Dott. Alberto Fistarollo

Dott. Alberto Fistarollo Psicologo psicoterapeuta, psicologo dello sport

16/09/2025

QUANTO si va dallo psicologo?

Dipende. Ci sono protocolli per disturbi specifici, i quali forniscono un’idea della durata dell’intervento.

Però poi le persone, reali, non hanno soltanto un disturbo specifico. Ne hanno diversi, non ne hanno alcuno o hanno altri tipi di sofferenza.

Oppure non soffrono proprio, ma vogliono capire qualcosa di più su sé stesse e la propria vita.

Quindi vedo pazienti tutte le settimane, una volta ogni due, una volta al mese, 3-4 volte all’anno.

Alcuni vengono da molti anni, altri li ho visti soltanto un paio di volte.

E non è né peggio né meglio, né più o meno grave. È una scelta, un bisogno, una propensione.

Quindi dipende. Lo potrebbe dire uno psichiatra, un fisioterapista, un nutrizionista… Perché non uno psicoterapeuta?

Ho perso la voce, o meglio le dita, a discutere di questi temi con 2-3 famosi influencer della nutrizione... niente da f...
25/08/2025

Ho perso la voce, o meglio le dita, a discutere di questi temi con 2-3 famosi influencer della nutrizione... niente da fare.

Sì ok, non a tutti e non a tutte…
28/07/2025

Sì ok, non a tutti e non a tutte…

23/07/2025

Ma come è possibile, si aspettano le vacanze per mesi… e poi si sta peggio di prima?

Capita molto spesso, e il problema non è tanto l’inizio delle vacanze, quanto ciò che le precede.

Quando una persona conduce una vita particolarmente frenetica, la condizione di stress diventa la normalità. Si passa da una condizione di base omeostatica (il livello “normale” di attività che corrisponde all’equilibrio originario dell’organismo), a quello di allostasi, un nuovo punto di regolazione che si sviluppa con lo stile di vita.

Lo stress è utile quando è acuto, a breve termine: l’organismo esce per un breve periodo dalla condizione omeostatica, attiva le risorse per affrontare la situazione stressogena, dopodiché torna al punto di equilibrio. Diventa invece disfunzionale e dannoso quando è cronico: nella nostra storia come specie, non ci siamo adattati per vivere perennemente attivati. Una volta impostato questo nuovo dis-equilibrio, non è possibile tornare in breve alla condizione originaria.

Le vacanze risultano una frenata improvvisa rispetto al livello di stimolazione a cui ci si è abituati. Si passa dall’essere sempre di corsa, affrontare mille impegni, le richieste sul lavoro, le varie preoccupazioni… al riposo assoluto. La tendenza della nostra biologia sarebbe quella di tornare allo stato precedente, iper-attivo, ormai impostato come norma.
E qui arriva il malessere: questo calo improvviso di stress rappresenta sostanzialmente una crisi di astinenza, in cui la diminuzione dell’attività del sistema dopaminergico e del cortisolo viene percepita in modo molto sgradevole.



Che fare?

Intanto esserne consapevoli: non sta accadendo nulla di anormale, è la nostra biologia che parla. In qualche giorno sarà possibile ripristinare l’omeostasi.

Rallentare un po’ nei giorni precedenti alla partenza, in maniera da non rovinarsi i primi giorni di viaggio.

Non frenare bruscamente, ma organizzare i primi giorni di vacanza in modo che siano un po’ più movimentati dei seguenti.



Infine, rendersi conto di quanto siano assurde le vite che conduciamo.

Ormai è noto in letteratura che un atteggiamento iperprotettivo da parte dei genitori favorisce nei figli vulnerabilità ...
17/07/2025

Ormai è noto in letteratura che un atteggiamento iperprotettivo da parte dei genitori favorisce nei figli vulnerabilità emotiva, poiché non consente quella necessaria esplorazione che porta allo sviluppo di competenze e auto-efficacia.

Vi è inoltre l’interiorizzazione di un messaggio disfunzionale che condiziona l’immagine di sé: “se tu adulto hai continuamente il bisogno di proteggermi e sei sempre in ansia per me, evidentemente da solo non ce la faccio. Devo essere davvero fragile”.

