03/01/2019
JUMPER’S KNEE: il “ginocchio del saltatore”. Cosa c’è da sapere per evitare il peggio?!
A cura del Dott. Paolo Gallina, Massofisioterapista e Personal Trainer dello Staff Sportevolab Muggiò
Il ruolo primario dei tendini è quello di trasmettere le forze contrattili dai muscoli alle ossa creando così il movimento. Tuttavia, sono numerosi i fattori che possono predisporre sia a microscopici danni a livello delle fibre collagene, così da rendere il tendine più fragile, sia a danni del tessuto osseo su cui questo si inserisce.
Il 25% degli sportivi amatoriali a cui viene diagnosticata una tendinopatia smette di praticare a causa del dolore al ginocchio, mentre l’effetto di un corretto trattamento in fase riabilitativa può dare al paziente un miglioramento nella funzionalità atletica e nella riduzione del dolore che va dal 50% al 70%, per giungere in ultima fase alla completa ri-atletizzazione e reinserimento in campo!
Ma è giusto immobilizzare l’articolazione? O è preferibile la mobilizzazione precoce ed il carico meccanico controllato?
E’ bene concentrarsi esclusivamente sulla sede del dolore? O occorre tenere in considerazione il rapporto causa-effetto dei distretti più distali?
Ma soprattutto: “Che strategie posso attuare per prevenire o quantomeno ridurre il rischio dell’insorgere di queste patologie??”
Questi sono alcune delle problematiche che, qualsiasi preparatore (o atleta), si trova a dover affrontare nell’arco dell’anno, quasi inevitabilmente, soprattutto quando le sedute di allenamento a settimana sono molte (o poche ma mal gestite). A “danno riscontrato” va da sé che lo specifico e attento trattamento di alcune patologie da sovraccarico (e non) è un “dovere”, ma cosa si può fare per “prevenire”?
Mentre l’effetto di un corretto trattamento in fase riabilitativa potrebbe dare al paziente (dati alla mano) dal 50% al 70% di miglioramento nella funzionalità atletica e nella riduzione del dolore, a scopo preventivo invece, è consigliabile, nella gestione di atleti e non, seguire alcune linee guida che potrebbero ridurre notevolmente l’incidenza delle patologie più comuni:
1. Monitorare volume di allenamento e frequenza (stato di “well-training” - “over-training” dell’atleta, fasi di carico, di recupero, di riposo);
2. Attenta e periodica valutazione funzionale del soggetto (eccessiva pronazione, piede cavo, piede piatto, dorsi-flessione dell’articolazione tibio-tarsica, ginocchio valgo, angolo Q, posizione della rotula e sua mobilità, flessibilità, coxa vara, rotazione tibiale o femorale);
3. Protocolli per mantenere la corretta flessibilità muscolo-tendinea (stretching) e della catena cinetica funzionale (quadricipite, hamstring, flessori dell’anca, bendelletta ileo-tibiale e polpaccio): lo stretching controllato è in grado di incrementare la sintesi di collagene e migliorare l’allineamento delle fibre, determinando così una maggiore forza tensile;
4. Protocolli di intervento sul rinforzo muscolare dell’anca (rotatori esterni), del tronco (muscoli stabilizzatori del bacino), dell’arto inferiore;
5. Mobilizzazione e carico meccanico:
a. l’esercizio fisico aumenta la sintesi di collagene e la sezione trasversale del tendine, determinando così un allargamento del diametro tendineo
b. esercizi di carico avviano ad un’iniziale buona risposta di guarigione del tendine malato
c. il tessuto tendineo umano risponde al carico meccanico sia con una maggiore attività metabolica e circolatoria, sia con un incremento di sintesi di matrice extra-cellulare.
6. Evitare la prolungata immobilizzazione in seguito ad un infortunio muscolo-scheletrico (può avere effetti dannosi, in quanto determina un’atrofia tendinea, riassorbimento osseo e diminuzione delle proprietà di forza e resistenza ai carichi del tendine);
7. Prevedere l’inserimento, con cadenza costante, di esercizio eccentrico (effetti positivi sia sulla struttura tendinea, per via del rimodellamento della matrice extracellulare, sia sulla riduzione delle fibre cicatriziali, nonché sul dolore, riducendo la neo-vascolarizzazione);
8. Mantenere un costante rapporto diretto con l’atleta cosi da poter “avere il polso” del suo “dolore percepito” e poterlo aiutare a valutarne la corretta entità (sia nel caso di sovra-stima che del contrario..)
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