09/05/2025
Il ritorno al loggione, tra le note e dentro l’anima di Schumann
Questa sera sono tornata alla Scala, in seconda galleria, terza fila. Ai tempi la chiamavamo “la piccionaia”. Era il mio posto da studentessa di liceo (si chiamava “abbonamento studenti”), quando arrivavo trafelata sul mio Sky tra una versione di greco e un preludio e fuga di Bach, per rigenerare le orecchie e lo spirito.
In quegli anni ascoltavo la musica dall’alto, insieme a tanti giovani come me: gli appassionati veri, quelli che magari non possono permettersi la platea ma ascoltano con il cuore. E che spesso conoscono quelle note meglio di molti.
Poi sono cresciuta, e sono tornata in Scala da adulta — a volte nei palchi, spesso in platea. Pensavo di essermi “guadagnata” posti più comodi.
Ma stasera, grazie a Giulia, amica di sempre e compagna di musica e di vita, mi sono ritrovata di nuovo lassù. L’ho presa in giro per avermi regalato quei posti “scomodi”, ma una volta seduta, ho provato un’emozione fortissima.
Il loggione non è scomodo. È intenso. È appassionato.
È stato come ritrovare una parte di me.
Ho ascoltato il Concerto per pianoforte e orchestra in la minore op. 54 di Schumann, un brano a cui sono legata da un profondo affetto. Le note, interpretate da Vadym Kholodenko con la splendida bacchetta di Susanna Mälkki, hanno accarezzato il mio cuore di musicista e la mia anima di psicoterapeuta.
Questo concerto, così ricco di contrasti e sfumature, sembra raccontare il viaggio dell’animo umano: momenti di introspezione e fragilità si alternano a esplosioni di energia e passione. C’è dentro tutta la complessità di Schumann, artista inquieto, diviso tra luce e ombra, tra creatività e vulnerabilità.
La sua musica riflette una psiche tormentata, segnata dalla depressione, dagli episodi psicotici, ma anche da una profondità emotiva rara e autentica.
Il dialogo tra il pianoforte e l’orchestra diventa un’esplorazione del Sé: il primo tema, quasi sussurrato, sembra nascere dall’inconscio, mentre le improvvise impennate ricordano i mutamenti d’umore, le tensioni interne, le trasformazioni del vissuto emotivo.
Come sempre nella sua musica, Schumann ci parla non solo come compositore, ma come essere umano: fragile, intenso, in cerca di armonia nel caos.