
27/05/2022
La guerra Russo - Ucraina rischia di coinvolgere il mondo, l’Europa in particolare, nell’orrore di un conflitto nucleare. La discordia fra i due Stati del- l’ex Unione Sovietica ha radici ataviche e le dinamiche che hanno innescato il con- flitto armato non sono decifrabili con l’ana- lisi emozionale dell’ultima ora, costruita sull’onda della disinformazione propinata dal mainstream, da una parte e dell’altra.
Se dal fronte ucraino si rivendica il diritto di difesa contro la “vile aggressione” e Ze- lensky invoca interventi bellici della NATO, il versante russo punta il dito con- tro l’occidente che interviene a sostegno dell’Ucraina dopo aver ignorato, secondo Putin, 8 anni di conflitto di stampo etnico nei territori del Donbass che avrebbero spinto la Russia a “difendere” la popo- lazione russofona dalle azioni squadriste dell’Ucraina, perpetrate attraverso milizie inneggianti al nazismo.
Per altri versi, se Zelensky ha il diritto di chiedere l’annessione dell’Ucraina nella NATO, non si può non tenere conto del timore di Putin che con l’espansione della NATO verso i confini Russi rischia di trovarsi i missili USA davanti alla porta di casa.
E’ veramente difficile il ruolo di arbitro in questo scenario, soprattutto se chi dovrebbe proporre la mediazione per il generale interesse alla pace, interviene armando uno dei contendenti.
Il leitmotiv del mainstream filo-NATO per cui “c’è un popolo aggredito e un popolo ag- gressore”, scenario che autorizzerebbe l’invio di armi in Ucraina, si azzera con la narrazione Russa che parla di “intervento di polizia speciale” a difesa della popo- lazione russofona oppressa dal neo nazismo ucraino. In questi casi la verità resta opinione.
In buona sostanza nessuno avrebbe dichiarato una guerra e ognuno si difende da qualcosa, mentre dall’esterno tutti invo- cano la pace teorica ma nel concreto si registra la corsa a inviare armi nella re- gione del conflitto.
Intanto una guerra non nostra continua ad avere effetti negativi per l’economia ita- liana. Le imprese legate al mercato russo sono costrette alla cassa integrazione e 26 mila italiani rischiano il lavoro. Le aziende europee, soprattutto del settore automobilistico e agroalimentare, sono in crisi a causa della guerra. L’Italia, dopo oltre un decennio di recessione, stava ini- ziando a vedere la luce in fondo al tunnel della pandemia. Prospettive di crescita e benessere erano state calcolate e annun- ciate, ma la guerra degli altri è comparsa come un imprevisto - piuttosto prevedibile - per il quale le aziende non si erano preparate.
La crisi delle aziende, che da inizio marzo avevano annunciato la cassa integrazione per centinaia di dipendenti, non può che allargarsi. Con il proseguimento della guerra, di cui non si vede la fine, il collo di bottiglia che si è generato continuerà a rallentare l’arrivo di materie prime, i sus- sidi non basteranno, gli effetti della guerra proseguiranno almeno fino al 2023.
La Banca Centrale Europea è stata chiara: l’Eurozona deve abbassare le pro- prie prospettive di crescita. La guerra in Ucraina da sola porterà a una riduzione di crescita pari a -0,5% (da 4,2% previsto a inizio anno a un 3,7%). Dati che potreb- bero scendere ulteriormente di un -1,4%, anzi lo faranno sicuramente, in caso il conflitto continuasse a lungo, mante- nendo il mercato instabile.
In Italia, nello specifico, non va meglio. L’elenco delle aziende costrette a ral- lentare e a mettere i dipendenti in cassa integrazione continua a crescere.
Il rallentamento delle industrie non vuol dire solo prezzi più alti e un concreto ri- schio di stagflazione, situazione in cui au-
mentano i prezzi ma la crescita econo- mica è fortemente rallentata. Nel pratico signif**a oltre 500 mila posti di lavoro a ris- chio.
