Psicoanalisi, terapia, società

Psicoanalisi, terapia, società Forum di psicoanalisi gestito da SMM che lavorano a stretto contatto con i maggiori esponenti di psi

  [...] Il titolo beckettiano Fallire meglio è più attinente alle ambizioni della psicoanalisi. Perché in realtà c’è anc...
25/03/2025

[...] Il titolo beckettiano Fallire meglio è più attinente alle ambizioni della psicoanalisi. Perché in realtà c’è anche la possibilità di fallire male: succede quando s’incontra l’impotenza, il senso di frustrazione del risultato non colto, l’inseguimento affannoso di una riuscita che sfugge. Si tratta di falsi obiettivi, come quegli oggetti-paccottiglia di cui ci sazia la società fondata su un controllo esercitato attraverso la circolazione, la consumazione e la distruzione dei beni materiali. Fallire meglio significa incontrare l’impossibile come limite, tracciare il contorno del buco che sta al cuore dell’esistenza di ciascuno, toccare quel vuoto in cui, anziché annullarsi, il desiderio entra in risonanza, gioca la sua partita con un Altro che a sua volta è mancante o inconsistente. 

E allora manca sempre una cosa, come suggeriscono i bei versi di Pessoa, che fondono il godimento della vita con il dolore, perché nulla è semplice, univoco, lineare [...]”.

“La vita duole quanto più la si gode e quanto più la si inventa” (Pessoa)

Tratto da Da “Manca sempre una cosa”, di Marco Focchi, Ed. ETS, 2021



L’interpretazione, di per sé, può non incontrare nessun limite. Al senso è sempre possibile aggiungere una precisazione,...
24/02/2025

L’interpretazione, di per sé, può non incontrare nessun limite. Al senso è sempre possibile aggiungere una precisazione, un dettaglio, l’apertura di un nuovo slargo di senso. Il sintomo allora è intrattenuto e alimentato dall’interpretazione infinita, facendolo entrando in miniere di senso sempre rinnovate che lo tengono vivo. Bisogna invece inaridire le fonti del sintomo, circoscrivere il senso, portare il sintomo a non essere altro che un segno, una mera funzione di rimando che non va verso il senso, e che permette invece di far affiorare la componente pulsionale. Questa infatti non cerca un senso, vuole solo soddisfarsi, e il sintomo si esaurisce come fonte di sofferenza nevrotica quando è ridotto a mero segno, a segno di godimento. Per questo l’esperienza psicoanalitica non è un pratica soppressiva del sintomo: si tratta piuttosto di svuotare il sintomo della sua potenzialità conflittuale per ridurlo a quel che è nei suoi minimi termini: segno di godimento.

Grazie al dott

Ne “L’inconscio algoritmico e l’amore”, lei fa riferimento all’evento di corpo. Cosa si intende?”. “La grande scoperta d...
13/02/2025

Ne “L’inconscio algoritmico e l’amore”, lei fa riferimento all’evento di corpo. Cosa si intende?”.
“La grande scoperta di Freud è stata che i sintomi delle isteriche del suo tempo erano espressione di una verità nascosta che non poteva affiorare alla coscienza. Quando si parla di etiologia sessuale della nevrosi il punto è proprio questo: in epoca vittoriana le donne non erano legittimate ad esprimere desideri sessuali, si riteneva anzi che non ne avessero, come i bambini. Freud mette in luce invece che anche le donne e i bambini hanno una sessualità, e la prima concezione del sintomo psicoanalitico sta proprio in questo: nel mostrare come il sintomo sia l’espressione sostitutiva di una verità che non può essere detta apertamente, che è rimossa. Far riaffiorare questa verità, ridarle posto e legittimità rende allora inutile il sintomo, e lo fa sparire.
Ma oggi, in un tempo in cui sul piano della sessualità potremmo dire, tutto è permesso, cosa sostiene i sintomi nevrotici? Oggi viene in luce un aspetto più radicale del sintomo. Vediamo che il problema non è semplicemente di liberare la sessualità. Nessuno censura più l’erotismo, ma la sessualità è comunque qualcosa che appare in modo dirompente nel corpo. Il rivelarsi della sessualità è traumatico perché non ha un posto già predeterminato e irrompe all’ improvviso, attraverso esperienze che, viste da fuori, non sembrano traumatiche. Sono frasi che lasciano il segno, frasi che un bambino estrae dal discorso più comune, dallo scambio più banale tra due adulti, oppure sono immagini che diventano indimenticabili, o sensazioni corporee risvegliate da una parola o uno sguardo. Si tratta dell’impatto del linguaggio sul corpo, una rivelazione fulminea, inaspettata, che produce un effetto sul piano fisico, che diventa evento perché apre un orizzonte prima sconosciuto. In questo senso parliamo di eventi di corpo. In questo senso la psicoanalisi contemporanea non può più limitarsi alla considerazione del sintomo come rivelatore di una verità nascosta, perché più profondamente cela un evento di corpo che è un’esperienza primaria di cui il sintomo si fa portavoce dove non c’è nessuna parola per esprimerlo” (Marco Focchi)

