11/11/2025
Le cure palliative sono, prima di tutto, una medicina dell’ascolto, della presenza, dell’attenzione ai dettagli, dell’accudimento autentico.
L’11 novembre, in Italia, si celebra la Giornata nazionale delle Cure Palliative. Non a caso richiama la figura di San Martino: il soldato che, durante una ronda, tagliò il suo mantello – il “pallium” – per riparare dal freddo un mendicante. In quel gesto concreto, semplice ma radicale, c’è l’immagine più vera di ciò che dovrebbero essere le cure palliative: non qualcosa di “cosmetico”, non cure di facciata o “inutili”, ma un prendersi cura attivo, intenzionale, profondamente orientato alla persona.
Quando parliamo di medicina palliativa – oncologiche, neurologiche, renali, cardiologiche e così via – il centro è la qualità di vita di chi le sta attraversando. Significa occuparsi dei sintomi fisici, certo, ma anche delle ferite psicologiche, dei bisogni sociali, delle domande spirituali. La persona non viene ridotta alla sua diagnosi, ma considerata nella sua globalità, con la sua storia, le sue relazioni, i suoi valori.
Le cure palliative propongono una presa in carico individuale ma allo stesso tempo globale: non uno sguardo limitato al danno biologico di un corpo, bensì un accompagnamento continuo, che avvolge e sostiene senza mai essere invadente. È una cura che rispetta le scelte, la morale, la spiritualità dell’ammalato e che include, inevitabilmente, anche la famiglia e le figure di riferimento che gli stanno accanto.
Le cure palliative non anticipano e non ritardano la morte. Riconoscono la morte come evento naturale del vivere umano, ma affermano la vita fino all’ultimo istante possibile, cercando di renderla quanto più dignitosa, serena e libera dalla sofferenza evitabile.
Ogni disciplina medica si è guadagnata nel tempo riconoscimento e fiducia grazie al lavoro, alla competenza e alla dedizione di chi la pratica. Allo stesso modo, chi opera in cure palliative è formato in modo specifico per affrontare i sintomi delle malattie gravi e per condividere, con empatia, il peso che questi sintomi hanno anche sulla psiche, sulle relazioni, sulla quotidianità della persona. L’obiettivo è custodire la dignità del vivere e del morire, accompagnando il paziente e i suoi cari “fino all’ultimo respiro”.
Resta attualissima la frase di Cicely Saunders, fondatrice del moderno movimento hospice:
“Tu sei importante perché sei tu e sei importante fino alla fine”.