Recentemente il Corriere della Sera ha ri- portato le zone d’Italia dove i dipendenti sono più a rischio:
Trentino Alto Adige - Acciaierie Venete a Borgo Valsugana;
Veneto - Ferriera Valsider spa a Vallese di Oppeano; Metinvest Intrametal; Aer- mec spa di Bevilacqua; Fiamm a Vero- nella e diverse altre;
Lombardia - Gruppo Acciaierie Venete; CAM a Grumello del Monte; Global caloriferi; CMS;
Friuli Venezia Giulia - Automotive Li- ghting; San Giorgio acciaierie; Abs Accia- ieria;
Emilia Romagna - Nord motoriduttori; Lamborghini; SCM Group;
Toscana - Whirlpool; Magna meccatro- nica;
Marche -Valmex Lucrezia; Whirlpool; Umbria - Tifast Titanium San Liberato; Meccanotecnica Umbra;
Sicilia - Lukoil; Chiavetta; Acciaierie sici- liane.
Per l'Italia le ricadute della guerra in Ucraina sono tutte negative. Il problema maggiore è quello delle forniture di gas. Rimpiazzare quello russo, che vale 30 mi liardi di metri cubi l'anno e copre più del 40 per cento del nostro fabbisogno è diventata la missione numero uno del go-verno. Per questo, Mario Draghi è volato ad Algeri per firmare un accordo storico, che dovrebbe fare dell'Algeria il primo fornitore di gas del- l'Italia al posto della Russia. La soluzione appare poco realistica, l’Unione Europea affronta il problema con eccessivo ot- timismo, nel documento Repower la Ue prevede di ridurre di quasi 100 miliardi di metri cubi l'anno l'import di gas russo entro il 2022 ma il progetto resta nell’ambito del teorico a lunga programmazione, poiché le forniture di gas dipendono da impianti che richiedono investimenti di lunghissimo pe- riodo e nel mondo non ci sono né gasdotti, né impianti per il Gnl (Gas naturale lique- fatto) in grado di dirottare in Europa le quantità necessarie per sostituire il gas russo. In tal senso l'Italia è l'anello debole dell'Occidente, in questo frangente dipende quasi per intero dalle importazioni. L'ac- cenno di Draghi all'ipotesi di dover spe- gnere i condizionatori è un messaggio soft, per non spaventare, che però indica possi- bili razionamenti. Il Governo sta program- mando un minore consumo di gas con la semplice riduzione di un grado del riscalda- mento in case e uffici.
Misura aleatoria e ineff**ace, poiché la riduzione di un grado del riscaldamento dovrebbe essere attuato all’unisono da centinaia di milioni di famiglie e non è detto che tutte lo facciano. Il raziona- mento avrebbe invece conseguenze molto gravi per le industrie e danni per l'in- tero sistema produttivo. Per quanto tempo? Nessuno lo sa. Di certo, l'Italia si prepara a diventare più povera ma il dramma non sembra preoccupare il Go- verno che investe risorse pubbliche per inviare armi in Ucraina.
Armi che implicano la partecipazione del- l’Italia al conflitto, sotto le direttive della NATO a guida USA, in pieno contrasto con la volontà degli italiani che in tutti i sondaggi esprimono in maggioranza con- trarietà all’invio di armi nell’area del con- flitto.
L’associazione dei Consumatori - CODA- CONS - preoccupata per le ricadute eco- nomiche e la compressione della qualità della vita degli italiani coinvolti in una guerra che non vogliono, ha presentato un ricorso al TAR volto a bloccare i provvedimenti del Governo.
Secondo il CODACONS la fornitura di armi offensive all’Ucraina implica in qual-
che modo la partecipazione
dell’Italia al conflitto bellico in
atto, in piena violazione
dell’art 78 della Costituzione
che prevede che lo stato di
guerra debba essere deli-
berato con legge formale del Parlamento. Violato anche
l’art. 11 in base al quale l’I-
talia ripudia la guerra anche
come mezzo di risoluzione
delle controversie inter-
nazionali. Non solo. La se-
gretezza imposta sul tipo di
armi da destinare all’Ucraina
impedisce di distinguere tra
armi di offesa e armi di
difesa, circostanza che porta
alla violazione delle dispo-
sizioni che prevedono la de-
libera del Parlamento sulle operazioni di guerra da parte dello Stato Italiano.