L’inconscio non ha in sé rappresentazione della propria morte, perché la morte riguarda sempre l’altro. Può toccare al n...
10/02/2025

L’inconscio non ha in sé rappresentazione della propria morte, perché la morte riguarda sempre l’altro. Può toccare al nemico, ed è sentita come vittoria, ma anche le persone care ed è sentita come perdita. In effetti, se ci si pensa, è logicamente impossibile rappresentarsi la propria morte: se proviamo a immaginarci morti ci vediamo giacere da qualche parte osservandoci da un punto esterno. Dove è situato questo punto? In realtà questo punto siamo ancora noi, e quel che abbiamo davanti è il nostro ca****re oggettivato. Ma noi, proprio noi siamo gli osservatori, quindi ci siamo ancora. Porsi la morte di fronte è impossibile, perché per oggettivarla dobbiamo vederla nell’altro, e se la subiamo non c’è più un punto di vista da cui rappresentarla. Lo diceva, in modo diverso, anche La Rochefoucauld: la morte, come il sole, non si può guardare in faccia.


Vi informiamo sugli eventi di psicoanalisi che si terranno a breve! Già questo venerdì a Milano la conferenza “Accordi e...
05/02/2025

Vi informiamo sugli eventi di psicoanalisi che si terranno a breve! Già questo venerdì a Milano la conferenza “Accordi e disaccordi sessuali. Dal sesso all’amore e ritorno”. Tutte le info in locandina.
Per prenotarvi (sia on line che in presenza) scrivete a infomilano@istitutofreudiano.it

L’effetto di vergogna viene da un senso di denudamento, dal sentirsi visti nell’intimo più intimo, dove forse nemmeno no...
08/01/2025

L’effetto di vergogna viene da un senso di denudamento, dal sentirsi visti nell’intimo più intimo, dove forse nemmeno noi vorremmo vederci. Sono tipici i sogni di nudità, dove per esempio il sognatore si aggira n**o in un luogo pubblico dove tutti sono vestiti. A volte questo senso di vergogna è così profondo che il suo nucleo risulta inavvicinabile per il soggetto stesso. In analisi di cosa si vergogna in genere il paziente? Dei suoi fantasmi. Ottenere la confessione dei fantasmi è in genere la cosa più difficile, meno immediata. Perché? Perché i fantasmi contengono il nucleo del godimento del soggetto, quel che è nascosto ai suoi occhi stessi. Può essere il manager, il maschio alfa, che per godere ha bisogno di farsi frustare e sottomettere da una domina, o la femminista, che riesce a raggiungere l’orgasmo solo attraverso fantasmi di stupro, o il geloso patologico, che per ve**re deve immaginare che la sua donna è a letto con qualcun altro. Il fantasma può ospitare forme di godimento completamente opposte a quello in cui siamo disposti a riconoscerci nella nostra vita pubblica, ed è la parte più profondamente celata di noi, quella che neppure noi vorremmo vedere. Lunghi tratti del lavoro analitico possono essere dedicati a una sorta di riconciliazione con il proprio fantasma, a cercare un equilibrio tra l’immagine in cui l’io vuole riconoscersi e lo scenario fantasmatico in cui l’Es vuole godere.

Post della sera. 🌟🌙

E a chi ci leggerà domani mattina!

