16/11/2025
Bice Lazzari: il segno come misura dell’esistenza,
Nel panorama dell’arte italiana del Novecento, la vicenda di Bice Lazzari é un esempio lucido e silenziosamente radicale di resistenza e libertà.
Già nei primi anni della sua formazione si misura con un sistema che esclude le donne dalla piena cittadinanza artistica: nel 1916 si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Venezia, ma non può accedere al corso di pittura perché include lezioni di n**o, ritenute inadatte a una “signorina di buona famiglia”.
Ammiro come Bice Lazzari elabora questa limitazione, non come una rinuncia, ma come uno scarto creativo: a partire dalla seconda metà degli anni Venti si dedica alle arti applicate, unico ambito in cui una donna poteva aspirare a un’indipendenza economica e progettuale.
Il tessuto, il decoro, l’intarsio diventano per lei non solo materiali, ma alfabeti, forme primarie di un linguaggio che maturerà pienamente solo decenni dopo.
È nel secondo tempo della sua produzione, dagli anni Cinquanta in poi, che l’opera di Lazzari compie il suo atto più radicale: l’adesione all’Informale. La mostra esplira quedti due tempi.
Abbandona il fihurativo e sceglie materiali alternativi, (colle, sabbie, tempere, acrilici) in una pratica che si fa essenziale, ritmica, materica. Ma soprattutto, individua nella linea la chiave profonda del suo vocabolario espressivo: non più figura, non più decorazione, ma punto, segno, traccia. Un segno che si fa poesia .
L’astrazione per Bice Lazzari non è fuga dal reale, ma condensazione dell’esperienza.
Mi chiedo quanto la sua ricerca astratta debba ringraziare e abbia dialogato con l esperienza a telaio.
L’ordito invisibile della sua esistenza ,la fatica, l’esclusione, la libertà conquistata a frammenti , si fanno visibili nella poetica del segno.