17/11/2025
Cosa fare quando tuo figlio ti tratta male?
Domanda scomoda, ma vera. Una di quelle che ti afferra allo stomaco prima ancora che alla testa. Perché non c’è nulla che ferisca più di un figlio che alza la voce, ti risponde male o sembra non avere più rispetto. È come se all’improvviso dimenticasse tutto ciò che hai dato, tutto ciò che hai fatto, tutto ciò che sei. Ma la verità è un’altra: nella maggior parte dei casi non ce l’ha con te. Sta lottando con se stesso.
La prima cosa da fare è non reagire come la sua tempesta vorrebbe. I figli, quando sono travolti dalle loro emozioni, buttano fuori il peggio sperando inconsciamente che tu rimanga saldo. È un paradosso antico: più ti provocano, più vogliono essere rassicurati che tu non cada. Per questo la calma non è debolezza: è leadership emotiva.
Partiamo da un concetto importante… io la chiamo la regola di vita: “la parte peggiore di noi, la diamo sempre a chi ci ama di più!”
Ora, iniziamo…
Respira. Letteralmente. Un genitore che si concede tre secondi prima di rispondere sta già educando. Sta insegnando che non è il volume della rabbia a comandare, ma la qualità della presenza. E quando finalmente parli, usa un linguaggio che parte da te, non da una sentenza: “Questo modo di parlare mi fa male”, “Sento distanza e vorrei capire”. È un invito alla connessione, non un’accusa.
Poi c’è un gesto fondamentale: dare un nome alle emozioni. I bambini e gli adolescenti spesso urlano perché non sanno tradursi. Hanno un caos dentro che non trova parole e allora esplode. Se tu riesci a dire “Sembri frustrato”, “Mi sembra che tu sia arrabbiato”, è come accendere la luce in una stanza buia. Non giustifica il comportamento, ma offre un ponte per attraversarlo.
Questo non significa diventare tappetini emotivi. Al contrario: i confini servono più dell’aria. “Ti ascolto, ma non puoi parlarmi in questo modo.” Fermo. Gentile. Inequivocabile. Non con minacce, non con umiliazioni, ma con la dignità di chi sa che l’amore senza regole diventa disordine, e il disordine diventa distanza. I figli devono vedere nei genitori la stessa coerenza che vorrebbero trovare in se stessi.
L’esempio, poi, è il vero maestro silenzioso. Non puoi chiedere rispetto se rispondi con sarcasmo, non puoi invocare calma se reagisci come un fiammifero vicino alla benzina. I figli non sono specchi perfetti, ma assorbono tutto: tono, posture, silenzi, incoerenze. La tua maturità emotiva è la loro palestra.
Infine, c’è una verità che pochi genitori hanno il coraggio di accettare: a volte il problema non è il carattere, è il peso emotivo che il bambino sta portando. Se quella irascibilità diventa una costante, se compare aggressività, chiusura, tristezza… non è “maleducazione”. È un segnale. I figli parlano attraverso i comportamenti quando non riescono a farlo con le parole.
E lì non si perde forza nel chiedere aiuto: si guadagna prospettiva. Un professionista può offrire strumenti, decodificare ciò che sembra incomprensibile, riportare aria dove il legame si è ristretto. Non come giudice, ma come ponte.
Essere genitori oggi è una delle prove più complesse che esistano. Ma una cosa è certa: quando un figlio ti tratta male, non è un fallimento. È un momento di verità, un bivio, una richiesta mascherata da caos. E tu puoi trasformarla in crescita, tua e sua.
Perché il rispetto si impara.
E l’amore non si urla, si dimostra. Sempre.
Enrico Chelini