Grazie al dott

Grazie a Sigmund Freud, per averci regalato la possibilità di questo grandissimo passo nella storia dell'evoluzione. Sen...
25/12/2024

Grazie a Sigmund Freud, per averci regalato la possibilità di questo grandissimo passo nella storia dell'evoluzione. Senza di lui, la psicoanalisi per come la conosciamo oggi, non esisterebbe. E chissà che mondo sarebbe!

Specifichiamo che l'immagine che vedete è chiaramente un montaggio e un omaggio (speriamo simpatico) all'uomo che ci ha regalato tanto.

A proposito di psicoanalisi e Natale...

Seregei Panejeff, uno dei pazienti più famosi di Freud, meglio conosciuto come l’Uomo dei lupi era nato il 25 dicembre, nella notte di Natale. Per questo motivo si aspettava di solito una dose doppia di regali: quelli per il suo compleanno e quelli per la festività natalizia. L’uomo dei lupi è famoso soprattutto per un sogno in cui alcuni lupi lo fissano da un albero, e dietro questo sogno Freud scorse la realtà della scena primaria, cioè la scena di un coito genitoriale. Era molto importante per Freud definire esattamente l'età in cui il suo paziente poteva aver osservato la copula dei genitori. Proprio il fatto che il paziente fosse nato la notte di Natale fu d’aiuto. Per poter osservare il coito dei genitori il bambino doveva trovarsi infatti nella loro camera, e si sa che vi si trovava all’epoca di una febbre malarica riferita dalla tradizione familiare. Si tratta evidentemente di una malattia che poteva colpire solo d’estate. Essendo il bambino nato il giorno di Natale l’età doveva essere di n+1/2, quindi o sei mesi o un anno e mezzo. Escludendo che un bambino di sei mesi potesse essere colpito dalla scena, Freud stabilisce con sicurezza l’età del bambino che osserva il coito dei genitori a un anno e mezzo.
L’aneddoto è singolare nella letteratura freudiana perché non vi sono altre menzioni del Natale nei casi di Freud e della sua cerchia. Tutti i primi allievi di Freud infatti erano ebrei e seguivano un diverso calendario di festività.
Buona Natale a tutti voi da 💫

I moderni manuali di diagnostica psichiatrica chiamano disturbo ossessivo compulsivo quel che gli psicoanalisti chiamano...
16/12/2024

I moderni manuali di diagnostica psichiatrica chiamano disturbo ossessivo compulsivo quel che gli psicoanalisti chiamano nevrosi ossessiva. Non è solo una questione di nomi: se prendiamo infatti la questione dal lato della nevrosi ossessiva vediamo che la domanda si scompone in due parti: una che riguarda la nevrosi ossessiva, un’altra che riguarda i sintomi che questa produce, che possiamo anche chiamare disturbi, anche se questo termine ne dà un senso unilaterale e semplificato. Per quanto riguarda la nevrosi ossessiva dobbiamo tenere presente che dal punto di vista freudiano non esiste una opposizione nevrosi/salute. La nevrosi è la condizione normale dell’uomo civile, in quanto traversato da un conflitto tra spinte pulsionali che non può mai completamente soddisfare e gli imperativi del Superio necessari al mantenimento della comunità con gli altri uomini. Non c’è quindi un’uscita dalla nevrosi, ma ci può essere un modo migliore di abitarla, ovvero un modo senza sintomi che siano disturbi. Sono i sintomi ossessivi infatti (e non la nevrosi) che è possibile curare, perché sono sintomi passibili di interpretazione, e che si possono decostruire quando si fa affiorare la rappresentazione rimossa a cui si sostituiscono.
Quando parliamo di cura e di guarigione in psicoanalisi dobbiamo sempre tenere presente questo duplice aspetto, e anche il fatto che i sintomi non sono semplicemente disturbi, perché in realtà assolvono una funzione sostitutiva di soddisfacimento, e sopprimerli tout-court non è il modo migliore di procedere, perché lascia il paziente in balìa dell’angoscia. I sintomi vanno piuttosto trasformati, rivelando e mettendo in opera il loro lato funzionale, rovesciandoli in risorsa per il soggetto.

