20/12/2025
Il bisogno di non deludere raramente si presenta in modo esplicito.
Più spesso prende la forma del senso del dovere, dell’attenzione costante all’altro, di una responsabilità che sembra naturale e inevitabile. Viene facilmente scambiato per maturità, per affidabilità, per capacità relazionale.
In realtà è un’organizzazione interna, un modo appreso di stare nel legame. Si struttura precocemente, quando l’esperienza insegna che l’errore ha un costo, che l’espressione spontanea può creare distanza e che il legame si mantiene soprattutto adattandosi.
Non è una scelta consapevole, ma un apprendimento relazionale. La persona impara a osservare l’altro prima di sentire sé stessa, a modulare le proprie risposte, a contenere bisogni e reazioni, a prevenire il conflitto. Nel tempo questo assetto viene rinforzato perché funziona: riduce le tensioni e mantiene le relazioni.
Ma ha un prezzo.
Il prezzo è la rinuncia progressiva al contatto interno, al bisogno, al limite, alla possibilità di deludere senza sentirsi in colpa. In terapia questo emerge spesso come stanchezza cronica, difficoltà a dire no e senso di responsabilità che non si spegne mai.
Non è solo una questione relazionale, ma anche neurobiologica. Un sistema nervoso che ha imparato a restare in allerta per preservare il legame associa la delusione al pericolo. Per questo la volontà, da sola, non è sufficiente.
Il lavoro clinico riguarda la sicurezza: aiutare il sistema a fare esperienza che il legame può reggere anche quando non ci si adatta.
Non tutti i legami reggono, e anche questo è un dato. Il bisogno di non deludere non è una colpa: è stato una soluzione. Ma quando diventa l’unico modo possibile di stare con l’altro, frammenta.
Si resta presenti, funzionanti, affidabili, ma sempre più distanti da sé.
Il lavoro terapeutico permette, gradualmente, di tornare a stare nel legame senza doversi ridurre.
Per molti, è un passaggio nuovo.
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