Con tale ricorso il Codacons intende sol- levare dinanzi al Tar la questione di legit- timità costituzionale di tutti gli atti emanati dal governo e relativi alla fornitura di armi all’Ucraina. Provvedimenti adottati dal- l’esecutivo in pieno contrasto con la volontà degli italiani, considerato che tutti i sondaggi e le ricerche fino ad oggi pub- blicate hanno registrato la netta contra- rietà dei cittadini all’invio di armi all’estero. Al netto delle interpretazioni fantasiose dei costituzionalisti dell’ultima ora che an- naspano per giustif**are l’invio di armi in Ucraina, la posizione del CODACONS è ampiamente condivisa.
Dalla guerra si esce investendo sulla pace non finanziando il conflitto. Non esiste alcun aggancio costituzionale che giusti- fichi la partecipazione, in diverse forme, al conflitto ucraino, tanto meno attraverso la fornitura di armi.
Non è mai stato un mistero che la NATO agisce sotto gestione USA, bisogna u- scire dall’ipocrisia di un intervento NATO per la nobile difesa del popolo ucraino ag- gredito. Esistono interessi storici, eco- nomici e geopolitici che spingono gli Stati Uniti a schierarsi con l’Ucraina per an- nichilire “l’arroganza”, anche economica, dell’odierna Russia e la NATO punta a tale obiettivo armando le braccia ucraine, istigando un popolo a farsi massacrare per gli interessi di chi questa guerra la controlla a debita distanza, mentre l’Eu- ropa, Italia in testa, ha il rischio di guerra nucleare dietro la porta di casa.
Sull’articolo 11 emergono diverse inter- pretazioni degli “opinionisti” costituzionali ma checché se ne dica l’articolo è chiara- mente finalizzato alla pace, al ripudio della guerra, e anche le limitazioni di sovranità che prevede sono funzionali a evitare fasi belligeranti. Le azioni atte a perseguire la pace fra le nazioni, vanno riferite all’ONU e non anche alla Nato, che non esisteva ancora e in ogni caso ha fi- nalità diverse, pertanto le cessioni di sovranità vanno interpretate alla luce dello Statuto dell’ONU.
Nessun articolo della Costituzione giusti- f**a la guerra, L’articolo 52 tirato in ballo per dare un senso costituzionale alle de- cisioni del Governo, parla del diritto di difesa della propria patria. L’articolo 78 dà una centralità al Parlamento nel delibe- rare lo stato di guerra, conferendo al Go- verno i poteri necessari, e c’è poi il ruolo di garanzia del capo dello Stato nell’arti- colo 87. Infine l’articolo 60 prevede la pro- roga delle Camere in caso di guerra. Ma tutti riguardano una guerra chiaramente difensiva e presuppongono due con- dizioni che in atto non ci sono. La prima è la difesa del nostro territorio, la seconda la proclamazione dello stato di guerra che non c’è stata, per fortuna, e nessuno aus- pica. Pertanto non è possibile applicare questi criteri, per analogia, al caso ucraino.
E’ stata violata la costituzione?
Diciamo che è stata aggirata, per elu- dere parzialmente il ripudio della guerra le è stato fatto dire cose che non dice...
Il Parlamento non ha deliberato lo stato di guerra e dunque non siamo in guerra, anche se il concetto di guerra sta cam- biando. Persino Putin afferma che la sua non è una guerra, ma un “intervento di po- lizia speciale”, il che è falso. Ma appare anche ipocrita che si sia parlato di inter- venti umanitari in relazione al Kosovo o alla prima e seconda Guerra del Golfo. La verità è che ormai le guerre non si dichia- rano più e secondo la prospettiva geopo- litica da cui le si osserva possono essere interpretate come esportazioni di demo- crazia, atti militari per scopi umanitari, azioni di polizia speciale.... oppure ag- gressioni.
A prescindere dalle motivazioni storiche che hanno innescato il conflitto in esame, secondo lo statuto dell’ONU la respon- sabilità della guerra è da attribuire alla Russia, in base all’articolo 2 quarto comma, mentre l’articolo 51 indica come legittima la resistenza ucraina, in base al principio di autotutela. Ma queste dispo- sizioni non riguardano le nazioni non di- rettamente coinvolte nel conflitto. Siamo di fronte a una fase di autodetermi- nazione dei popoli di cui ci sono esempi in tutto il mondo ma dove non vi sono in- teressi economici e geopolitici la NATO non è mai intervenuta per fare da arbitro ed ha lasciato il compito della mediazione all’ONU.
