Dott.ssa D'Alberton Denia Psicologa Psicoterapeuta

Dott.ssa D'Alberton Denia Psicologa Psicoterapeuta psicoterapia e sostegno psicologico per adulti, bambini, adolescenti e genitori. La dottoressa è iscritta all'Ordine degli Psicologi del Veneto n. 6279.

si occupa di ansia, disturbi dell'umore, momenti di cambiamento e difficoltà in contesti personali e familiari,
consulenza individuale e di coppia. La dott.ssa Denia D'Alberton si occupa di consulenza, sostegno psicologico e psicoterapia per adulti e adolescenti. Nello specifico la dottoressa si occupa del trattamento di: disturbi d'ansia, attacchi di panico, tristezza, depressione, calo di autostima, paure e fobie, disturbi di personalità(bipolare, dipendente, borderline,..) - sindrome Hikikomori e ritiro sociale - gestione dello stress, gestione dei conflitti, consulenza genitoriale, difficoltà relazionali di coppia ed in ambito familiare, difficoltà di comunicazione: difficoltà nell'affrontare tappe evolutive quali adolescenza, gravidanza, nascita di un bambino, uscita di casa dei figli, separazioni. Inoltre, è esperta in consulenza sportiva ed aziendale, organizza e conduce corsi di formazione per aziende e scuole sulla comunicazione efficace, autostima ed autoefficacia, gestione dei conflitti, gestione dell'ansia, bilancio di competenza. La dottoressa da diversi anni lavora come libera professionista in qualità di psicologa e psicoterapeuta utilizzando un approccio analitico transazionale integrato. Il tipo di percorso viene pensato ad hoc per la persona che ha di fronte, tenendo ben presenti quali sono i suoi bisogni e i suoi obiettivi personali. Ogni decisione va presa sempre previo accordo con il paziente/cliente che avrà un ruolo attivo e partecipe durante tutto il trattamento.

13/11/2025

𝑳𝒂 𝒈𝒆𝒏𝒕𝒊𝒍𝒆𝒛𝒛𝒂 𝒆̀ 𝒖𝒏 𝒎𝒖𝒔𝒄𝒐𝒍𝒐 𝒑𝒆𝒅𝒂𝒈𝒐𝒈𝒊𝒄𝒐: nasce piccola, timida, spesso inesperta, ma cresce ogni volta che la usiamo. Come un muscolo vero, si allena, si potenzia e si consolida attraverso gesti ripetuti, attenzioni consapevoli e scelte quotidiane.

Non è un talento innato né un dono per pochi: è una competenza, una postura interiore che si costruisce giorno dopo giorno dentro relazioni vive e autentiche.

La scuola, la biblioteca, il laboratorio, la casa: ogni luogo può diventare una palestra di gentilezza, fatta di sguardi che accolgono, parole che curano e mani che aiutano.
Nelle aule si impara la gentilezza della collaborazione, in biblioteca quella del silenzio attento, nei laboratori quella della creatività condivisa, a casa quella che nasce dal quotidiano e dai piccoli rituali.

In questa palestra diffusa, la gentilezza non è teoria ma esercizio, relazione e presenza: è la capacità di scegliere la cura anche quando sarebbe più facile voltarsi dall’altra parte, di dire parole che aprono invece di chiudere, di vedere davvero l’altro nel suo bisogno.

Così il muscolo della gentilezza cresce e si intreccia con quello dell’empatia, della cooperazione e dell’ascolto, e sono questi allenamenti invisibili ma potentissimi che insegnano a bambini e ragazzi il gesto più rivoluzionario di tutti: trattare gli altri - e se stessi - con cura e rispetto.

𝑪𝒐𝒎𝒆 𝒑𝒐𝒔𝒔𝒊𝒂𝒎𝒐 𝒂𝒍𝒍𝒆𝒏𝒂𝒓𝒆 𝒒𝒖𝒆𝒔𝒕𝒐 𝒎𝒖𝒔𝒄𝒐𝒍𝒐?

𝐶𝑟𝑒𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑚𝑜𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑑𝑖 𝑙𝑒𝑛𝑡𝑒𝑧𝑧𝑎
> uno spazio in cui guardarsi davvero, ascoltare, aspettare.

𝑅𝑎𝑐𝑐𝑜𝑛𝑡𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑠𝑡𝑜𝑟𝑖𝑒 𝑖𝑛 𝑐𝑢𝑖 𝑙𝑎 𝑔𝑒𝑛𝑡𝑖𝑙𝑒𝑧𝑧𝑎 𝑐𝑎𝑚𝑏𝑖𝑎 𝑙𝑒 𝑐𝑜𝑠𝑒
> perché i bambini imparano anche attraverso i modelli narrativi.

