
02/08/2025
Psicoanalisi e EMDR: due visioni, un possibile dialogo
(contenuto per addetti ai lavori)
La psicoanalisi tradizionale e l’EMDR sembrano, a prima vista, parlare due lingue diverse. La prima si muove nel territorio dell’inconscio simbolico, lascia che il soggetto emerga nella parola, con un terapeuta che aspetta il suo ritmo e non dirige alcuna traiettoria. La seconda lavora su protocolli strutturati, su reti neurali e memorie disfunzionali, con un impianto clinico più definito e apparentemente più previsionale.
Eppure, al di là delle differenze, esiste un possibile spazio di integrazione. L’EMDR può essere letto non solo come tecnica, ma come cornice terapeutica che, se ben compresa, permette una profonda rielaborazione dell’esperienza emotiva – anche laddove la parola, da sola, non basta. La psicoanalisi, dal canto suo, valorizza il tempo simbolico e simbolizza ciò che emerge, pur quando il materiale inconscio appare disturbante.
Aprirsi a questo dialogo non è un tradimento della psicoanalisi. Non si abbandona una cornice teorica, né si cede a una logica dell’efficacia come unico parametro. È piuttosto il riconoscimento che il soggetto è complesso e sfugge a ogni ortodossia. E che, a volte, proprio l’eccessiva coerenza interna di alcuni modelli teorici rischia di diventare autoreferenziale, più fedele a se stessa che al paziente. Non sono pochi i colleghi che, in nome di una coerenza teorica, decidono di non voler nemmeno considerare ciò che non appartiene al loro particolare linguaggio: una difensiva forma di chiusura. Ogni apertura e integrazione è invece una forma rispettabile di intelligenza.
Non si tratta di forzare un’alleanza, ma di riconoscere che il soggetto è complesso e sfugge a ogni ortodossia. E che forse, nel rispetto delle differenze, alcune integrazioni cliniche non solo sono possibili, ma necessarie.