10/08/2025
📚 DOMENICA, SOLO BELLE STORIE
Non aveva mai immaginato di diventare una scienziata.
La sua vita cambiò il giorno in cui vide suo nonno spegnersi lentamente, divorato da un cancro allo stomaco. Era ancora una ragazza, ma sentì un pensiero farsi strada con forza: nessuno dovrebbe soffrire così tanto.
Qualche anno dopo, quando il dolore sembrava essersi acquietato, arrivò un nuovo colpo. Gertrude aveva 21 anni, era innamorata, pronta a sposarsi. Poi, all’improvviso, il giovane che amava morì di endocardite batterica subacuta. Allora non c’era cura. Due anni più tardi, con la penicillina, lui sarebbe stato salvato.
Quel rimpianto bruciava. Ma nella mente di Gertrude diventò una fiamma: fare in modo che altre vite non si spegnessero per mancanza di conoscenza.
La strada, però, non era accogliente. Si era laureata in chimica in una scuola femminile, circondata da compagne che quasi tutte avrebbero insegnato. Lei no. Lei voleva un laboratorio. Bussò a molte porte e sentì, più volte, la stessa risposta: «Lei è qualificata… ma non abbiamo mai avuto una donna in laboratorio. Sarebbe una distrazione». Erano gli anni della Grande Depressione, e scoprì che il vero ostacolo non era la crisi economica. Era il pregiudizio.
Non si arrese. Trovò un posto, e lì cominciò a costruire ciò che avrebbe cambiato il mondo. Lavorò a farmaci che salvarono milioni di persone: contro la leucemia, la malaria, il rigetto dei trapianti. Non cercava riconoscimenti: cercava guarigioni.
Nel 1988, quando salì sul palco per ricevere il Premio Nobel per la Fisiologia o Medicina, non lo considerò un traguardo, ma un simbolo. «Mi chiedono spesso se ho sempre puntato al Nobel. Sarebbe stato f***e. Nessuno dovrebbe vivere per un premio. Il nostro scopo era guarire le persone. E quella soddisfazione è più grande di qualsiasi medaglia.»
La vita di Gertrude Elion non è solo la storia di una scienziata. È la storia di una donna che trasformò la perdita in forza, la forza in scoperte, e le scoperte in speranza. Una speranza che, ancora oggi, scorre silenziosa nelle vene di chi è stato salvato dal frutto del suo lavoro.
(Dal web: Piccole Storie)