12/02/2025
Il nostro sistema biologico, ottimizzato per la sopravvivenza in condizioni di scarsità, non è stato progettato per gestire l’eccesso.
Questa impronta evolutiva è stata perfettamente compresa dall’industria alimentare, che ha sfruttato le vulnerabilità del nostro cervello per creare prodotti altamente gratificanti, capaci di aggirare i normali segnali di sazietà.
Attraverso un’attenta ricerca scientifica, le aziende studiano la combinazione perfetta di zuccheri, grassi e sale – quella che viene definita “bliss point”, il punto di massimo piacere sensoriale – per rendere il cibo irresistibile e incentivarne il consumo incontrollato.
Questo non è un caso, ma il risultato di strategie ben precise che mirano a stimolare al massimo il circuito della ricompensa nel nostro cervello, lo stesso sistema che regola altre forme di dipendenza.
Oltre alla dopamina, che gioca un ruolo centrale nel sistema della ricompensa, ci sono altri neurotrasmettitori che influenzano il nostro rapporto con il cibo e il piacere che ne traiamo.
Uno di questi è la serotonina, spesso chiamata “l’ormone del buonumore”. La serotonina è coinvolta nella regolazione dell’umore, del sonno e della sazietà, ed è fortemente legata alla nostra alimentazione.
Il consumo di carboidrati ad esempio, stimola il rilascio di insulina, che a sua volta favorisce l’ingresso del triptofano – il precursore della serotonina – nel cervello.
Questo meccanismo spiega perché spesso desideriamo cibi ricchi di zuccheri o carboidrati quando ci sentiamo giù di morale: il nostro corpo cerca inconsciamente di aumentare i livelli di serotonina per ottenere una sensazione di benessere e conforto.
Tuttavia, questo effetto è temporaneo e può portare a una ricerca compulsiva di cibo per mantenere attiva questa sensazione, alimentando un circolo vizioso simile proprio a quello della dipendenza.
Ancora una volta, NON è solo una questione di forza di volontà.
Non ti serve una dieta, ti serve ristrutturare le abitudini alimentari.
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