05/05/2025
Il susseguirsi di eventi delittuosi che coinvolgono minorenni, sia come vittime, sia come autori di gravi reati e di omicidi di donne che spesso, nonostante le denunce sono, di fatto, abbandonate a loro stesse, lascia sgomenti.
Il diritto all'incolumità sembra quasi non essere più, in questi casi, una priorità delle istituzioni. Il rischio è che si perda la poca fiducia rimasta in esse e che un sentimento già diffuso di indifferenza e ineluttabilità prenda sempre più spazio nel tessuto sociale.
Eppure io credo fermamente che qualcosa si possa e si debba fare, non solo a livello istituzionale, ma anche come società civile. Penso che una prevenzione sia possibile, nel quotidiano e che da queste storie terrificanti si debba cercare di capire perché si generino e quali strumenti abbiamo per opporci alla violenza, al sopruso, alla sopraffazione dell'altro, all'affermazione incontrollata dell'Ego, attraverso interventi educativi, psicologici e psicosociali. E non parlo di grandi interventi, fatti occasionalmente, ma soprattutto di piccoli esempi quotidiani che mostrino la strada in primis ai giovani e che gli insegnino a trasformare la rabbia, il dolore, la frustrazione, in un'energia propulsiva e non distruttiva.
Bisogna "perderci" tempo, con i ragazzi e le ragazze, star loro accanto, mostrare vie possibili, perché i primi a soffrire per questo, anche se non direttamente toccati, sono loro. E' così che un ventenne, qualche giorno fa mi ha detto, affranto, che queste notizie avvelenano le vite dei ragazzi, impediscono di avere un approccio sereno e fiducioso nel prossimo, specie se di genere maschile. E lui, in quanto maschio, al pensiero che una ragazza che cammina sola per strada debba avere paura di te, solo perché sei nei paraggi, lo trovava agghiacciante. Non arrendiamoci, lavoriamo per (ri)costruire una società diversa.