
22/09/2025
WINNICOTT E IL “FALSO-SÉ”
Donald Woods Winnicott è stato uno degli psicoanalisti britannici più influenti. Esterno ai conflitti che hanno diviso i seguaci di Anna Freud e Melanie Klein, Winnicott ha saputo costruire una posizione autonoma nell’ambito della psicoanalisi dell’infanzia e dello sviluppo.
Tra i suoi concetti più interessanti occupa un posto di grande rilievo il “falso-Sé”.
Di cosa si tratta?
Nel contatto con il mondo esterno, il bambino svilupperebbe la propria soggettività maturando una sorta di “scorza”, di “corazza” per proteggersi dal conflitto costante tra interiorità, pulsioni e mondo esterno.
Con “falso-sé” si intende questa sorta di barriera che separa in maniera determinante il mondo interno psichico da quello esterno.
Questa sorta di barriera può essere di diversa “profondità psichica”, influenzando la soggettività dell’individuo: come ogni barriera, se permeabile, essa permette il contatto tra le due dimensioni che separa; dall’altra, se diviene, come un “esoscheletro”, il vero supporto della soggettività, essa dà luogo ad una “forma ordinaria di follia”.
In “Gioco e realtà”, Winnicott distingue tra due diverse forme di psicosi:
da una parte le psicosi straordinarie, caratterizzate dalla perdita di realtà; in questo caso osserviamo una separazione del soggetto dalla realtà ordinaria, una dissoluzione che si traduce in una visione delirante del mondo e dei suoi confini, spesso con fenomeni elementari ed allucinatori;
dall’altra le forme di psicosi che non prevedono un allontanamento del soggetto dalla realtà esterna ma da se stesso, dal proprio inconscio e dalla propria interiorità.
Su cosa si fonda la vita del soggetto? Sulla propria spinta interiore o sull’esoscheletro dell’altro sociale?
Winnicott racconta di pazienti incapaci di entrare in contatto con le proprie emozioni, con la loro parte creativa e con la propria interiorità; la dimensione dell’inconscio è abolita a favore di un radicale attaccamento alle regole del mondo esterno, alle convenzioni sociali e ai costumi che determinano comportamenti e possibilità espressive codificate.
Si tratta di quella che Recalcati definisce “clinica dell’identificazione solida”.
In questo caso, la psicosi non si manifesta nella forma di una “rottura con la realtà”, ma come eccesso di assimilazione conformista, di una prevalenza totale del discorso comune a sfavore del discorso soggettivo.
Questi soggetti vivono un’esistenza apparentemente ordinaria, compatibile con il resto della società e con le sue regole. È proprio all’Altro sociale che questi individui domandano costantemente di essere guidati e orientati, senza più alcuna forma di contatto con la propria dimensione interiore.
La profonda alienazione dal proprio inconscio si traduce nell’impossibilità di fare propria l’esperienza del desiderio.
Tutto questo determina la perdita del “sentimento stesso della vita”: l’esistenza di questi soggetti è infatti caratterizzata da un profondo senso di vuoto e di apatia, di una sorta di “morte vivente” fatta di una routine sempre uguale e ripetitiva.
Molti analisti hanno cercato di descrivere le peculiarità di questo funzionamento psicotico: Lacan la chiamava “psicosi ordinaria”; Bollas invece utilizza l’espressione “personalità normotica”.
Al di là della definizione teorica, tutti questi analisti sottolineano l’effetto mortifero della separazione del soggetto dalla propria vita interiore, esito estremo della sottomissione ai dettami della civiltà.
L’articolo completo è disponibile sul sito.
Per approfondire:
Donald Winnicott – “Gioco e realtà”;
Massimo Recalcati – “L’uomo senza inconscio”;
Robert Rodman – “Winnicott. Vita ed opere”.
Donald Woods Winnicott è stato uno degli psicoanalisti britannici più influenti. Esterno ai conflitti che hanno diviso i seguaci di Anna Freud e Melanie Klein, Winnicott ha saputo costruire una posizione autonoma nell’ambito della psicoanalisi dell’infanzia e dello sviluppo.
Tra i suoi concetti più interessanti occupa un posto di grande rilievo il “falso-Sé”.
Di cosa si tratta?
Nel contatto con il mondo esterno, il bambino svilupperebbe la propria soggettività maturando una sorta di “scorza”, di “corazza” per proteggersi dal conflitto costante tra interiorità, pulsioni e mondo esterno.
Con “falso-sé” si intende questa sorta di barriera che separa in maniera determinante il mondo interno psichico da quello esterno.
Questa sorta di barriera può essere di diversa “profondità psichica”, influenzando la soggettività dell’individuo: come ogni barriera, se permeabile, essa permette il contatto tra le due dimensioni che separa; dall’altra, se diviene, come un “esoscheletro”, il vero supporto della soggettività, essa dà luogo ad una “forma ordinaria di follia”.
In “Gioco e realtà”, Winnicott distingue tra due diverse forme di psicosi:
da una parte le psicosi straordinarie, caratterizzate dalla perdita di realtà; in questo caso osserviamo una separazione del soggetto dalla realtà ordinaria, una dissoluzione che si traduce in una visione delirante del mondo e dei suoi confini, spesso con fenomeni elementari ed allucinatori;
dall’altra le forme di psicosi che non prevedono un allontanamento del soggetto dalla realtà esterna ma da se stesso, dal proprio inconscio e dalla propria interiorità.
Su cosa si fonda la vita del soggetto? Sulla propria spinta interiore o sull’esoscheletro dell’altro sociale?
Winnicott racconta di pazienti incapaci di entrare in contatto con le proprie emozioni, con la loro parte creativa e con la propria interiorità; la dimensione dell’inconscio è abolita a favore di un radicale attaccamento alle regole del mondo esterno, alle convenzioni sociali e ai costumi che determinano comportamenti e possibilità espressive codificate.
Si tratta di quella che Recalcati definisce “clinica dell’identificazione solida”.
In questo caso, la psicosi non si manifesta nella forma di una “rottura con la realtà”, ma come eccesso di assimilazione conformista, di una prevalenza totale del discorso comune a sfavore del discorso soggettivo.
Questi soggetti vivono un’esistenza apparentemente ordinaria, compatibile con il resto della società e con le sue regole. È proprio all’Altro sociale che questi individui domandano costantemente di essere guidati e orientati, senza più alcuna forma di contatto con la propria dimensione interiore.
La profonda alienazione dal proprio inconscio si traduce nell’impossibilità di fare propria l’esperienza del desiderio.
Tutto questo determina la perdita del “sentimento stesso della vita”: l’esistenza di questi soggetti è infatti caratterizzata da un profondo senso di vuoto e di apatia, di una sorta di “morte vivente” fatta di una routine sempre uguale e ripetitiva.
Molti analisti hanno cercato di descrivere le peculiarità di questo funzionamento psicotico: Lacan la chiamava “psicosi ordinaria”; Bollas invece utilizza l’espressione “personalità normotica”.
Al di là della definizione teorica, tutti questi analisti sottolineano l’effetto mortifero della separazione del soggetto dalla propria vita interiore, esito estremo della sottomissione ai dettami della civiltà.
L’articolo completo è disponibile sul sito.
Per approfondire:
Donald Winnicott – “Gioco e realtà”;
Massimo Recalcati – “L’uomo senza inconscio”;
Robert Rodman – “Winnicott. Vita ed opere”.