Fabio Falcone psicologo

Fabio Falcone psicologo Informazioni di contatto, mappa e indicazioni stradali, modulo di contatto, orari di apertura, servizi, valutazioni, foto, video e annunci di Fabio Falcone psicologo, Psicologo, Via Adeodato Ressi 28, Milan.

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Alimentarsi non è mai, per un essere umano, un mero fatto di istinto. È un atto che convoca l’Altro, anche qualora si sv...
02/02/2025

Alimentarsi non è mai, per un essere umano, un mero fatto di istinto. È un atto che convoca l’Altro, anche qualora si svolga, apparentemente, in solitudine, tanto per formulare un appello, una domanda, quanto per escludere. Il discorso sociale contemporaneo domanda di apparire con un corpo magro e, al contempo, consumare il più possibile. In ambito psicoanalitico il disturbo alimentare non va ad epitomare il soggetto, non rappresenta una diagnosi di per sè ma è espressione di una struttura soggettiva che si può articolare in modo sostanzialmente diverso. Jaques Lacan arriverà ad estendere l’ambito degli oggetti pulsionali, includendo l’oggetto niente caratterizzato da uno statuto del tutto peculiare. Una clinica orientata al suo insegnamento non si limiterà alla categorizzazione sintomatica, alla serie, ma ad una messa al lavoro a partire dalla singolarità dell’incontro analitico.

Il significante “cambiamento” si declina in vari significati a seconda dell’approccio teorico. Marco Focchi ci fa dono d...
19/11/2024

Il significante “cambiamento” si declina in vari significati a seconda dell’approccio teorico. Marco Focchi ci fa dono di uno strumento prezioso per orientare la pratica. Prima facie, non è estinzione del sintomo, riparazione, ripristino di uno stato pretraumatico nè sviluppo. Sintomo, ripetizione e comportamento non vanno espunti. Diversamente, un comportamento diventa il formulario entro cui muoversi, confine della politica, obiettivo strategico e fine di una terapia: un inizio e un fine teleologico. L’analisi non è restitutio in integrum, non è indennitaria, risarcitoria, non è ristoro di un bene perso, reiterazione del già stato: non vi è un prima e un dopo la perdita. Interrogare la ripetizione porta a qualcosa dell’ordine del mai stato. Nell’esperienza correttiva, manipolando il transfert, si cerca di riprodurre situazioni in cui l’io abbia perso qualcosa, si tenta un rafforzamento della plenipotenziarietà. Cambiamento non è ipotizzare l’immaturità del paziente fornendo un modello maturo da introiettare in un mondo ancora plastico. Così l’interpretare ciò che è nascosto alla coscienza, è seguire il tracciato del fantasma, la fallicizzazione. Il diniego edipico, non si risolve nel limite posto dall’Altro che gode, ma è l’argine che si frappone tra il soggetto e l’angoscia della libertà senza legge. Non si tratta di rimuovere il no edipico ripristinando la pienezza primigenia, ma di spezzare la spirale uroborica della ripetizione con una diversa risposta dell’Altro, che non si porrà come modello, ma consentirà di attraversare il vuoto pulsionale nel giro della ripetizione. Non aggiunta di senso, esperienza correttiva, riedizione di un già stato con un analista nel ruolo parentale pronto a dare risposte curative. Rimane la cucina degli avanzi, dialettizzare il contrasto tra volontà e desiderio, umanizzare il desiderio, fare i conti con il reale della pulsione. Non oggettivazione, rimozione del sintomo, normativizzazione, omologazione, ma soggettivazione, accesso al fare qualcosa di sè. Vi è un reale senza legge che sfugge all’ interpretazione, all aggiunta di senso. Va “disturbata la difesa” del godimento illimitato, abituare al reale

Psicoanalisi e neuroscienza sembrano assumere posizioni antitetiche ed apparentemente inconciliabili. Uno psicoanalista ...
21/10/2024

Psicoanalisi e neuroscienza sembrano assumere posizioni antitetiche ed apparentemente inconciliabili. Uno psicoanalista ed un neuroscienziato provano a trovare un punto di convergenza tra le due realtà individuandolo nel concetto di plasticità cerebrale. Il conforto della neuroscienza sembra corroborare e confermare l’intuizione freudiana: la triade esperienza/percezione/traccia contribuisce a modellare i collegamenti sinaptici in base alla percezione della realtà. Ciò rende unica la morfologia ma non si limita a quanto derivi dal perceptum, investe anche le esperienze che provengono dal fantasticare e, rectius, dall’esperienza onirica. Infinite esperienze, siano essere reali o meno (come Freud ha imparato ed insegnato studiando l’eziologia della nevrosi isterica), che si combinano e ricombinano tra loro creando una serie di tracce che finiscono per non avere più un nesso diretto con la realtà: in termini lacaniani l’esperienza e la percezione appartengono al campo del significato, la traccia, al contrario, è dell’ordine del significante. Da ciò discende che ogni cervello sia unico, così come unico è il soggetto psicoanalitico. La psicoanalisi può cogliere dal significante, principalmente attraverso le formazioni dell’inconscio, il nesso dei collegamenti. Il percorso analitico è una via che conduce e riconduce attraverso numerose altre strade già percorse dalla catena dei significanti

