Ilari Michele - Psicologo Counselor

Ilari Michele - Psicologo Counselor Percorsi individuali di sostegno psicologico e counseling

Qualcosa di me: da sempre interessato alla ricerca spirituale, a insegnamenti sapienziali antichi, a tradizioni orientali ed occidentali di conoscenza ed evoluzione dell'essere umano

19/07/2025

02/07/2025

“Forse non mi sono spiegato bene…”
“Perché non mi capisci…?”
Ti è mai capitato di pensarlo o dirlo?

Quando nella propria crescita non si è stati ascoltati davvero, capiti, accolti nei bisogni profondi, da adulti si può vivere una specie di “blocco interno”, di empasse, di sofferenza:

- Non riesco a fare quella scelta finché l’altro non ha capito il perché.
- Mi sento in colpa se l’altro resta deluso, arrabbiato o non d’accordo con me.
- Forse ho sbagliato io, non mi sono spiegato abbastanza bene…

Ma il punto non è (sempre) spiegarsi meglio.
Spesso il problema è che l’altro non capisce. O non vuole capire.
E non è detto che serva convincere, chiarire tutto, avere sempre il permesso e il via libera dell’altro.

E allora cosa fare? Come orientarsi?
Non cercare necessariamente la comprensione dell’altro per darti il permesso di agire.
Dì le cose con chiarezza, con rispetto, con semplicità.
E poi… concediti la libertà di scegliere comunque.
Anche se l’altro resta deluso. Anche se non approva. Anche se non ti capisce.

“Mi dispiace se non riesco a spiegarmi come vorrei o se c’è qualcosa che per te è difficile da comprendere. Ma questo è ciò che sento giusto per me.”

Non è egoismo. È responsabilità e cura di sé.

27/06/2025

"La meditazione non è un'evasione ma un incontro sereno con la realtà." - Thich Nhat Hanh

Molte persone pensano che meditare significhi fuggire dal mondo, chiudere gli occhi e rifugiarsi in una bolla di pace. In realtà è proprio il contrario. Meditare è avere il coraggio di respirare, essere pienamente presenti al qui-e-ora, e guardare con occhi nuovi ciò che c'è, dentro e fuori. Anche quando è difficile, anche quando fa male.
E' scegliere di esserci davvero.
Non è evasione o assenza, è presenza.
Non è fuga, è contatto pieno e profondo.
Non è distrazione, è radicamento nel qui-e-ora.

E tu, quali immagini o pensieri hai associato finora alla meditazione?

24/06/2025

[SULLA PRESENZA MENTALE]
La presenza mentale è uno stato dell’essere in cui si è pienamente svegli e ricettivi a ciò che sta accadendo, mentre accade, dentro di noi e tra noi e il mondo. La presenza coltiva la felicità. - D. J. Siegel

16/06/2025

«È solo in presenza della compassione che possiamo mostrare le nostre ferite senza diminuire la nostra interezza. Il Dalai Lama ha detto che “la compassione si manifesta solo tra uguali.” Per coloro che hanno compassione, la ferita non è un luogo di giudizio ma un luogo di incontro autentico.» - R.N. Remen

"Sono ancora insabbiato e deciso a superare questa impasse. Tendo troppo facolmente ad arrendermi e a lasciar perdere.Ma...
04/06/2025

"Sono ancora insabbiato e deciso a superare questa impasse. Tendo troppo facolmente ad arrendermi e a lasciar perdere.
Ma sforzarmi a fare qualcosa contro la mia indole non funziona lo stesso.
Così, sospeso fra la Scilla della fobia, dell'evitare, della fuga, e la Cariddi del dovere, della tensione e dello sforzo, cosa si deve fare?
Non sarei un fenomenologo se non vedessi ciò che è ovvio, e cioè l'esperienza di essere impantanato.
Non sarei un gestaltista se non entrassi nell'esperienza dell'essere impantanato con la fiducia che qualche figura emergerà dallo sfondo caotico.
Ed ecco! Il tema emerge." - Fritz Perls, in Qui e Ora - psicoterapia autobiografica, Roma, 1991 - 2011, p. 47

