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23/07/2025

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FERRO E SOCIETÀ: IL BODYBUILDING COME SPECCHIO DELLA MODERNITÀIntroduzioneIl bodybuilding non è uno sport. Non è nemmeno...
20/07/2025

FERRO E SOCIETÀ: IL BODYBUILDING COME SPECCHIO DELLA MODERNITÀ

Introduzione

Il bodybuilding non è uno sport. Non è nemmeno uno stile di vita.
È un fenomeno sociale complesso, stratificato, a metà tra religione e rappresentazione teatrale.
Un campo di tensione tra individualismo e appartenenza, tra sacrificio personale e spettacolarizzazione pubblica.

Chi lo osserva da fuori – con lo sguardo accademico sterile e distaccato – coglie al massimo l’estetica o l’eccesso.
Ma chi lo vive dall’interno sa che il bodybuilding è, nel senso più pieno, un laboratorio sociologico vivente.
Come avrebbe detto Durkheim: non è la somma dei singoli corpi che conta, ma il fatto sociale che si genera attorno.



1. Il corpo come progetto sociale (Marx e l’alienazione positiva)

In un contesto capitalistico, dove l’identità viene spesso annullata nella funzione produttiva, il bodybuilding sembra offrire una via d’uscita: il corpo diventa capitale estetico, proprietà privata, mezzo di produzione di senso.

Ma anche qui si annida una forma sottile di alienazione. Come avrebbe intuito Marx, il bodybuilder è allo stesso tempo padrone e operaio di sé stesso.
Il suo valore è legato a una produzione costante: muscolare, performativa, visiva. Non può fermarsi. Se smette, decade.
La sua libertà è, di fatto, subordinata al ciclo della propria immagine.



2. Razionalizzazione e ascesi moderna (Max Weber)

Weber parlava di “gabbia d’acciaio” della modernità: razionalizzazione estrema della vita, in ogni sua forma.
Il bodybuilding ne è una perfetta incarnazione: tutto è calcolato, programmato, schedulato. I pasti, il sonno, i milligrammi.
Il corpo è ridotto a sistema ingegneristico, il culturista a funzionario della propria carne.

L’ascesi protestante, svuotata di trascendenza, sopravvive nel culturismo: la sofferenza come valore in sé, la disciplina come religione laica.
Il palco? Il nuovo Giudizio Universale.



3. Coesione e sacro: il ferro come totem (Durkheim)

Ogni società ha bisogno di un sacro. Nel bodybuilding, il ferro è il totem.
La palestra è il tempio. Il coach è il sacerdote. Il posing è il rito.

I comportamenti sono regolati da norme non scritte: la dieta è inviolabile, il cheat meal è concessione rituale, la gara è pellegrinaggio.
Chi trasgredisce – salta i pasti, improvvisa i piani, posta una foto “fuori condizione” – viene silenziosamente espulso dalla tribù.

Il bodybuilding non è solo estetica: è rito identitario.



4. La performance dell’identità (Goffman)

Per Goffman, ogni essere umano è un attore che recita un ruolo sociale.
Nel bodybuilding, questa recita è materiale. Il corpo stesso è il costume di scena.

Il culturista non si esibisce solo sul palco. Lo fa ogni giorno: al bar, in palestra, nei check-in, su Instagram.
Il posing è solo l’ultimo atto. La vera performance è permanente.
Ogni scelta – dal tipo di allenamento alla bio su IG – è un atto drammaturgico.

Il problema? Che spesso si dimentica dove finisce il personaggio e inizia l’uomo.



5. Stratificazione e capitale simbolico (Bourdieu)

Il bodybuilding è un campo sociale con le sue gerarchie.
Chi ha capitale fisico, sociale e simbolico (fisico impressionante, preparatore noto, sponsor, follower) domina.
Chi non ce l’ha, fatica a emergere. Anche se ha più dedizione. Anche se meriterebbe di più.

Non esiste vera meritocrazia.
Chi sale sul podio non è sempre il migliore. È spesso il più “funzionale” al sistema.
Il culturismo, come ogni campo sociale, è un’arena in cui le regole cambiano per favorire chi ha già potere.



6. Le federazioni: organizzazioni private e la vanificazione del percorso

E arriviamo al cuore dell’ipocrisia strutturale.

Le cosiddette federazioni si presentano come autorità sportive. In realtà sono organizzazioni private, con obiettivi commerciali.
Non regolano: vendono. Vendono tessere, sogni, titoli, illusioni.

Il culturista costruisce sé stesso per anni, in silenzio. Ma quando arriva il momento del riconoscimento, non contano solo i meriti.
Contano simpatie, interessi, visibilità, quote da pagare. Le classifiche spesso sono scritte prima della gara.
I parametri cambiano in corsa. La trasparenza è un’opzione.
Il palco è un casting, non una competizione equa.

E così tutto ciò che dovrebbe coronare un percorso – il momento della consacrazione – si trasforma nel suo opposto: una vanificazione teatrale, dove il merito è subordinato alla convenienza del sistema.



Conclusione: il ferro resta. Il resto, passa.

Chi entra davvero nel mondo del bodybuilding capisce presto una cosa:
il palco non è l’obiettivo. È una scusa, una messinscena.
Il vero valore sta in quello che costruisci mentre nessuno guarda.

Il culturista non è chi si allena.
È chi si trasforma. Giorno dopo giorno. Fallimento dopo fallimento.
Nel silenzio, nella coerenza, nel sacrificio.

Il ferro non mente.
Il resto, sì.

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🎙️ Riflessioni sulla nuova regola IFBB ProNegli ultimi anni, la IFBB Pro League ha assegnato Pro Card a destra e a sinis...
19/01/2025

🎙️ Riflessioni sulla nuova regola IFBB Pro

Negli ultimi anni, la IFBB Pro League ha assegnato Pro Card a destra e a sinistra, senza preoccuparsi troppo del livello degli atleti. Un tempo, ottenere lo status di IFBB Pro significava entrare nell’élite del bodybuilding, ma oggi sembra che chiunque possa ottenerlo con poca fatica.

Ora arriva questa nuova regola: se non gareggi come professionista per tre anni, ti tolgono lo status e puoi riottenerlo solo partecipando a un Pro Qualifier. È una scelta che potrebbe sembrare logica, ma il problema sta a monte.

Sono d’accordo che ottenere il titolo di professionista dovrebbe essere un punto d’arrivo, riservato a chi intende davvero gareggiare. Non ha senso fregiarsi dello status di IFBB Pro solo per scriverlo sui social senza poi farci nulla. Ma qui non è tanto la regola ad essere sbagliata, quanto il contesto in cui viene introdotta: dopo anni in cui le Pro Card sono state distribuite senza criteri rigorosi. Prima abbassano gli standard, e adesso impongono regole più rigide. Questo è il vero problema.

Alla fine, sembra più una mossa per fare cassa, obbligando gli atleti a competere e rinnovare le iscrizioni, piuttosto che un tentativo di migliorare la qualità competitiva.

💭 Cosa ne pensate? È questa la direzione giusta per il nostro sport, o stanno distruggendo quello che un tempo era un simbolo di eccellenza? Scrivetelo nei commenti!

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