L’atto del ripetere è una prigione che libera da un’altra, è un vincolo che slega, una porta che si apre per rinchiudere...
02/09/2024

L’atto del ripetere è una prigione che libera da un’altra, è un vincolo che slega, una porta che si apre per rinchiudere altrove, un’affermazione di libertà che rende schiavi. È la parola del soggetto contro la parola della realtà: entrambi moti che assoggettano. La ripetizione non punta all’omeostasi ma alla tensione, pulsione di morte e ripetizione sono legate, mirano al perduto, procedono all’indietro. La ripetizione spesso provoca quella doglianza che porta in analisi, porta d’ingresso e, al contempo, porta d’arresto: testimonia la difficile rinuncia al godimento perduto, il tentativo metonimico di un ritorno al tempo dell’assenza della perdita dovuta all’incontro con il linguaggio.

Il film rappresenta, con dovizia di particolari, la nevrosi di Harold: il protagonista maschile è preso nel giogo matern...
23/07/2024

Il film rappresenta, con dovizia di particolari, la nevrosi di Harold: il protagonista maschile è preso nel giogo materno, finisce con il mettere in scena, ripetutamente, il proprio suicidio affinché la madre lo veda, attualizzi un interesse particolareggiato nei suoi confronti. La scaturigine di questa ripetizione è il momento in cui ella riceve la (erronea) notizia della morte del figlio: è il momento in cui la madre sviene, in cui perde la presa, il momento della caduta, seppure nelle braccia altrui. Superato quel momento inaugurale, Harold riattualizza questa scena simulando una serie di suicidi, si mortifica da vivo, è morto essendo vivo. Maude, al contrario, a dispetto dell’età, conduce una vita dove le passioni, gli ideali e le sfide sono inscritte a lettere di fuoco nel suo destino: non si arrende, aggira abilmente e agilmente ogni ostacolo. Maude sa mettere in circolazione qualcosa di Harold, lei incarna e testimonia qualcosa che attiene al desiderio, consente di arrivare ad un secondo e terzo tempo dell’Edipo, Maude gli fa il dono del poter desiderare. Harold inizia a suonare uno strumento, a confrontarsi con qualcosa che presuppone l’Altro: si innamora. L’anziana donna trasmette, al contempo, la legge coniugata al desiderio, toglie Harold dalle fauci della madre. Maude sa farsi viva anche da morta. Dopo la morte di Maude, Harold non rinuncia alla sofferenza ma non ne è sopraffatto, cancellato, mortificato, riesce a stare nella mancanza. Nel finale si allontana danzando, testimoniando di aver ricevuto l’eredità più preziosa, la possibilità di diventare un essere vivo, desiderante: un essere umano.

Ludwig Binswanger mette in luce aspetti preziosi ed intimi di Freud.  Un’amicizia che va decisamente al di là dell’orien...
22/04/2024

Ludwig Binswanger mette in luce aspetti preziosi ed intimi di Freud. Un’amicizia che va decisamente al di là dell’orientamento teorico. Venticinque anni di vita in cui Binswanger riesce a mantenere vivo l’Altro e, al contempo, a discostarsene, articolando le proprie idee senza dover (simbolicamente) uccidere il padre della psicoanalisi. Dall’altro lato, Freud dimostra (a dispetto dei luoghi comuni) di saper ben conciliare la fermezza delle proprie tesi con l’affetto che lo lega all’allievo. Forzando la vicenda edipica, potremmo dire che, incrociandosi nella medesima via, nessuno dei due cede il passo: entrambi si dimostrano capaci di percorrere due vie che, seppur divergenti, consentono, senza attriti, di mantenere un contatto profondo

Il corpo parla?La cultura occidentale è influenzata dal pensiero platonico, nel Fedone, il corpo è prigione dell’anima. ...
21/03/2024

