26/08/2025
La 5° stagione. Finalmente è tornata. Il Tempo della Terra, dell'equilibrio, della maturità adulta.
Un bellissimo pezzo condiviso dalla nostra cara Alessandra.
L'estate, al suo culmine, accoglie il passaggio.
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Mi chiedo spesso cosa sopravvive nei giorni di festa. Se il senso originario si spegne col suono dei brindisi, o se resiste, in sordina, come un canto sommesso tra i rami.
Ferragosto... che parola strana, spezzata: feriae Augusti — i riposi dell’Imperatore. Ma nessun potere può fermare il fuoco del Sole. Nessun decreto, neanche Augusto, può possedere il respiro del cielo.
E allora, forse, Ferragosto è solo un’eco lontano di qualcosa più antico. Non una festa da calendario, ma un passaggio. Un crinale. Un portale.
Nel cuore d’agosto, la Terra smette di salire. Si ferma. Respira. Il grano è stato mietuto, il raccolto è al sicuro, e la natura comincia lentamente a rientrare, a voltarsi dentro. È come se il mondo iniziasse a ricordarsi che è mortale. Come se dicesse: "Hai visto quanto ti ho dato? Ora torna tu, adesso, a te stesso."
Ferragosto, allora, è una soglia silenziosa. L’estate si incendia per morire. Non si fa rumore quando il ciclo cambia — lo si sente, nei sogni che diventano più chiari, nei desideri che cominciano a perdere la voce.
Ho letto che la coscienza si desta solo attraverso uno shock consapevole. E l’estate, quando raggiunge il suo culmine, ci sconvolge con la sua intensità: non puoi rimanere a lungo al sole senza bruciarti.
Il calore serve a disintegrare ciò che è superfluo, come fanno le prove interiori. Ci cuoce per purificarci. La luce solare, nella sua insistenza, ci chiede: "Chi sei quando non hai più ombre da proiettare?"
La mia amica direbbe che “ogni stagione è una madre che ci lascia”, e forse è vero: il cuore dell’estate ci insegna l’abbandono.
L’abbandono dell’eccesso, del frastuono, della maschera di gioia obbligatoria.
Ci insegna che la vera pienezza non è espansione, ma resa.
Come se il Sole, ormai troppo distante dal centro spirituale della Terra, lascia che l’uomo cammini da solo, che impari a “conoscere la luce senza esserne dominato”. Un test d’autonomia spirituale. Il ferragosto come momento in cui il Maestro si allontana e resta solo il discepolo. E lì si vede chi sei.
Non voltarti. Il dolore, l’incertezza, la malinconia... sono luoghi. Restaci.
Non chiedere guarigione. Domanda silenzio. Il dolore è una soglia, l’incertezza un passaggio, la malinconia un altare. Siedi lì.
Non invocare sollievo. Chiedi verità. E così, quando sento questa malinconia improvvisa ad agosto — che nessuno confessa ma che tutti sentono — non cerco più di distrarmi. Ci sto.
È il segno che qualcosa dentro di me si sta spegnendo per rivelare un altro spazio.
In molte culture antiche, questo momento era celebrato come la festa della Madre che si ritira, dell’energia femminile che inizia a scavare nel grembo dell’invisibile. Maria Assunta in cielo? Forse è solo la memoria cristianizzata di un archetipo più profondo: la Terra che si fa invisibile per generare mistero.
E poi penso al mese di maggio, al suo opposto simbolico. Il mese delle fioriture, della carne che esplode nei petali, della sessualità della linfa. Gurdjieff, Steiner, anche i Veda... parlano di maggio come di una soglia di apertura. Ma a cosa serve aprirsi se poi non ci si sa richiudere? Se maggio è un fiore, agosto è il seme. E il seme, per esistere, deve accettare di perdere i petali.
Tutto quello che fiorisce, prima o poi, implode. Questa è la legge spirituale più onesta che conosca. Quella che nessuno vuole ascoltare perché nessuno vuole morire.
Ma la vera crescita spirituale non è la vetta, è il ritorno alla radice.
C’è un’umiltà necessaria in questo tempo dell’anno. Una pulizia. Un ascolto che chiede di non fare. Di lasciare che tutto il teatro del mondo si consumi. Di imparare a perdere bene.
Per questo, in fondo, amo Ferragosto: perché mentre tutti festeggiano, io sento il tamburo antico di chi sa che una stagione finisce, e che non si cresce senza passare per un addio.
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