
26/09/2025
Per la serie “strane traiettorie”…
Da icona dell’imprenditoria femminile a “povera vittima del cuore spezzato”: il passo è breve… e pure molto pericoloso.
Perché se la libertà femminile diventa una maschera da indossare solo sul palco, ma poi nella vita reale si ripropone lo stereotipo della donna che vale solo se c’è “un lui” accanto… allora non stiamo parlando di empowerment, ma di regressione.
E alle ragazze che guardano dico: attenzione, non fatevi infinocchiare.
La vera libertà non si improvvisa, e soprattutto non dipende mai da chi decide di amarvi o meno.
Ecco perché il caso Ferragni è emblematico di come un brand personale possa oscillare pericolosamente tra modelli emancipativi e ricadute in stereotipi regressivi.
Solo pochi anni fa veniva celebrata come icona di imprenditoria femminile di successo, capace di sdoganare un percorso imprenditoriale autonomo e indipendente. Emblematica, in questo senso, la sua presenza a Sanremo con il messaggio scritto sullo scialle: “Pensati libera”.
Oggi, invece, assistiamo a un ribaltamento narrativo: la centralità della figura femminile non sta più nella costruzione autonoma di sé, ma nella rappresentazione di una donna definita dal dolore per la perdita di un uomo, in perenne attesa di un “lui” che le restituisca identità e valore.
È un passaggio profondamente rischioso perché ricalca, e in qualche modo amplifica, lo stereotipo più pervasivo e pericoloso ossia la donna considerata come essere incompleto, fragile, privo di senso senza un legame affettivo maschile a convalidarne l’esistenza.
Un messaggio che richiama dinamiche adolescenziali, fatto di drammi amorosi e dipendenze affettive, ma che se veicolato da una figura con milioni di follower – tra cui moltissime ragazze giovani – diventa potenzialmente tossico.
Invece di spingere verso l’autonomia, rischia di normalizzare la dipendenza emotiva e la vulnerabilità come destino inevitabile.
Non va dimenticato, inoltre, che il tutto si innesta su una cornice contraddittoria…eh già perché la “maschera della vittima” stride pesantemente con la vicenda giudiziaria legata al “caso Panettoni”, che restituisce un’immagine di potere e responsabilità imprenditoriale tutt’altro che ingenua.
Il risultato è un brand che, più che innovare, sembra giocare con cliché vecchi e pericolosi, oscillando tra la paladina della libertà e la figura femminile sottomessa al mito dell’amore perduto.
il rischio è evidente ossia promuovere come modello identificativo una narrazione che depotenzia la donna e la riconsegna a un copione di subalternità mascherata da autenticità emotiva.
Ragazze, non cascateci: questa non è emancipazione, è il solito vecchio copione travestito da novità. È ora di finirla di promuovere modelli femminili che ci vogliono sempre fragili, dipendenti e in attesa di un uomo per sentirci complete. La vera libertà è un’altra storia: scrivetela voi, non lasciate che ve la impacchettino così.