Il corpo parla?
La cultura occidentale è influenzata dal pensiero platonico, nel Fedone, il corpo è prigione dell’anima. Cartesio (res cogitans-res extensa) espunge il corpo dalla speculazione: è l’affermazione dell’Io pensante. La separazione ontologica corpo-anima arriverà ad una crisi con Schopenauer e l’introduzione di una dualità che porta alla verità che il corpo rappresenta, Alexander Lowen scriverà che il corpo non mente, lo stesso Nice definirà il corpo come una grande ragione. L’intuizione freudiana si inserisce in questa corrente, il corpo non è più qualcos’altro, mero oggetto di appartenenza, strumento pensato, diventa espressione, linguaggio, il noto “discorso d’organo”. La compiacenza somatica fa sì che il corpo diventi voce incarnata dell’anima, segno di qualcosa che non è organico. Si fondono corpo istintuale e pulsionale, biologia e pulsione, il godimento che va oltre le mere necessità fisiche. Per Lacan il corpo è il luogo dell’Altro, è il corpo che incontra il linguaggio e ne viene segnato, assoggettato e umanizzato. Vi è quindi perdita di godimento quale premessa alla mancanza e la relazione con la mancanza quale condizione sospensiva del desiderio. Il linguaggio diventa quindi scaturigine del corpo stesso, lo modella, lo definisce, lo genera.

Lo zen e Lacan hanno dei punti di convergenza? Leonardo Vittorio Arena tenta di fornire una risposta riferendosi al faro...
27/02/2024

Lo zen e Lacan hanno dei punti di convergenza?
Leonardo Vittorio Arena tenta di fornire una risposta riferendosi al faro rappresentato dagli “Altri scritti” di Lacan mettendoli in relazione allo Zen ed al Tao. L’autore vuole superare i più noti concetti solitamente estrapolati dall’opera di Lacan e desidera addentrarsi negli aspetti più profondi di una clinica senza standard ma non senza principi quale è, notoriamente, quella lacaniana. L’analista lacaniano, che non è il depositario di un sapere sull’analizzante nè mira alla cura, alla normalizzazione, viene così paragonato al bodhisattva, cioè a qualcuno che rinuncia a qualcosa del suo stato (generalmente faticosamente acquisito) e che, tutt’al più, può mettere in condizione l’altro di salvarsi da sè. Vi è un’analogia nel fatto che l’analisi lacaniana non abbia ad oggetto il passaggio dall’inconscio al conscio, dove l’interpretazione rende consapevole l’Io: così anche nel Chan e nello Zen non vi è ricerca di senso, volontà di rendere edotta la coscienza, inutile ricerca del luogo dove il senso trovi il suo dominio. Il soggetto è lì dove non pensa di essere, il vuoto del pensiero è la parola, di modo che il vuoto di parola possa porsi quale meta irraggiungibile. Maestro/allievo, analista/analizzante, entrambe le diadi non mirano alla comprensione dell’altro, alla normalizzazione, all’igienizzazione sociale, è, invece, un mancare la presa, rinunciare alla logica dell’afferrare che, ineluttabilmente, si rivelerebbe fallace. È un lasciare avvenire, tenere una posizione che non ostacoli e non spinga verso una direzione (dell’analista o della teoria) in entrambi i casi non si insegue un’opera di significazione del sintomo, un’ermeneutica salvifica che liberi dalla sofferenza. In estrema sintesi, elementi quali la durata variabile della seduta, il silenzio dell’analista, l’abbandono dell’ermeneutica in analisi quale strumento risolutivo, la rinuncia al senso e l’assenza di un sapere dogmatico sono tutti punti che accomunano, secondo l’autore, la psicoanalisi Lacaniana e la dottrina Zen e che conducono a un non-esserci dell’analista atto a stimolare una rilettura del mondo da parte dell’analizzante/allievo

Quanto incide l’infanzia sulla vita adulta?Marco Innamorati pone l’accento su come la psicoanalisi, ma non solo, abbia r...
23/02/2024

Quanto incide l’infanzia sulla vita adulta?
Marco Innamorati pone l’accento su come la psicoanalisi, ma non solo, abbia rivolto l’attenzione verso i bambini e ci conduce attraverso un percorso ben articolato che prende in esame i casi più significativi. Sono casi che spesso, in base ai canoni odierni, vanno ben oltre i limite imposti dall’etica, basti pensare all’analisi de relato o a quella sui propri figli fino all’esperimento di Renè Spitz, foriero di drammatiche conseguenze. I piccoli pazienti vengono osservati dalle varie angolazioni teoriche dei diversi approcci, accomunati dall’idea per cui l’inizio dell’esistenza ed i primi anni di vita rappresentino un momento fatale. Lì si forma il fantasma, la lente attraverso cui un individuo osserverà il mondo, quel mondo in cui si è gettati e dove lo sguardo e la voce di chi è preposto all’accudimento rappresentano un faro ed una boa nelle acque agitate dell’esistenza. La parola è essenziale per l’essere umano, il bambino nasce già nel linguaggio, il linguaggio lo precede, egli viene parlato dai suoi familiari prima che nasca e verrà, in seguito, descritto, narrato. Il celebre esperimento di Federico II, dove i bambini vennero privati della parola dell’Altro, così come in Spitz, testimonia come senza la parola non ci sia vita umana. Lacan spiegherà che si venga alla vita come soggetto di bisogno per poi giungere alla posizione di soggetto desiderante. Nella prospettiva Lacaniana il sintomo del bambino è espressione della struttura familiare: è la verità sulla famiglia. Questo quando non si arrivi al caso in cui il bambino non sia esso stesso nella posizione di oggetto del fantasma materno. La funzione paterna disincaglia da questa posizione e con la Legge consentirà l’accesso al desiderio, dall’altro lato, quella materna incarna una cura ed un interesse particolareggiato che si declinano in base al bambino. Quindi, fatalmente, l’incontro con la vita è sempre incontro con il linguaggio, con l’Altro, è un bagno di significanti che si imprimono come punte nell’argilla, infatti, i primi anni saranno oggetto di analisi per riattualizzare ciò che, après coup, continua a parlare tramite le formazioni dell’inconscio