𝐷𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑝𝑎𝑟𝑜𝑙𝑒 𝑎𝑙𝑙𝑒 𝑒𝑚𝑜𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖
> nominarle è il primo atto di cura.

𝐴𝑐𝑐𝑜𝑔𝑙𝑖𝑒𝑛𝑑𝑜 𝑔𝑙𝑖 𝑒𝑟𝑟𝑜𝑟𝑖 𝑠𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑝𝑎𝑢𝑟𝑎
> quando l’errore non spaventa più, nasce la libertà.

𝐶𝑜𝑠𝑡𝑟𝑢𝑒𝑛𝑑𝑜 𝑟𝑖𝑡𝑢𝑎𝑙𝑖 𝑑𝑖 𝑐𝑢𝑟𝑎 𝑒 𝑟𝑖𝑐𝑜𝑛𝑜𝑠𝑐𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜
> “Grazie perché…”, “Ho visto che hai messo a posto, che hai dato la mano a…” sono micro-atti potentissimi.

💛Festival della Gentilezza

08/11/2025

I figli non soffrono perché mamma e papà si separano. La vera ferita non nasce da una firma su un foglio o da due case diverse. Nasce quando assistono a due persone che un tempo si amavano e che ora si feriscono. I figli stanno male quando vedono il padre e la madre parlarsi con rabbia, guardarsi con rancore, combattere una guerra che non li riguarda, ma che finisce per colpirli ogni giorno. Un bambino non ha bisogno di una coppia a tutti i costi. Ha bisogno di un papà e di una mamma che sappiano rispettarsi anche da lontano.
La sofferenza non è la separazione, ma il veleno dei litigi, delle parole cattive, del dolore che si respira in casa. Quando un genitore sceglie di restare in una relazione solo per i figli, in realtà non li protegge, li carica di un peso che non dovrebbero portare. Un giorno quei figli sentiranno il peso di una colpa che non è la loro, convinti che la loro felicità abbia tolto libertà ai genitori. La verità è che un figlio cresce sereno solo quando vede due adulti capaci di guarire da soli le proprie ferite, perchè solo così imparerà che la sua felicità non dipenderà mai da qualcun altro, ma dalla forza che porta dentro di sè.
© Marcus Navajo

07/11/2025

🟢 AUTORITÀ O AUTOREVOLEZZA?
LA DIFFERENZA CHE FA CRESCERE

Quando parliamo di educazione — a casa o a scuola — ci troviamo spesso davanti a una domanda importante: come trasmettere regole e confini ai bambini senza soffocarne la libertà e la spontaneità?
La risposta sta nella differenza tra autorità e autorevolezza.

Essere autoritari significa credere che l’obbedienza si conquisti con la forza o con la paura. Le regole vengono imposte, i “no” diventano muri e il bambino impara che per essere “buono” deve adeguarsi.
A volte funziona, almeno in apparenza: l’adulto ha il controllo, il bambino ubbidisce. Ma dentro, spesso, resta la confusione. Non nasce la fiducia, ma la paura di sbagliare. E quando l’adulto non c’è, la regola perde valore, perché non è stata compresa, solo subita.

L’autorevolezza, invece, è un’altra cosa. È la forza calma di chi guida con coerenza e rispetto. È la capacità di dire “no” con dolcezza e di spiegare “perché”. È quella presenza che sa contenere senza schiacciare, che sa correggere senza umiliare.
Un adulto autorevole non ha bisogno di alzare la voce, perché la sua fermezza nasce dall’ascolto, non dal potere.
L’autorevolezza costruisce fiducia: insegna ai bambini che le regole non sono punizioni, ma strumenti per stare bene insieme.

Le regole, infatti, non tolgono libertà: la rendono possibile.
Un bambino senza confini si sente perso, disorientato, insicuro.
Un bambino che conosce le regole, e le vive dentro una relazione di affetto e coerenza, si sente al sicuro. Sa dove finisce il “posso” e dove inizia il “non posso ancora”, e in quel limite trova protezione, non oppressione.

Essere autorevoli non significa essere perfetti o indulgenti.
Significa essere presenti, saper dire “no” senza paura, ma anche saper ascoltare i “no” dei bambini.
Significa capire che l’obiettivo non è ottenere obbedienza immediata, ma costruire consapevolezza. Non è formare bambini “bravi”, ma persone libere e responsabili.