08/07/2025
04/07/2025

La personalità, così come la mente, è ancor oggi considerata qualcosa di vago, astratto, spirituale… In realtà, la mente è il prodotto dell’attività del sistema nervoso, e quest’ultimo fa parte del corpo. Grossi danni cerebrali possono modificare anche la personalità.

Quindi, alle logiche della mente dovremmo attribuire un funzionamento simile che a quello del -resto del- corpo.

Però non ci piace. Un po’ per tradizione culturale, un po’ perché vogliamo pensare a noi stessi come esseri svincolati dalla biologia, dai retaggi evoluzionistici. Liberi di essere come vogliamo, di cambiare a piacimento.

Oggi sappiamo qualcosa di molto diverso, soprattutto grazie agli studi su gemelli monozigoti (quindi sostanzialmente identici) separati alla nascita e cresciuti in famiglie adottive diverse, e quindi ambienti diversi.

Innanzitutto, la personalità è più determinata di quanto pensassimo. Ciò significa che nasciamo già con una certa personalità, la quale mediamente non è granché flessibile. Le esperienze, le amicizie o la scuola, quell’insieme di influenze definito “ambiente non condiviso”, qualcosina spostano. I traumi possono spostare molto. Ma la “forza” che incide maggiormente nella formazione della personalità è quella genetica, responsabile del 40-60%.

Poi, sappiamo che l’influenza genetica sulla personalità aumenta col passare degli anni. Invecchiando tendiamo ad assomigliare sempre di più ai nostri genitori (seppur non ci piaccia, credo sia abbastanza evidente).

Infine, l’ultima cosa è che… non so se siete pronti per questo.


Sedetevi.

I genitori non sono così influenti nella formazione della personalità. Lo sono molto per via genetica, non molto per via educativa. La loro influenza si colloca “soltanto” al terzo posto: genetica, ambiente non condiviso, educazione genitoriale.

Ciò non significa che siamo immuni ai valori, credenze e insegnamenti dei nostri genitori: la personalità non impedisce di credere a Babbo Natale, però magari ci fa essere più o meno creduloni.

Il numero di persone presenti all’evento “Cercatori di gioia”, promosso da Cultura KM Zero, ha dimostrato quanta voglia ...
19/05/2025

Il numero di persone presenti all’evento “Cercatori di gioia”, promosso da Cultura KM Zero, ha dimostrato quanta voglia ci sia di comprendere come stare meglio, come essere felici.

Ma se la felicità è per sua natura qualcosa di indefinibile e transitorio, è anche vero che ci sono dei fattori che la rendono possibile.

Saper pregustare le esperienze piacevoli, vivere nel momento presente, avere un senso di scopo. Questi sono tra i fattori più correlati alla felicità.

Ma ce n’è un altro, il più importante, il più studiato: la qualità delle relazioni.
Percepire sostegno sociale, un senso di rete, di appartenenza, sentirsi sicuri attraverso la profonda relazione con l’altro. Una autentica necessità per gli esseri umani.

Non c’è felicità se non in relazione.

Ed è evidente - questo il tema principale del mio intervento - che questa sta diventando una società anti-felicità.

Perché siamo all’interno di un sistema economico e sociale che ci vuole sempre più individui isolati, competitivi, impegnati. Impossibile pregustare, impossibile vivere il presente, impossibile coltivare significati “densi” in una realtà che ci vuole produttivi, di corsa, dediti all’immagine e al contempo estremamente vulnerabili. Consumatori perfetti, in una vita che scappa senza consapevolezza.

E che dire delle relazioni? Stiamo andando verso un mondo che elimina la necessità dell’altro: in breve potremo lavorare da soli, curarci da soli, imparare da soli, comprare da soli, viaggiare da soli, comunicare da soli, fare sesso da soli.



Che fare? Remare controcorrente. ‘na fatica bestiale, ma ne va della nostra felicità.

Il marketing dell’inadeguatezza sfrutta la vulnerabilità delle persone proponendo obiettivi irrealistici e frustranti, i...
16/04/2025

Il marketing dell’inadeguatezza sfrutta la vulnerabilità delle persone proponendo obiettivi irrealistici e frustranti, isola gli individui per renderli maggiormente manipolabili, ne p***a provvisoriamente l’autostima, vende metodi-strategie-tecniche assurde tramite la fascinazione di slogan, regole o narrazioni.