29/05/2025

𝐍𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐜𝐨𝐥𝐩𝐚 𝐭𝐮𝐚: 𝐥𝐚 𝐯𝐢𝐨𝐥𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐫𝐞𝐥𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐞 𝐥𝐞 𝐟𝐞𝐫𝐢𝐭𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐬𝐢 𝐯𝐞𝐝𝐨𝐧𝐨
Una recente ricerca (2022, https://bit.ly/4ki4MpG) ci aiuta a capire perché, a volte, si rimane in relazioni violente anche quando si vorrebbe solo amore e lì, sembra non essercene più neanche l’ombra.

Molte donne che subiscono violenza da parte del partner non hanno vissuto “solo” una relazione sbagliata. Spesso, alle loro spalle c’è un’infanzia segnata da esperienze dolorose: trascuratezza, genitori imprevedibili, rifiuto emotivo o confusione di ruoli (“𝑑𝑒𝑣𝑜 𝑜𝑐𝑐𝑢𝑝𝑎𝑟𝑚𝑖 𝑖𝑜 𝑑𝑖 𝑚𝑎𝑚𝑚𝑎 𝑜 𝑝𝑎𝑝𝑎̀”). Ma non è tanto la presenza del trauma a rendere più vulnerabili: è il fatto che quel dolore non è stato riconosciuto, elaborato, integrato nella propria storia.

Uno studio pubblicato su Frontiers in Psychology (Speranza et al., 2022) ha confrontato 98 donne che avevano vissuto 𝐯𝐢𝐨𝐥𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐝𝐚 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐧𝐞𝐫 (𝐈𝐏𝐕 – 𝐈𝐧𝐭𝐢𝐦𝐚𝐭𝐞 𝐏𝐚𝐫𝐭𝐧𝐞𝐫 𝐕𝐢𝐨𝐥𝐞𝐧𝐜𝐞) con un gruppo di controllo. Ha rilevato che oltre la metà delle donne nel gruppo IPV (quello di coloro che avevano subito violenza da parte del partner) presentava uno 𝐬𝐭𝐢𝐥𝐞 𝐝𝐢 𝐚𝐭𝐭𝐚𝐜𝐜𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐝𝐢𝐬𝐨𝐫𝐠𝐚𝐧𝐢𝐳𝐳𝐚𝐭𝐨, cioè una rappresentazione interna di sé e dell’altro caotica, contraddittoria, spaventata e spaventante, e spesso inconsapevole.

Questo stile di attaccamento disorganizzato – che 𝐧𝐚𝐬𝐜𝐞 𝐝𝐚 𝐭𝐫𝐚𝐮𝐦𝐢 𝐩𝐫𝐞𝐜𝐨𝐜𝐢 𝐧𝐨𝐧 𝐫𝐢𝐬𝐨𝐥𝐭𝐢 – non consente di distinguere con chiarezza 𝐚𝐦𝐨𝐫𝐞 𝐞 𝐩𝐚𝐮𝐫𝐚, 𝐜𝐮𝐫𝐚 𝐞 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨𝐥𝐥𝐨, 𝐯𝐢𝐜𝐢𝐧𝐚𝐧𝐳𝐚 𝐞 𝐩𝐞𝐫𝐢𝐜𝐨𝐥𝐨. Così, si può arrivare a pensare che “𝑚𝑖 𝑓𝑎 𝑚𝑎𝑙𝑒 𝑝𝑒𝑟𝑐ℎ𝑒́ 𝑚𝑖 𝑎𝑚𝑎 𝑑𝑎𝑣𝑣𝑒𝑟𝑜, 𝑐𝑖 𝑡𝑖𝑒𝑛𝑒 𝑎 𝑚𝑒”, o che per meritare attenzione bisogna annullarsi, acconsentire, sopportare.

