26/10/2025
Con la fatica di un sistema che troppo spesso lascia soli.
Perché dietro ogni “bambino difficile e meraviglioso”, c’è una madre che non dorme, un padre che si consuma tra sensi di colpa e impotenza, un gruppo di operatori che si inventa ogni giorno nuove forme di amore e di pazienza.
E c’è un Paese che non fa abbastanza.
Non abbastanza per garantire terapie adeguate, sostegni concreti, strutture sicure, formazione per chi lavora e comprensione per chi vive queste vite complesse e luminose.
Quanto sia urgente garantire più attenzione, più risorse e più umanità».
Perché ogni storia come la sua è un richiamo alla responsabilità collettiva: costruire una società che non lasci soli i bambini e le loro famiglie, che non si accorga di loro solo quando è troppo tardi.
Ci sono tragedie che non dovrebbero mai accadere.
Eppure, ogni volta che accadono, ci ricordano con brutalità ciò che troppo spesso preferiamo non vedere.
Alessandro Lupo aveva dieci anni, amava il mare, e viveva nel suo mondo fatto di silenzi, piccoli gesti e conquiste immense. Era un bambino con autismo, e per chi lo conosceva davvero, ogni suo passo avanti, un abbraccio, un bicchiere d’acqua bevuto da solo, era una vittoria che valeva una montagna scalata.
Venerdì pomeriggio è caduto dal balcone di casa, a Trapani. Una tragedia che in pochi istanti ha spezzato una vita fragile e coraggiosa, e con essa il cuore di una madre, di un padre, di un’intera comunità.
Oggi Alessandro non c’è più, e la sua assenza pesa come un macigno.
Ma pesa anche un’altra verità, amara e silenziosa: solo quando accadono storie come questa ci ricordiamo di quanto sia difficile la vita per chi convive con l’autismo e per le loro famiglie.
Solo allora capiamo, per un attimo, cosa significa vivere con l’ansia costante, con la paura di un attimo di distrazione, con la fatica di un sistema che troppo spesso lascia soli.
Perché dietro ogni “bambino difficile e meraviglioso”, come lo ha descritto la sua terapista Francesca, c’è una madre che non dorme, un padre che si consuma tra sensi di colpa e impotenza, un gruppo di operatori che si inventa ogni giorno nuove forme di amore e di pazienza.
E c’è un Paese che non fa abbastanza.
Non abbastanza per garantire terapie adeguate, sostegni concreti, strutture sicure, formazione per chi lavora e comprensione per chi vive queste vite complesse e luminose.
Le parole di chi gli è stato accanto restano scolpite come un testamento:
«Nel nome di Alessandro vogliamo ricordare quanto sia urgente garantire più attenzione, più risorse e più umanità».
Perché ogni storia come la sua è un richiamo alla responsabilità collettiva: costruire una società che non lasci soli i bambini e le loro famiglie, che non si accorga di loro solo quando è troppo tardi.
Alessandro non tornerà più. Ma possiamo fare in modo che la sua luce, quella forza silenziosa che aveva dentro, diventi l’impegno di tutti.