
29/07/2025
Così riflettevo, e il Padiglione d'oro mi sembrava un elegante vascello sul mare del tempo. (...) Oltre il sentiero di ghiaia scorreva un canale d'acqua chiara, e bianche ninfee vi scivolavano silenziose. (...) Fra la fresca verzura, le tegole del tetto del tempio risplendevano come se sopra all'edificio fosse posato, aperto, un gigantesco libro rilegato. Che mai poteva significare la guerra in quel momento? In certi luoghi, in certi attimi mi sembrava che la fosse un oscuro incidente immaginario esistente soltanto nella coscienza degli uomini.
("Il padiglione d'oro" di Yukio Mishima)
Leggendo degli attacchi a Gaza, delle bombe a grappolo dell'Iran, delle guerre in Yemen ho avuto la medesima sensazione. Quando siamo di fronte alla bellezza di ciò che ci circonda, la guerra sembra veramente un'incidente lontano dai luoghi e dal tempo. Un'incidente non casuale perché forse intimamente radicato nell'animo umano. Certo, ci sono gli interessi economici, ma poi cos'altro. Torniamo al romanzo. Il Padiglione d’oro, cioè il tempio Kinkaku-ji a Kyoto, uno dei simboli del , è stato incendiato da un monaco il 2 luglio 1950. Il fine era distruggerlo, disintegrarlo. Il romanzo di galleggia sapientemente tra un fatto reale e il mondo interno del famoso monaco.
Forse c'è una relazione tra la e la guerra? Di primo acchito sembrano due estremi opposti, ma chissà non siano legati da un filo invisibile che li collega.
La bellezza può essere qualcosa che ci rimanda alle nostre imperfezioni, ai nostri limiti. Il monaco, nella storia di Mishina, è balbuziente e socialmente impacciato. La sua percezione d'infermità lo rende incapace di vivere con naturalezza i rapporti con gli altri e di esprimersi: ciò che è semplice per gli altri (parlare, amare, desiderare) per lui diventa un tormento. Ogni volta che si confronta con la bellezza (del Padiglione), questa sua inadeguatezza diventa più evidente e dolorosa.
-ji Foto di Marcello Florita.