In fondo, l’autorevolezza è una forma d’amore: ferma, paziente, coerente.
È la mano che guida senza stringere troppo, la voce che dice “fidati di me, sono qui”.
È quel modo di educare che non si impone, ma che si fa esempio, ogni giorno, con gesti piccoli e veri.

Perché i bambini non hanno bisogno di adulti perfetti, ma di adulti affidabili.
E la sicurezza più grande che possiamo dare loro non nasce dal controllo, ma dalla fiducia che sanno di poter riporre in noi.

sarapauletto_psm_varese

04/11/2025

Una lama di trenta centimetri conficcata nella schiena. In pieno giorno. In mezzo alla gente.
Una donna — Anna Laura Valsecchi — colpita senza motivo, alle nove del mattino, in una delle zone più frequentate di Milano. È viva solo per miracolo, ma si trova in condizioni gravissime.

L’aggressore ha un nome e una storia che parla da sé. Vincenzo Lanni, 59 anni, uomo solitario, introverso, privo di legami, con una personalità profondamente distorta.

Già dieci anni fa aveva accoltellato due persone e confessato di voler uccidere donne come “vendetta” per la frustrazione di una vita che giudicava fallimentare.
Non aveva amici, non aveva una compagna, non era seguito da alcun servizio psichiatrico.
Era semplicemente lì, un potenziale killer in attesa di un’occasione.

Questa è la dinamica tipica di una mente malata, incapace di assumersi la responsabilità della propria esistenza, pronta a riversare sugli altri — anche perfetti sconosciuti — la colpa del proprio fallimento.

È il segno inconfondibile di una personalità disturbata, che trasforma la rabbia, l’umiliazione e l’odio verso sé stesso in violenza cieca verso il mondo esterno.
Un copione già scritto, già visto, già segnalato. Eppure ignorato.

Quante altre volte dovremo leggere la stessa storia per intero?

Quanti altri “solitari” con la mente compromessa dovranno tornare a colpire prima che si comprenda che la prevenzione psichiatrica non è un lusso, ma una necessità di sicurezza pubblica?

Non parliamo di disagio generico, ma di soggetti che mostrano da anni segnali inequivocabili di pericolosità, che vivono in una distorsione cognitiva totale, incapaci di riconoscere il confine tra realtà e frustrazione personale.
Persone che devono essere intercettate, curate, monitorate e – se necessario – contenute in strutture adeguate anche contro la loro volontà.

Questa ennesima aggressione non è una fatalità.
È il risultato diretto di un sistema che osserva, registra e dimentica, lasciando circolare soggetti ad alto rischio psichiatrico come se nulla fosse.
E ogni volta, a pagare, è una vittima innocente.

È tempo di cambiare paradigma.
Non possiamo più limitarci a raccogliere i cocci dopo il sangue.
Servono leggi, strutture, percorsi obbligatori di cura e monitoraggio.
Perché la follia non curata non scompare: si trasforma, e colpisce.

Roberta Bruzzone

04/11/2025
01/11/2025

Prima della terapia cammini con un copione invisibile scritto dalle tue ferite. Ripeti relazioni che ti consumano, tolleri ciò che ti svuota, confondi il dolore con l’amore. Non lo fai per scelta: è la memoria emotiva a guidarti, quella che ti dice che il familiare è sicuro, anche quando è tossico.

Dopo la terapia le ferite non scompaiono, ma cambiano significato. Le guardi senza più esserne prigioniero, impari a riconoscere le trappole affettive e a dare un nome a ciò che prima era solo caos. Scopri che non sei obbligato a rivivere il passato, che puoi costruire legami diversi, più sani, più tuoi.

La terapia non ti rende “nuovo”, ti restituisce a te stesso. Ti insegna a trasformare le ferite in consapevolezza, a scegliere con libertà, a creare il futuro senza lasciare che il passato lo decida per te.

👉 Prima le ferite decidevano per te.
👉 Dopo sei tu a decidere chi vuoi diventare.

Un grazie a psicologi e psicoterapeuti che, con pazienza e umanità, trasformano le stanze di terapia in luoghi di rinascita, dove il dolore trova voce e il silenzio diventa ascolto

01/11/2025

I neonati non si calmano da soli.
Prendono in prestito il tuo sistema nervoso.

Ogni risata, ogni pianto, ogni sospiro di sollievo — tuo figlio assorbe le tue emozioni prima ancora di saper dare un nome alle proprie.

La scienza mostra che questo processo inizia prestissimo: dopo pochi mesi, i neonati piangono quando sentono piangere altri bambini e sorridono quando li vedono sorridere.

