29/10/2024
Una voce, un sentire profondo, il tempo che scorre. Il basso baritono Claudio Giombi si racconta attraverso la raccolta di poesie “Una vita in clessidra” che unisce i pensieri di una vita.
Settantacinque anni in versi dove emergono le sfumature di una ricca esistenza che ha saputo accogliere ogni momento, trasformandolo in una crescita interiore. Attimi belli e brutti che come la sabbia di una clessidra hanno percorso il loro tempo.
Il libro, diviso in più parti, ripercorre il sentire dell'autore, facendo scoprire al lettore la sua essenza più profonda. Giombi non ha rimpianti, il suo cammino l'ha fatto, ricevendo e dando al pubblico, ai suoi allievi, alla vita stessa.
In questa raccolta non ci sono solo poesie in italiano: l'autore infatti gioca con il suo dialetto,
riuscendo a restituire al lettore immagini di vita vera, a volte condite con un po' di ironia. Una penna capace di fissare sul foglio ciò che lo sguardo attento osserva. Poesie, ma anche acrostici e aforismi per raccontare e raccontarsi.
«C'è chi crea, c'è chi distrugge – scrive Nazario Zanetti nella prefazione –, io spero che molti lettori
useranno questa clessidra e scopriranno che il loro tempo non è stato sprecato».
Giombi, che rapporto ha con il tempo?
«Ora per me il tempo è molto prezioso, mi dispiace sprecarlo in cose inutili, come spesso avviene. Vorrei poter condividere quello che la Vita mi ha insegnato con i giovani, aiutarli a superare i molteplici ostacoli con ottimismo e soprattutto con la volontà».
Il tempo, negli anni, non cambia, continua a scorrere. Oggi fermarsi sembra impossibile. Lei come vede questa società che va sempre di corsa?
«Il tempo scorre inesorabile, ma a ottanta anni sembra aumenti la velocità ogni anno di più; ora a 87 mi sveglio alla mattina “…ed è subito sera”. Questa società è molto, molto diversa da quella che immaginavo. Tutte quelle lunghe solitarie passeggiate della mia giovinezza tra i boschi, i monti, i musei, nelle città che visitavo, oggi i giovani possono raggrupparle in brevi periodi liberi.
Per tutta la vita ho avuto la libertà: libertà di scelta, libertà d’azione, non sprecavo ore al computer o al cellulare con amicizie fittizie e inutili, a scrivere banalità. Avevo il tempo per osservare, imparare e fare.
Le scelte le facevo io e sceglievo quello che mi piaceva, non quello che mi costringevano a scegliere. Oggi le scelte sono infinite ma spesso sono come le bolle di sapone… Ho scelto la vita insicura ma ricca di esperienza, abbandonando la sicurezza noiosa del lavoro statale. Ma ho saputo anche resistere alle lusinghe della Politica, rimanendone sempre fuori».
Ogni fase della vita ha i suoi pro e contro, lei come vive la vecchiaia?
«Ai pro e i contro ho già risposto nella domanda precedente, posso aggiungere che non mi aspettavo molto dalla vita, avendo abbandonato presto la scuola: a 17 anni ero apprendista statale consegnando telegrammi e raccomandate, ma il mondo dell’opera, così ricco di cultura e allora molto in auge, mi affascinava fin da piccolo e sentivo che era il mio mondo. Un mondo giocoso, difficile, competitivo.
Ho sempre creduto nella competizione onesta. Ci credo ancora oggi, mi piace competere magari a burraco…voglio tenermi costantemente allenato con il cervello. Leggo, scrivo, ascolto musica e continuo a ispirarmi alla natura che mi circonda quando vengo a Trieste, da Milano».
Per lei la scrittura è terapeutica?
«Oh sì! Ma anche qui come in tutto non bisogna eccedere altrimenti può essere pericolosa quando diventa una professione e si deve scrivere per vivere. Il campo è assai competitivo. Anche il Teatro, la Musica, il Canto, la Danza sono sempre stati competitivi ma nel passato la competizione avveniva nella tua città, poi nel tuo Paese, oggi invece è nel Mondo. Da solo, senza amicizie influenti o senza accedere a ricatti diventa molto, molto, difficile riuscire».
Poesia e Canto lirico: hanno qualcosa in comune?
«Molto. L’opera lirica, il Melodramma, nasce dal “Recitar cantando”, Ottavio Rinuccini, l’Autore della Dafne che fu il primo melodramma musicato, era un Poeta e così il Metastasio più tardi e tutti o quasi i librettisti dell’Ottocento e i primi del Novecento.
La Musica si accompagnava al Verso, anche nel mondo della Romanza da camera e nella Canzone. Solo dopo D’Annunzio la Poesia ha abbandonato la musicalità del verso e secondo me è diventata Prosa».
Guardando la sua clessidra, come vede il passato?
«Ho molta memoria visiva, lo vedo spesso e traggo beneficio da tutte le lezioni che ho ricevuto da quei grandi Artisti e Maestri che ho avuto modo di conoscere e avvicinare e che mi hanno arricchito con i loro suggerimenti o a volte severe bacchettate, per istillarmi qualche goccia di sapere.
Tutti abbiamo molteplici occasioni d’incontrare sul nostro cammino Maestri che vorrebbero aiutarci, ma troppo spesso gli ignoriamo, non ci diamo importanza. La mia professione invece mi ha offerto questa opportunità e ne ho fatto tesoro.
Qualche volta, l’Artista ti offre una chiave di volta che ti serve per aprire quelle porte segrete che abbiamo chiuse dentro di noi e che forse nemmeno lui è riuscito ad aprire. La mia Clessidra è stata un passepartout, mi ha aiutato ad aprire molte porte del mio subconscio, affrontare chiusure bloccate dai timori, dalle paure, dalle insicurezze».
Il ricordo, più significativo di Giombi uomo? L’insegnamento che porta con sé e che vorrebbe trasmettere ai giovani?
«È senz’altro la nascita dei miei figli e poi quella dei loro figli, il mio DNA che continuerà nelle generazioni future alle quali vorrei trasmettere la mia passione per i Teatro, la Musica e l’Arte in generale, ma anche e soprattutto l’Onestà. Essere sempre in pace con la coscienza».
Perché ha deciso di raccogliere le poesie d’una vita in un libro?
«Forse è stata una sfida a me stesso. L’ultimo capitolo, il riassunto della mia vita. Se qualcuno saprà decifrarlo e vorrà capire chi ero e cosa ho fatto. Se arriverà nel futuro, qualcuno cercherà di capire in quella società – tanto diversa dalla nostra – com’era questo trisavolo. Non sono scrittore, né Poeta. Ho lasciato scorrere la mano sul computer come nel passato intingere la penna nel calamaio e ho scritto quello che il cuore mi suggeriva».
Qual è il suo sogno nel cassetto?
«Quello di non dover soffrire fisicamente. Vorrei poter abbandonare il mio corpo con gioia, morire serenamente con il sorriso. Ho già disposto tutto per la mia cremazione. La dispersione delle mie ceneri nel bel golfo di Trieste al tramonto accompagnato dal secondo movimento della 5a Sinfonia di Tchaikovsky».
Nadia Pastorcich