Nel tema titanico della lotta tra Eros e Thanatos Freud considerava non che ci fosse un’alternativa tra le due pulsioni,...
27/11/2024

Nel tema titanico della lotta tra Eros e Thanatos Freud considerava non che ci fosse un’alternativa tra le due pulsioni, ma che ognuno di noi fosse abitato dalla loro contesa e che la nostra vita si svolgesse tra queste due potenti forze. La pulsione di vita ci spinge alla sessualità, perché la vita vuol continuare, e per continuare deve riprodursi, la pulsione di morte ci riporta al silenzio delle origini, all’annullamento di ogni tensione come forma suprema di soddisfacimento.

L’idea di una pulsione di morte risultò difficile per la maggior parte degli allievi di Freud, che stentarono ad accoglierla. Solo Melanie Klein la fece lucidamente sua integrandola nel proprio pensiero.

Lacan, che traduce l’idea del soddisfacimento pulsionale nel godimento, mostrò come questo abbia due lati, uno dei quali mortale. L’estremizzazione del godimento prende infatti un risvolto autodistruttivo. Pensiamo a quelle forme come le dipendenze da una sostanza, o le patologie alimentari, il binge eating, l’anoressia, o ancora l’hikikomori come autoannullamento nella chiusura in se stessi.

Alla pulsione di morte è collegata la ripetizione, che ritorna non su un momento di piacere, ma su una situazione drammatica. È noto per esempio il ripetersi di sogni traumatici nei sopravvissuti a qualche catastrofe, o nello shock da combattimento presente nei reduci. Sono tutte manifestazioni fenomeniche della forza invisibile che lavora dentro di noi.

ai nottambuli come noi
E che domattina sia per voi un

Cosa vuol dire Lacan con questa frase? Bisogna partire dall’idea che l’inconscio non è qualcosa di statico, che sta lì, ...
18/11/2024

Cosa vuol dire Lacan con questa frase? Bisogna partire dall’idea che l’inconscio non è qualcosa di statico, che sta lì, come in un sacco, finche non lo troviamo e lo tiriamo fuori, e poi è pronto a farsi interpretare. Interpretare l’inconscio non è come interpretare le tavolette di geroglifici. La stele di Rosetta può aspettare millenni, finché non arriva Champollion e la decifra. L’inconscio no, l’inconscio è dinamico. L’interpretazione funziona solo se è fatta al momento giusto. Se il paziente non la coglie è inutile insistere, vuol dire che non era momento. Ribadirla dicendo che si tratta di resistenza del paziente porta solo a una ulteriore cristallizzazione delle resistenze.

Per questo l’inconscio appare solo quando è colto nell’interpretazione, cioè quando dialoga con l’analista. In questo senso possiamo dire che non c’è l’inconscio se l’analista non lo rende presente con la sua interpretazione, ed è in questo senso che Lacan può affermare che gli analisti fanno parte del concetto di inconscio: ne fanno parte nella misura in cui ne sono gli interlocutori senza i quali l’inconscio sarebbe come le tavolette egizie, indecifrate e mute.


Il dott. Marco Focchi apre un’ampia riflessione sull’inconscio, sull’impossibilità di ridurlo a un determinismo, a stori...
14/10/2024

Il dott. Marco Focchi apre un’ampia riflessione sull’inconscio, sull’impossibilità di ridurlo a un determinismo, a storie che vengono dal passato. Come sarebbe possibile altrimenti l’amore con la sua apertura al nuovo, alla vita che spinge avanti? A partire dal modo di concepire l’inconscio derivano poi le linee per dare una direzione alla pratica clinica. È l’orientamento ampiamente esposto nelle parti finali del libro, dedicate alla clinica dell’adolescenza e alla clinica della psicosi. Con la psicoanalisi affiora un approccio diagnostico che decostruisce le classificazioni, perché ogni caso è singolare, e la vera questione di fondo è: “Qual è lo specifico problema di questa persona?” – “Quali vie si possono tracciare per aiutarla a uscire dai labirinti in cui è intrappolata?”.

Marco Focchi è psicoanalista a Milano. È membro della Scuola Lacaniana di psicoanalisi, di cui è stato presidente, e dell’Associazione mondiale di psicoanalisti, del cui Consiglio direttivo ha fatto parte. Oggi dirige la sede milanese dell’Istituto freudiano per la clinica, la terapia, la scienza. “L’inconscio algoritmico e l’amore” è il suo ultimo libro. I precedenti li trovate nel link in bio.



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