25/04/2025
La
Leonarda Cianciulli non è una figura criminale qualunque. Il suo nome è indissolubilmente legato a un’immagine disturbante e quasi grottesca: quella della madre che, tra il 1939 e il 1940, uccide tre donne e ne utilizza i corpi per farne sapone e dolci. Ma ridurre la sua storia a una macabra cronaca nera sarebbe limitante. Per comprenderla davvero è necessario inoltrarsi nelle pieghe profonde della sua psiche, dove superstizione, delirio, narcisismo e desiderio di controllo si fondono in un’identità disturbata e narcisistica.
Leonarda nasce a Montella nel 1893. L’infanzia è segnata da dolore, rifiuto e stigma: concepita da una madre che la detestava, frutto di uno stupro subito da parte dell’uomo che poi sarebbe diventato suo marito. Questo elemento è cruciale: fin dalla nascita, Leonarda è oggetto di un’investitura negativa, percepita come “bambina maledetta”, e questo messaggio viene da lei interiorizzato profondamente.
Dopo un’adolescenza segnata da tentativi di suicidio e lutti, si sposa contro il volere della madre. Da lì in poi, la sua vita sembra scandita da una serie impressionante di perdite: numerosi figli nati morti o morti in tenerissima età , probabilmente 17. Queste esperienze configurano un vero e proprio trauma cumulativo, in cui ogni perdita sembra riattivare e sommare tutte le precedenti, consolidando un’identità profondamente paranoide e superstiziosa.
A livello strutturale, il suo funzionamento psichico mostra tratti borderline e narcisistici, con momenti di delirio sistematizzato a sfondo magico-religioso. Leonarda sviluppa un pensiero onnipotente: si convince che il sacrificio umano possa placare il destino e salvare l’unico figlio superstite, Giuseppe, che adora in modo assoluto. In questo rapporto madre-figlio si manifesta la matrice più profonda del suo agito criminale.
Nella mente di Leonarda, le tre donne uccise ,Faustina Setti, Francesca Soavi, e Virginia Cacioppo ,non sono semplicemente vittime: diventano offerte sacrificali, strumenti rituali per proteggere il figlio. La logica è delirante, ma perfettamente coerente all’interno del suo sistema mentale. L’omicidio non è un atto impulsivo, ma pianificato e ritualizzato, con una finalità magico-simbolica.
La trasformazione dei corpi in sapone e dolci, spesso interpretata come gesto di macabra teatralità, può invece essere letta come una forma perversa di rimozione e controllo: “trasformare” il corpo è un modo per negarne la morte, per renderlo altro, manipolabile, meno terrificante. È una sublimazione al contrario: non si trasforma l’angoscia in simbolo, ma il corpo reale in oggetto concreto che contiene e placa quell’angosciaa.
Leonarda vive in un mondo dove ogni evento ha una spiegazione simbolica, spesso legata a riti, profezie, letture di mano, maledizioni. In questo senso, la superstizione non è solo un tratto culturale: è un meccanismo difensivo strutturale, che le consente di attribuire senso e controllo a un’esistenza altrimenti caotica e dolorosa.
In psicoanalisi potremmo parlare di un delirio protettivo, in cui la costruzione fantasmatica (uccido per salvare) ha la funzione di proteggere il Sé da un crollo psicotico. Uccidere, per Leonarda, non è un atto di sadismo, ma un gesto “sacro”, in cui la violenza è giustificata da una narrazione che le consente di non soccombere alla perdita.
Tutta la vita di Leonarda ruota intorno alla maternità. Il figlio superstite, Giuseppe, è investito di un valore assoluto, quasi divino. In lui si raccoglie tutta la sua narrazione identitaria. La sua sopravvivenza diventa l’unico obiettivo esistenziale. Non è più solo una madre: è una madre-sacerdotessa, disposta a tutto pur di preservare il figlio dalla morte. In questa dinamica si delinea una identificazione narcisistica totale con il figlio, che assume funzione di prolungamento del proprio Sé grandioso.
Il sacrificio delle tre donne diventa così un atto di amore estremo e distorto, che rivela però la centralità assoluta del proprio vissuto: non si uccide per l’altro, ma per mantenere intatta l’illusione del controllo. In questo senso, Leonarda incarna la madre arcaica divorante, che non riconosce l’altro come soggetto, ma solo come oggetto da usare o annientare.
Leonarda Cianciulli rappresenta un caso clinico di grande interesse, in cui si intrecciano tratti nevrotici, elementi psicotici e difese primitive. Il suo gesto è criminale, ma non semplicemente “folle”: è l’espressione di una struttura psichica organizzata intorno al trauma, alla perdita, alla superstizione come meccanismo di sopravvivenza.
Nel suo racconto in carcere e nella sua autobiografia (“Confessioni di un’anima amareggiata”, scritta nel manicomio giudiziario di Aversa), Leonarda non esprime mai vero rimorso. Il suo linguaggio resta lucido, controllato, privo di scissioni manifeste. Questo dato conferma l’ipotesi di una personalità disturbata ma non delirante in senso psicotico, capace di costruire una narrativa coerente, pur partendo da presupposti completamente distorti.
Il caso della saponificatrice, dunque, non è solo materia da cronaca nera, ma anche da riflessione profonda sul potere distruttivo della perdita non elaborata, sull’onnipotenza narcisistica e sulla maternità come potenziale zona d’ombra, quando viene abitata dal dolore, dalla scissione e dalla paura.
https://www.barbarafunaropsicologa.it/criminologa-milano.html