03/11/2025
C'è stato un tempo in cui la fame aveva un volto, un odore, un nome. Si annidava tra i vicoli anneriti, nelle campagne avvolte dalla nebbia, dentro le stanze fredde dove il pane mancava e l'amore, da solo, non bastava a scaldare i corpi e a salvare le anime. In quell’Italia dimenticata, la miseria era un’ospite fissa. E a volte, per sopravvivere, bisognava compiere l’impensabile.
Madri e padri, dilaniati dal dolore, si trovavano a scegliere tra la morte e l’abbandono. La carestia, la malattia, l’ingiustizia sociale non lasciavano alternative. Così, molti bambini venivano affidati alla ca**tà pubblica, accolti da istituzioni religiose o depositati — è proprio il caso di dirlo — nella “ruota degli esposti”.
Era un cilindro di legno incassato nei muri di chiese e ospizi. Si girava piano, come una soglia tra due mondi. Da un lato, la vergogna e il dolore; dall’altro, la speranza. Il genitore vi deponeva il neonato, su un panno, con un biglietto o un segno, poi faceva ruotare la ruota e spariva nell’ombra. Nessuno lo vedeva. Nessuno lo giudicava. Un campanello avvisava le suore che, all’interno, c’era una nuova vita da accogliere.
Così nascevano gli “esposti”. Orfani per la legge, ma spesso non lo erano davvero. A loro veniva assegnato un nome, un cognome che non raccontava l’amore ricevuto, ma il dolore dell’abbandono. Cognomi che oggi molti italiani portano senza conoscerne il peso.
Esposito, a Napoli. Innocenti o Nocentini, a Firenze. Colombo, a Milano. Balasso in Veneto. Della Scala a Siena. Giorgi a Pavia. Cognomi che affondano le radici nel silenzio, nella rinuncia, nella necessità. Altri ancora parlavano del luogo: Rota, Chiesa, Da Ponte. Alcuni raccontavano la condizione del bambino: Orfano, Spurio, Ignoto, Proietti, Bastardo. Molti venivano registrati come figli di “N. N.” — “Nomen Nescio” — e la madre, “M. Ignota”.
Eppure, da quella ferita profonda, è germogliata la vita. Quei bambini, partiti dal nulla, spesso hanno trovato una strada. Hanno studiato, lavorato, amato. Hanno costruito famiglie. Hanno tramandato il proprio nome. E oggi, chi porta quei cognomi cammina tra noi, inconsapevole testimone di una storia antica.
Non è vergogna. È memoria. È dignità che ha resistito al tempo, alla fame, all’oblio.
Perché anche dal dolore può nascere qualcosa di eterno.
𝗩𝗶𝗮𝗴𝗴𝗶𝗼 𝗻𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗦𝘁𝗼𝗿𝗶𝗮