il calendario a impedire quel tempo, ma la paura di incontrare sé stessi senza protezioni. Eppure, è proprio nell’esposizione delicata che accadono i movimenti più sottili: pezzi di storia che trovano parola, parti negate che reclamano un posto, paure che perdono rigidità perché finalmente si osservano senza fretta.
In seduta, talvolta invito a immaginare un piccolo spazio mentale che nessuno può abitare, non per scappare dal mondo, ma per poterci tornare senza farsi consumare.
Un luogo interno in cui non serve essere nulla per nessuno. Un luogo che non produce, ma genera.
Che non dà risposte, ma permette di ascoltare la propria.
Il tempo per sé non è uno spazio nel calendario, è una qualità dell’essere. È la capacità di restare presenti a ciò che accade dentro, anche quando è confuso, ruvido, imperfetto.
E quando quella capacità si coltiva, qualcosa accade anche fuori: il mondo non cambia, ma cambia il modo in cui lo si abita. E allora ci si scopre meno in balìa, più radicati.

Basta con la piramide dei bisogni di MaslowEbbene sì è arrivato il tempo di aggiornare la teoria anche se portare Maslow...
10/07/2025

Basta con la piramide dei bisogni di Maslow

Ebbene sì è arrivato il tempo di aggiornare la teoria anche se portare Maslow in azienda (o meglio in alcune aziende) paga ancora. Sebbene il personale tutto ne abbia già sentito parlare almeno qualche decina di volta, si prosegue perché “si è sempre fatto così”, “perché Maslow è Maslow, come fai a non parlarne?”
Basta. Certo, Maslow ha il merito di aver introdotto un linguaggio accessibile per parlare dei bisogni umani. Ma oggi, per comprendere la complessità della motivazione, è utile integrarlo (o meglio sostituirlo) con modelli più dinamici, culturalmente sensibili e fondati empiricamente.
Maslow non considera la neurobiologia e la psicologia evoluzionistica, oggi sappiamo che motivazioni come l’attaccamento, il caregiving, l’appartenenza al gruppo hanno basi biologiche ed evolutive. Bisogni che Maslow presenta come "secondari", ma molti studi mostrano che sono centrali fin dall’infanzia e per tutta la vita.
La teoria di Maslow trascura completamente il ruolo delle emozioni complesse e dell’inconscio. Non considera quanto spesso le persone agiscano spinte da emozioni ambivalenti, bisogni inconsci, traumi, contraddizioni. La psicodinamica, la psicologia relazionale, la teoria dell’attaccamento offrono una visione più articolata dell’essere umano.
Oggi forse la teoria dell’autodeterminazione (Deci & Ryan, 1985) è la più citata dagli addetti ai lavori, e pone l’accento su tre bisogni fondamentali quali: la competenza (sentirsi efficaci), l’autonomia (sentirsi agenti delle proprie scelte), la relazionalità (sentirsi connessi agli altri).
Non si tratta di una gerarchia, ma di bisogni che agiscono insieme e sono intrinsecamente motivanti.
Sostiene che la motivazione è più duratura ed efficace quando nasce da dentro, non da ricompense esterne. Questa teoria è supportata da molti studi in ambito educativo, clinico, organizzativo, sportivo.
Il modello Bio-Psico-Sociale ed Ecologico (Bronfenbrenner) considera contesti, relazioni e ambienti in cui una persona cresce e vive. I bisogni e la motivazione sono influenzati da fattori biologici, psicologici e sociali. Sottolinea che non esiste una motivazione “pura”, ma sempre situata in una rete di influenze.
Poi sarebbe interessante illustrare la Teoria dell’Attaccamento (Bowlby, Ainsworth, Fonagy…), le Teorie motivazionali contemporanee in ambito clinico, la Prospettiva interculturale e decentrata di Markus e Kitayama e molte altre.
Aggiornarsi costa fatica e richiede tempo ed energie, ma è indispensabile per dire BASTA a Maslow, consapevolmente.
Parola di psicoterapeuta.

Muoversi per esistere: l’attività fisica come gesto di cura nei passaggi cruciali della vitaCome psicoterapeuta, sono ch...
08/07/2025