Un elemento più importante emerso dalla ricerca è che non basta essere consapevoli di aver vissuto traumi infantili. Quel che è importante è 𝐜𝐡𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐢 𝐭𝐫𝐚𝐮𝐦𝐢 𝐬𝐢𝐚𝐧𝐨 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐢 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐚𝐥𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐞𝐥𝐚𝐛𝐨𝐫𝐚𝐭𝐢 altrimenti rimangono attivi, come nodi mai sciolti, creando confusione tra esperienze anche molto diverse (come appunto ad esempio tra amore e pericolo).

Il principale fattore di rischio è la 𝐝𝐢𝐬𝐨𝐫𝐠𝐚𝐧𝐢𝐳𝐳𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥’𝐚𝐭𝐭𝐚𝐜𝐜𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨: una ferita aperta che 𝐢𝐦𝐩𝐞𝐝𝐢𝐬𝐜𝐞 𝐝𝐢 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐞𝐫𝐞 𝐢𝐥 𝐩𝐞𝐫𝐢𝐜𝐨𝐥𝐨, di dare voce ai propri bisogni, di costruire relazioni sane.

Ritengo importante conoscere queste implicazioni anche per cambiare il modo in cui guardiamo a chi subisce violenza: non come qualcuno che sceglie il dolore, ma come una persona che ha imparato troppo presto a confondere amore e dolore, amore e ferita, perché chi avrebbe dovuto amarla, l’ha lasciata sola, impaurita o invisibile.

Un altro aspetto importante è che una terapia informata sul trauma e sull’attaccamento può aiutare a riconoscere i vecchi schemi, a riorganizzare il proprio mondo interno, a ritrovare sicurezza e fiducia. Non per dimenticare, ma per trasformare. E finalmente essere in grado di scegliere nuove forme di benessere.

Non è segno di debolezza trovarsi in una relazione che fa soffrire. Spesso è il riflesso di ferite lontane, mai guarite. Le sofferenze traumatiche, ahimè, non svaniscono da sole per il solo fatto che si prova a pensare ad altro, perché queste sofferenze non appartengono solo al passato: continuano a vivere ancora dentro di noi. Ma queste sofferenze possono essere accolte, comprese e trasformate. Non è colpa tua se oggi fanno male. E sì, è possibile, anche fosse gradualmente, cambiare strada

24/05/2025

[BAMBINO FERITO | CRESCERE | MATURARE]
"Il bambino che ancora sopravvive in voi è irragionevole, incapace di comprendere, ed unilateralmente esigente, così come lo sono tutte le creature immature.
Egli desidera l’impossibile: vuole essere amato da tutti in modo totale ed incondizionato, nonostante il suo egoismo e la sua irragionevolezza, e pretende che i suoi desideri siano tutti soddisfatti istantaneamente. ..
Egli desidera regnare supremo su coloro che dovrebbero amarlo, pretendendo che questi si comportino quasi come dei sottomessi schiavi al suo servizio." - Pierrakos, Eva, "Imparare ad amare".

Quando da adulti portiamo al nostro interno un bambino con una profonda ferita d'amore, queste sono dinamiche interiori comuni.
E se un bambino ferito incontra la spiritualità, con molta probabilità rischierà di ricercare modelli spirituali che promettono e promuovono un amore infantile ideale e idealizzato.
Lo so bene perché più di 20 anni fa, quando iniziai seriamente il mio percorso di ricerca spirituale, allontanavo ogni maestro o insegnante che manifestasse una qualsiasi vulnerabilità, un limite, un'emozione negativa, un minimo cenno di fastidio o rifiuto, segni per me evidenti di imperfezione.
Ero molto critico verso ogni maestro o insegnante che si dedicasse alla spiritualità e avesse allo stesso tempo una qualsivoglia imperfezione ai miei occhi, poiché per me, se la persona era davvero spirituale, doveva accogliere e accettare tutto.

