22/10/2025
Paolo aveva 15 anni.
Era stato deriso, umiliato, chiamato “Paoletta”.
Aveva chiesto aiuto.
I genitori avevano denunciato, segnalato, gridato la sua sofferenza.
Ma la sua voce si è spenta nel silenzio degli adulti.
Oggi il Ministero dell’Istruzione conferma ciò che quella madre e quel padre avevano già capito: le loro denunce erano fondate, ma sottovalutate.
La scuola sapeva. E non ha fatto abbastanza.
È un dolore che arriva sempre “dopo”.
Quando ormai non serve più a nessuno.
Perché Paolo non c’è più.
E ogni accertamento, ogni relazione, ogni parola spesa adesso ha il sapore amaro del ritardo.
Abbiamo una legge contro bullismo e cyberbullismo. Ma non basta.
Parla di prevenzione, di protocolli, di tavoli permanenti.
NON PARLA DEL TEMPO.
E non prevede ciò che davvero può salvare una vita: percorsi psicologici obbligatori e immediati, con tempi certi e famiglie coinvolte.
Alla prima segnalazione, entro 48 ore, deve scattare un intervento obbligatorio,
non interno alla scuola, dove troppo spesso ci si rimpalla le responsabilità o si tende a coprire, ma affidato a figure esterne qualificate o ai servizi sociali, così da garantire imparzialità e tempestività.
Perché il silenzio non è neutralità.
È complicità.