Anche in questa guerra è compito del- l’ONU dar luogo a iniziative straordinarie che siano finalizzate alla pace, alla si- curezza internazionale e alla soluzione pacif**a del delicato conflitto. L’obbligo delle Nazioni Unite non è di far pro- seguire la guerra armando le forme di re- sistenza esaltate dalla NATO, ma di mettere in atto iniziative politiche e diplo- matiche per farla cessare.
Ci sono tante iniziative a sostegno della legittima resistenza ucraina, ma si registra una totale assenza sul fronte principale in- dicato dall’ONU. Non si può pensare che la pace la siglino “l’aggredito” e “l’aggres- sore”, al massimo si conseguirebbe una resa, più o meno onorevole per “l’aggre- dito”, senza nessuna prospettiva duratura, in un contesto che continuerà ad essere di insicurezza internazionale.
E’ necessaria una conferenza inter- nazionale che includa tendenzialmente tutti gli Stati del mondo.
L’assemblea dell’Onu ha aggregato ben 141 Stati in diverse deliberazioni per far cessare il conflitto, da lì bisogna ripartire. Non può la NATO o un singolo Stato portare avanti le ragioni della pace e pro- porsi come mediatore. Così non se ne uscirà mai. Bisogna fare i conti con i nuovi equilibri geopolitici. L’aumento delle spese militari e lo schieramento della NATO a sostegno del fronte ucraino porteranno solo a inasprire la contrappo- sizione.
Invece di obbedire supinamente al diktat
a stelle e strisce l’Italia deve farsi pro- motrice presso l’Europa per avviare un processo di pace attraverso l’ONU. L’Eu- ropa da sola non basta, dovrà rivolgersi non solo ai suoi alleati naturali, andando oltre la logica dei blocchi. Servono la Cina, l’India, i Paesi emergenti. Tutte le nazioni hanno interesse a ristabilire la pace, la sicurezza internazionale serve a tutti e di fronte a un’iniziativa a tutto campo nessuno avrebbe interesse a starne fuori. Dopo le tante tragedie e guerre diffuse non si può più continuare a lasciare le cose come stanno. Occorre sciogliere questa tensione internazionale e trovare nuovi equilibri per assicurare un pace duratura tra le nazioni.
La Confederazione OR.S.A. invoca la pace e fa propria la posizione espressa dal sindacato aderente SAPENS in occa- sione dell’ultimo Consiglio Generale del Settore:
“ Il nostro Paese, già colpito dalla crisi economica, dal catastrofismo pande- mico e dalla transizione energetica, ha bisogno della pace altrimenti c’è il ri- schio di un massacro sociale, l’Italia non ha assolutamente bisogno di un’economia di guerra, di un clima di guerra che si sovrappone al degrado politico e alla debolezza del mondo del lavoro e della società. La guerra non è nell’interesse dei popoli, poteva e do- veva essere evitata. Le conseguenze su pensioni, salari, sullo stato sociale, sulle prospettive dei nostri giovani, sa- ranno devastanti se non si ferma su- bito questa guerra, riaffermando una volontà di pace. Occorre reagire per non subire decenni di tensioni interna- zionali che porteranno costi economici e sociali inenarrabili. L’unione Europea e l’Italia devono allontanarsi dalla lo- gica belligerante adoperandosi per creare nuovi equilibri di pace in Eu- ropa. All’Europa ci devono pensare gli europei!”.
Documento approvato dal Consiglio Con- federale OR.S.A. - 6 maggio 2022
Confederazione
GUERRA– LAVORO, ECONOMIA, COSTITUZIONE
Direzione Redazione Amministrazione
Via Magenta, 13 – 00185 Roma Tel. 064456789 – fax 064452937
Autorizzazione:
Trib. Civile di Roma N. 1/2017 del 12/1/2017
E-mail: lanostrastazione@sindacatoorsa.it Sito Internet: http://www.sapsorsa.it/
Chiuso il 15 maggio 2022
Direttore: Alessandro Trevisan hanno collaborato: Roberto Spadino,
Roberto Cesario Confederazione OR.S.A.
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