Dott.ssa Rita Marinelli Psicoterapeuta

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28/09/2025

Oggi su Avvenire é stato pubblicato un estratto del nostro libro "Esci da quella stanza" (). Buona lettura

28/09/2025

Non tutti i bambini hanno ricordi felici. La vita dei bambini dipende in larga misura dall'equilibrio emotivo dei loro genitori.

25/09/2025

Quasi un ragazzo su tre tra gli 11 e i 13 anni ha passato almeno 5 ore di fila davanti a un videogioco nell’ultimo mese.
Non è svago, è un segnale.

In terapia lo vedo spesso: il gaming compulsivo non parla di pigrizia, ma di vuoti. È un modo per non sentire la noia, per non guardare il vuoto, per non misurarsi con la frustrazione.

Il problema non è il videogioco, ma quando diventa l’unico luogo in cui un ragazzo si sente vivo.
Fuori dallo schermo, allora, resta il silenzio.

Non possiamo dire ‘è solo un gioco’ se un adolescente passa notti intere collegato, se la scuola diventa un peso, se il sonno diventa un nemico.
È una fuga. E le fughe non si prendono mai alla leggera.

La vera domanda non è “quante ore gioca mio figlio?”
La vera domanda è: “cosa sta cercando in quelle ore?”

Se non siamo noi adulti a rendere abitabile la realtà, saranno sempre i videogiochi a sostituirla.

21/09/2025

RICONOSCERE I SEGNALI
Qualsiasi comportamento può essere etichettato come bullismo se ha le caratteristiche di una "attività ostile" agita in maniera consapevole, volontaria, deliberata e ripetuta, contrassegnata da uno sbilanciamento di potere, finalizzata a recare danno e/o costituire minaccia di aggressione. Anche dagli adulti, quindi.

16/09/2025

Lo specialista: «Va insegnata loro l’empatia. Percepiscono un’autorità debole. Tra genitori e figli il dialogo è scarso»

14/09/2025

"Qualunque decisione tu abbia preso per il tuo futuro, sei autorizzato, e direi incoraggiato, a sottoporla ad un continuo esame, pronto a cambiarla, se non risponde più ai tuoi desideri."

Rita Levi Montalcini

14/09/2025

Non adultizzare il bambino

Il bambino non è un piccolo adulto, ma un essere in continua crescita, con ritmi, bisogni e un mondo interiore del tutto diversi dai nostri.
Eppure, a volte, sembra che noi adulti facciamo fatica a riconoscerlo. Questa difficoltà, che può manifestarsi in atteggiamenti di rigidità, pretese eccessive o incomprensione, non è un segno di cattiva volontà, ma spesso affonda le radici in complessi meccanismi psicologici e sociali.

La fretta e la pressione sociale
Viviamo in una società che premia la velocità e l'efficienza. Siamo costantemente di corsa, e spesso questa fretta si riversa anche sulla nostra genitorialità. Ci aspettiamo che i bambini imparino in fretta, che si adattino subito alle nostre routine e che si comportino "bene" in ogni situazione. Questa pressione sociale, unita al desiderio di avere un figlio "perfetto" che rispecchi i nostri standard, ci porta a saltare le tappe fondamentali della crescita infantile. Non rispettiamo i loro tempi, dimenticando che un bambino ha bisogno di esplorare, di sbagliare e di vivere le proprie emozioni senza l'ansia di dover essere sempre all'altezza.

➡️ La proiezione delle proprie aspettative
Un'altra motivazione profonda che ci spinge a trattare i bambini come piccoli adulti è la proiezione delle nostre aspettative e delle nostre insicurezze. Spesso, in modo inconscio, vediamo nei nostri figli il riflesso di ciò che avremmo voluto essere o di ciò che non siamo riusciti a realizzare. Li spingiamo a eccellere in un'attività, a comportarsi in un certo modo o a non mostrare le proprie fragilità, perché non vogliamo che vivano le stesse difficoltà che abbiamo affrontato noi. In questo modo, però, li priviamo della possibilità di scoprire la propria identità e di sviluppare le loro uniche inclinazioni e passioni.

Le conseguenze dell'adultizzazione
Adultizzare un bambino può avere effetti profondi e negativi sul suo sviluppo. Quando chiediamo a un bambino di comportarsi in modo troppo maturo, lo priviamo di un tempo essenziale: quello dell'infanzia. Lo spingiamo a saltare tappe evolutive cruciali, come il gioco libero e spontaneo, l'esplorazione del mondo con tutti i sensi e la possibilità di fare errori senza il peso del giudizio. Questo può portare a un aumento dello stress e dell'ansia, a una perdita di autostima e a una difficoltà nel costruire la propria identità. Un bambino che si sente costantemente sotto pressione per essere "all'altezza" delle aspettative degli adulti potrebbe finire per sopprimere le proprie emozioni e i propri desideri.

Come rispettare l'infanzia
Per evitare di adultizzare un bambino, il primo passo è osservare e ascoltare. Osserva come gioca, quali sono le sue passioni e i suoi interessi. Ascolta le sue emozioni, anche quando ti sembrano irrazionali o sproporzionate. Ricorda che la sua rabbia, la sua tristezza o la sua gioia sono tutte reazioni autentiche e importanti.

E’ fondamentale dare spazio al gioco.
Il gioco non è un semplice passatempo, ma il modo in cui il bambino impara a conoscere il mondo, a risolvere problemi e a sviluppare la creatività. Anziché riempire la sua giornata di attività strutturate, lascia che abbia tempo libero per inventare, sognare e annoiarsi. Questo tempo è prezioso per la sua crescita.

Adatta le tue aspettative alla sua età e alla sua personalità. Non chiedere a un bambino di cinque anni di stare seduto a tavola per un'ora, o a uno di sette di capire concetti complessi. Sii paziente e accogliente, riconoscendo che ogni bambino ha i suoi tempi. Rispettare l'infanzia non significa viziare, ma offrire un ambiente sicuro e stimolante dove il bambino possa crescere e fiorire liberamente, senza la pressione di essere un piccolo adulto.

10/09/2025

Sono andata a cercare l’origine della parola sensibilità: parola composta dal verbo "sentio" (sentire) e dal sostantivo "habilitas" (disposizione, attitudine).

La sensibilità è la capacità di sentire.

Ma la cosa bella è che per i latini questa era un’habilitas, un’abilità, una dote, un talento, un punto di forza, qualcosa di positivo che si possiede, che si ha dentro (habilitas deriva a sua volta dal verbo habeo), quasi una consapevolezza di sé.

E per noi invece?

Da quando per noi la sensibilità ha smesso di essere un pregio ed è diventata una mancanza, una debolezza, un difetto?

Da quando ha smesso di essere un’habilitas ed è diventata invece l’esatto contrario, una sorta di "in-abilità" a stare al mondo?

(Nicole, "Ossimoro Tossico")

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