Non dimentichiamo le basi. Prima di qualsiasi cosa, pensiamo a creare un buon terreno di sviluppo.Prima del corso di pia...
19/03/2025

Non dimentichiamo le basi.

Prima di qualsiasi cosa, pensiamo a creare un buon terreno di sviluppo.

Prima del corso di pianoforte, prima del tablet, prima dello sport, prima del truccabimbi, prima del compleanno con i gonfiabili, prima del primo smartphone...

Affetto, presenza, sicurezza, calma... e regole chiare.

Ad esempio: stiamo facendo finta di niente, ma sappiamo tutti che moltissimi studenti svolgono i compiti con ChatGPT, in...
07/03/2025

Ad esempio: stiamo facendo finta di niente, ma sappiamo tutti che moltissimi studenti svolgono i compiti con ChatGPT, in classe e a casa, oppure utilizzano app per costruire riassunti e mappe o studiano esclusivamente da una manciata di slide fornite da docenti che non comprendono(?) il danno che stanno generando.

Non possiamo pensare che tutto ciò non abbia un impatto negativo sullo sviluppo delle capacità cognitive dei giovani studenti.

Ma si fa prima a non pensarci.

Stare da soli è necessario per avere sane relazioni di coppia? Mah…Un’idea simile avrebbe una qualche ragione d’essere q...
25/02/2025

Stare da soli è necessario per avere sane relazioni di coppia?

Mah…

Un’idea simile avrebbe una qualche ragione d’essere qualora gli esseri umani fossero “naturalmente” animali solitari.
Al contrario, siamo animali con una spiccata socialità, tanto che proprio tale caratteristica è ciò che ci ha reso la specie dominante sul pianeta.
(E no, non è necessariamente una buona cosa se la vediamo dalla prospettiva del pianeta).

La nostra condizione “naturale” è sempre insieme. Che sia famigliare, amicale o sentimentale, il meglio di noi stessi lo diamo in relazione.
Non è un caso che l’elemento più rilevante per il benessere psicologico sia proprio la qualità delle relazioni. E non è un caso che la solitudine percepita sia una delle esperienze più dolorose per gli esseri umani.

Perché da soli contiamo poco. Un essere umano in un ambiente selvaggio, come quello in cui ci siamo evoluti, ha una bassa probabilità di sopravvivere. Non siamo particolarmente forti, né veloci, né agili. Non abbiamo armi naturali (artigli, zanne, veleno), né difese (corazze, gusci...).
Per la stragrande maggioranza della nostra vita sul pianeta, solitudine equivaleva a morte. Solo la capacità di cooperare su larga scala ci ha permesso di sopravvivere.

Per questo la solitudine è così dolorosa: la selezione naturale ci ha portato a viverla come estremamente pericolosa. Sei da solo? Sei escluso dal gruppo? Non hai nessuno che possa aiutarti? Stai rischiando la vita.

Similmente, i nostri figli nascono estremamente immaturi rispetto a quelli degli altri mammiferi. Ad esempio, un cucciolo di zebra è autonomo in poche settimane; un cucciolo di umano impiega invece anni.
E’ necessario infatti un lunghissimo periodo di cure e dipendenza dai genitori affinché un cucciolo di umano arrivi a essere un adulto indipendente. Ecco la ragione profonda del legame di attaccamento, la relazione più radicata e significativa: sopravvivenza.

Per centinaia di migliaia di anni, la nostra sopravvivenza è stata legata alla presenza di qualcun altro. Oggi è ancora così, o quantomeno il nostro percorso evoluzionistico come specie continua a farci percepire l’Altro come indispensabile al benessere emotivo.
Per quale ragione dovremmo abituarci alla solitudine?

Provate a classificare i 5 migliori momenti della vostra vita. Ecco, in quanti di questi eravate da soli?

Dovremmo smetterla di insistere su questo slogan: non abbiamo alcun bisogno di sperimentare un’ipotetica piacevole solitudine per poter stare con gli altri. A meno che non ci sia una dipendenza, più o meno manifesta e patologica, dalla presenza altrui, la solitudine dovrebbe essere transitoria, non la norma.

Perché se è vero che stare da soli può insegnare molte cose, è anche vero che può essere estremamente doloroso.

Indirizzo

Riviera Matteotti 32
Mira
30034

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