Chi può divorarci? Nel dipinto di Goya, riprodotto nella copertina dell’edizione francese, Saturno divora i suoi figli. ...
19/02/2024

Chi può divorarci? Nel dipinto di Goya, riprodotto nella copertina dell’edizione francese, Saturno divora i suoi figli. È la raffigurazione dello strapotere di un Altro che può disporre fino all’annientamento, al divoramento, alla feroce cancellazione. È una madre che incarna una divinità che tenta voracemente di riempire la propria mancanza fagocitando il figlio. La relazione oggettuale è relazione con una perdita strutturale, l’oggetto perduto freudiano non potrà mai essere ritrovato, non è fungibile, non è compensabile, la sua mancanza non conosce restitutio in integrum, non potrà essere ristorata. La ripetizione testimonia la sua natura, è la cifra di una ricerca destinata, fatalmente, all’insuccesso ed alla reiterazione. La relazione, quindi, non è tra il soggetto ed un oggetto ma tra il soggetto e la mancanza. Lacan è critico verso i post freudiani, verso l’evoluzionismo per cui i soggetti genitali avrebbero maturato un vaccino verso la perdita ponendosi come soggetti ideali: la relazione oggettuale così intesa atterrebbe all’immaginario. Per Lacan non esistono esseri umani che possano, forti di un certo grado di maturazione evolutiva, andare esenti dalla perdita. La mancanza è fisiologica, fa parte della natura dell’uomo, allo stesso modo, l’analisi non si compie identificandosi con un (inesistente) soggetto maturo, un io ideale. Lacan pone l’accento su un elemento terzo nella relazione madre-Bambino: il fallo. Quest’ultimo è la mancanza per la madre e l’angoscia per il bambino che, per sua natura, sarà più che disposto a tentare di colmare la mancanza materna. La mancanza d’oggetto assurge ad una veste costitutiva del soggetto, gli oggetti transizionali winnicottiani sono qui oggetti immaginari, hanno a che fare con il modo in cui si cerchi di sostituire l’insostituibile. Da tutto ciò discende ciò che più tardi porterà alla tesi per cui la mancanza di mancanza diventi scaturigine dell’angoscia

Può il tradimento avere un’accezione positiva? Aldo Carotenuto fornisce una lettura diversa rispetto al sentire comune, ...
09/02/2024

Può il tradimento avere un’accezione positiva? Aldo Carotenuto fornisce una lettura diversa rispetto al sentire comune, scuote la coscienza ed evidenzia che tradire ciò che si è cristallizzato sia qualcosa di vitalizzante, necessario, spesso ineluttabile. Solo il tradimento di certi stilemi ha consentito che l’arte potesse evolversi, il venir meno a certe regole, certe norme che, se da un lato conservano e proteggono, dall’altro ostacolano ogni mutamento. Le grandi scoperte nascono dalla sfida verso le colonne d’Ercole del sapere. Tradire è cambiare, disattendere le aspettative, così anche un figlio può nascere già tradito quando la famiglia nutre delle aspettative proprie e non del nascituro che, a sua volta, dovrà tradire tali aspettative per non tradire se stesso. Mi sento di aggiungere che, probabilmente, questo sarà il vero limite dell’intelligenza artificiale quello di essere incapace di innovarsi attraverso la via del tradimento. Probabilmente l’unico tradimento che davvero incida solo in senso negativo sull’esistenza sia il tradire il proprio talento, il proprio desiderio individuale: per evitare che accada, prima o poi, bisogna compiere il tradimento più doloroso, ovvero, venir meno a ciò che crediamo di noi stessi, tradire l’Io che pensiamo di essere

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Milan
20125

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