Non è imitazione.
È contagio emotivo, la forma più precoce di empatia e di apprendimento sociale.

Ecco cosa significa:
➡️ I neonati non possono autoregolarsi da soli: la loro corteccia prefrontale non è ancora matura. “Prendono in prestito” la calma dell’adulto attraverso tono di voce, tocco e linguaggio corporeo.
➡️ Il tuo sistema nervoso è la loro scuola. Quando fai un respiro profondo prima di prenderli in braccio, stai insegnando al loro corpo cosa significa calma.
➡️ Lo stress si trasmette rapidamente. Gli studi mostrano che lo stress materno passa al bambino in pochi minuti. La calma, anche.

Ecco perché sostenere i genitori, soprattutto nel periodo post-partum, è fondamentale.

Un genitore stressato e solo non può insegnare la calma.
Ma quando i genitori sono sostenuti, emotivamente e praticamente, il bambino impara la sicurezza a ogni battito e a ogni respiro.

✅ Strumenti pratici per i genitori:
• Fai una pausa e un respiro profondo prima di prendere in braccio il tuo bambino che piange.
• Usa il ritmo — dondolio, canticchiare, oscillare — per co-regolarvi.
• Partner: aiutatevi a regolarvi a vicenda, non solo il bambino.
• Normalizzate il supporto post-partum: non è un lusso, è una forma di cura del neonato.

Perché un bambino non può trovare la calma.
Deve prenderla in prestito.

👉 Segui per scoprire altre ricerche spiegate in modo semplice e chiaro.

Fonti:
Geangu, E., Benga, O., Stahl, D., & Striano, T. (2010). Contagious Crying Beyond the First Days of Life. Infant Behavior and Development.
Feldman, R. (2007, 2015). Parent–Infant Synchrony and the Foundations of Social Development.
Waters, S.F., West, T.V., Karnilowicz, H.R., & Mendes, W.B. (2014). Affect Contagion Between Mothers and Infants: Examining Dyadic Influences Across the Social and Emotional Spectrum. Emotion.

31/10/2025

Buon venerdì ❤️

30/10/2025

Si chiama calma
e mi è costata tante tempeste.

Mi ci è voluta tutta la rabbia del mondo
per capire che urlare non serve,
che il rumore non convince nessuno,
nemmeno te stesso.

Mi ci è voluta la furia,
il cuore che sbatteva come una porta,
la voce rotta,
le parole taglienti,
mi é servito annegare nel buio
per capire che la pace non si trova,
si costruisce piano,
con mani n**e,
con giorni normali.

Non è che non mi arrabbio più,
è che adesso scelgo dove mettere il fuoco.

Ho imparato che la calma non arriva per magia,
arriva quando smetti di voler avere ragione,
quando impari a respirare anche dentro l’errore,
quando ti fidi che certe cose si aggiusteranno da sole.

Si chiama calma
e non è per chi non sente,
ma per chi ha sentito troppo
e adesso sceglie di non farsi più male.

La calma è quel momento in cui ti siedi
in mezzo al casino,
sorridi,
e ti dici:
“ok, non controllo niente,
ma io resto qui lo stesso.”

Si chiama calma
ed è l’arte di lasciar andare
senza sentire di aver perso.

Di capire che non devi rispondere subito,
che non tutto va sistemato,
che la pace è un muscolo
e ogni volta che la scegli, ti alleni.

Si chiama calma
e ci si arriva stanchi,
ma leggeri.

Ci arrivi dopo aver dato tutto,
dopo aver capito che non puoi salvare nessuno
se non impari a salvarti tu.

E allora succede:
smetti di rincorrere,
smetti di spiegare,
smetti di chiedere.

Respiri.
e ti basta.

Si chiama calma,
e non è fuga:
è tornare dove fai pace
con tutto ciò che sei stato.

29/10/2025

Non puoi controllare tutto — e va bene così... perché puoi controllare tanto. Il segreto per una vita appagante? Circondarsi di chi sa trarre il meglio da ciò che puoi controllare. ❤️❤️❤️

Non puoi decidere come gli altri ti trattano, ma puoi scegliere a chi dedicare tempo, energie e cuore. È lì che nasce la vera reciprocità. ❤️

29/10/2025

Quando il corpo parla è perché l'anima non viene ascoltata. (L.Pirotta) -

Indirizzo

Via Giudecca, 1
Mirano

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Lunedì 09:00 - 19:30
Martedì 09:00 - 19:30
Mercoledì 09:00 - 19:30
Giovedì 09:00 - 19:30
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