In realtà - mi fu chiaro solo più tardi - cercavo modelli spirituali che soddisfacessero il mio bisogno di amore incondizionato senza però accorgermi che l'amore incondizionato può avere anche manifestazioni ferme, dure e può non assecondare dei capricci infantili, spesso segno di rifiuto alla crescita e al compiere il proprio viaggio, fatto anche di dolore, cadute e fatiche.
Vi è infatti una linea sottile fra il sempre legittimo diritto di amarsi incondizionatamente, e la pretesa che l'altro debba amarci incondizionatamente e soddisfare ogni nostro bisogno.

Solo col tempo, con le delusioni che seguivano le illusioni, frustrazione dopo frustrazione, ho realizzato come i modelli spirituali che inizialmente cercavo e ritenevo gli unici seri e meritevoli, in realtà alimentassero dannosamente le idealizzazioni del bambino ferito dentro di me, rafforzando in tal modo le mie pretese impossibili e irragionevoli e la mia conseguente rabbia verso gli altri, e in ultima analisi, la mia sofferenza profonda. Col tempo ho realizzato infatti come tali modelli e aspettative non facevano altro che ferire ancora di più quel bambino, in un circolo vizioso, anziché aiutarlo a crescere, tramite la mia compassione, l'accettazione e la comprensione di me stesso e al tempo stesso dell'altro, con le sue inevitabili vulnerabilità, vuoti, dolori, limiti e sofferenze.

Quando crediamo che tutto ci sia dovuto, pena il condannare l'altro, chiediamoci di cosa ha bisogno affettivamente il nostro bambino interiore e iniziamo noi a darglielo. Così facendo, oltre a nutrire quel nostro bambino interiore bisognoso, libereremo anche l'altro dalle nostre pretese e potremo finalmente vederlo, anche lui con il suo dolore, le
sue qualità, i suoi bisogni e desideri, legittimi tanto quanto i nostri.

19/05/2025

Qual è secondo te il bisogno emotivo più trascurato nella nostra società?

19/05/2025

[Cosa trattiene una persona dal chiedere aiuto psicologico?]
In questi giorni ho posto proprio questa domanda sui miei canali, e l’ho fatto anche su questa pagina.
Dopo aver letto i tanti commenti ricevuti - e per i quali ringrazio viste le aperture e condivisioni riscontrate - riporto una sintesi dei motivi più ricorrenti nominati. Chiaramente non vuole essere rappresentativa o esaustiva, ma la trovo comunque molto interessante per riflettere.

Mancanza di fiducia:
- nello psicologo o nella psicologia in generale;
- nell’efficacia della terapia, specie dopo esperienze negative.

Aspetti economici:
- difficoltà a sostenere il costo della terapia;
- priorità diverse su cui si preferisce utilizzare il proprio denaro.

Pregiudizi e stigma:
- paura di essere visti come “pazzi” o “schedati”;
- retaggi culturali ancora legati a un’idea antiquata di salute mentale.

Emozioni difficili:
- vergogna, paura dell’ignoto, timore del cambiamento;
- difficoltà ad ammettere di aver bisogno di aiuto;
- bisogno di sentirsi autonomi, in controllo o di non dipendere.

Atteggiamenti mentali:
- negazione o minimizzazione del problema;
- convinzione di potercela fare da soli.

Aspetti relazionali o tecnici:
- difficoltà a trovare il terapeuta giusto o un approccio che funzioni;
- delusione nel non vedere risultati tangibili nel tempo in conoscenti che abbiano fatto un percorso, anche lungo magari.

Ne aggiungeresti altri?
E cosa secondo te aiuta le persone a fare il passo di iniziare un percorso?

17/05/2025

Secondo te,
cosa trattiene una persona dal chiedere aiuto a uno psicologo, anche quando ne avrebbe bisogno?

Indirizzo

Via Giovanni Pascoli, 1
Morrovalle
62010

Telefono

+393383397987

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