Muoversi per esistere: l’attività fisica come gesto di cura nei passaggi cruciali della vita
Come psicoterapeuta, sono chiamata ad accompagnare le persone anche nella loro relazione con il corpo. Non si tratta solo di promuovere comportamenti salutari, ma di riabilitare una cultura del corpo vissuto, sentito, significato. Ogni movimento può essere un atto simbolico: camminare per lasciar andare, distendere le braccia per accogliere, piegarsi per riconoscere i propri limiti, respirare per tornare a sé.
Nella mia attività ho imparato a riconoscere l’intelligenza del corpo non soltanto nei sintomi, ma anche nei gesti trascurati, nei movimenti che non accadono, nei desideri trattenuti. L’attività fisica, nella sua accezione più autentica, non è un compito da inserire in agenda, ma un atto psichico incarnato. È un esercizio di presenza, di regolazione, di riconnessione.
E, tra i suoi effetti meno considerati ma più profondi, vi sono i benefici psicologici: riduzione dell’ansia, stabilizzazione dell’umore, incremento dell’autoefficacia, miglioramento dell’immagine corporea e perfino una modulazione più armoniosa della risposta allo stress. Mai come nei passaggi critici della vita, quando il corpo cambia, si ammala, guarisce, accoglie o si trasforma, il movimento può divenire un atto radicale di cura e di resistenza, psichica prima ancora che fisica.
Qui di seguito soltanto qualche esempio di snodo evolutivo nel quale l’attività fisica risulta particolarmente salutare.
Gravidanza e post-partum: il corpo che genera
Durante la gravidanza, la donna sperimenta una moltiplicazione identitaria: non è più solo sé, ma anche spazio abitato, contenitore vivo. L’attività fisica consapevole, calibrata, non è soltanto una pratica di benessere: è un modo per entrare in relazione con il nuovo corpo che cambia, per coltivare una fiducia viscerale nelle sue risorse. A livello psichico, muoversi in gravidanza aiuta a ridurre l’ansia anticipatoria, migliora il tono dell’umore e sostiene la percezione di controllo in un periodo di grandi incognite. Nel post-partum, l’attività sportiva può costituire un’àncora concreta, contrastare il rischio depressivo e favorire il processo di riappropriazione del sé corporeo e psichico dopo lo smottamento identitario della maternità.
Cancro: l’attraversamento del trauma
Nell’esperienza oncologica, il corpo diventa terreno di battaglia e di ferita. Spesso il movimento viene sospeso, o percepito come estraneo. Eppure, numerosi studi mostrano come l’attività fisica personalizzata possa aiutare non solo nella riabilitazione fisica, ma anche nel ripristino della continuità psichica: riducendo l’insonnia, migliorando la qualità della vita e attenuando la sintomatologia depressiva e ansiosa. Camminare, danzare, respirare profondamente possono essere gesti rivoluzionari in un tempo dominato dalla medicalizzazione: offrono rituali di senso, rafforzano l’identità personale oltre la malattia.
Menopausa: il corpo che cambia ancora
La menopausa, troppo spesso relegata al registro del decadimento, è in realtà una soglia potente, una seconda pubertà al contrario. Il corpo si modifica, e con esso l’umore, il ritmo, la relazione con sé. L’attività motoria può accompagnare questa trasformazione, ridurre sintomi fisici e psichici (come l’irritabilità, la stanchezza, la fragilità emotiva), e soprattutto rafforzare quella sensazione di continuità e dignità che la società sembra voler sottrarre alle donne mature. Muoversi in menopausa non è rifiutare il cambiamento, ma danzare con esso, metabolizzarne i significati profondi e trasformarli.
Ipertensione e le patologie croniche
Il corpo che chiede ascolto: Nella clinica dell’ipertensione e delle malattie croniche, l’attività fisica è una modalità di dialogo con il corpo e con il mondo interno. Il movimento regolare, moderato, piacevole, agisce come co-terapeuta silenzioso: abbassa la pressione, ma anche il rumore mentale. Aiuta a contenere l’iperattivazione del sistema nervoso autonomo, favorisce la regolazione emotiva e contribuisce a ricostruire un senso di padronanza in chi si sente a lungo “paziente”.

La Rete e NegusC’è un momento, in ogni percorso di cura, in cui la parola “contenere” smette di evocare confini rigidi o...
02/07/2025

La Rete e Negus

C’è un momento, in ogni percorso di cura, in cui la parola “contenere” smette di evocare confini rigidi o restrizioni difensive, e inizia a sussurrare qualcosa di più sottile: la possibilità di essere accolti senza essere imprigionati, custoditi senza essere trattenuti.
Negus lo ha compreso, a modo suo, con i suoi tempi felini e i suoi miagolii ostinati. Quando mi ha scelta portava con sé una storia fatta di fughe, di sguardi sempre all’erta, e di quella diffidenza che si costruisce solo dopo essere stati traditi troppe volte.
All’inizio bastava un rumore improvviso, un passo incerto, e Negus spariva. Non lontano, ma altrove. Inaccessibile. Come fanno anche certi pazienti, quando l’anima si ritrae in un altrove protettivo, perché il mondo è stato troppo, troppo presto, troppo invasivo.
Poi un giorno, osservandolo accoccolato sul davanzale, ho compreso che aveva bisogno di una soglia sicura. Non di un recinto, ma di una rete. Non un limite che lo escludesse dal mondo, ma una trama sottile che gli permettesse di esplorarlo senza smarrirsi di nuovo.
Così ho installato una rete sul balcone. Invisibile quasi, eppure salda. Un confine che non trattiene, ma sorregge. Negus ha iniziato a guardare fuori con occhi diversi. Anche se le sue orecchie si muovono ancora attente, il corpo si rilassa, si accovaccia. Resta.
Quella rete è diventata, simbolicamente, ciò che ogni relazione terapeutica aspira ad essere: un contenitore abbastanza sicuro da reggere il peso delle paure, abbastanza flessibile da lasciare spazio al desiderio. Una protezione non contro il mondo, ma per tornare a incontrarlo senza esserne sopraffatti.
Negus adesso esplora con cautela, torna indietro quando serve, si affaccia quando è pronto. E quella rete, quella soglia tra dentro e fuori, resta lì. Come io resto. Come resta ogni terapeuta che ha appreso l’arte del tenere senza stringere, del vegliare senza invadere.

Indirizzo

Viale Brenta, 7
Milan
20139

Orario di apertura

Martedì 08:00 - 20:00
Mercoledì 08:00 - 20:00
Giovedì 08:00 - 20:00
Venerdì 08:00 - 19:00
Sabato 08:00 - 12:00

Telefono

+393515907509

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