Dr.ssa Elisa Scala - Psicoterapia Medica Olistica

Dr.ssa Elisa Scala - Psicoterapia Medica Olistica Quando la psicoterapia tradizionale non basta, la soluzione olistica di un medico può fare la differenza. Risultato?

Offro un approccio integrato che non si limita all'ascolto. Percorsi più brevi (a partire da 10-12 sedute) e maggiormente mirati. La Psicoterapia Medica Olistica nasce come approccio breve, di durata inferiore alla media degli altri percorsi di psicoterapia. Rispetto alla psicoanalisi, invece, oltre a risultare molto più focalizzato si discosta anche come metodologia di lavoro applicata. Dopo la prima seduta con me, presenterò una diagnosi specifica del lavoro da svolgere, condividendo gli obiettivi del percorso terapeutico più idoneo. Se l'obiettivo da risolvere è singolo e non eccessivamente complesso, un ciclo di 10 sedute è sufficiente per registrare dei miglioramenti misurabili nella qualità della propria vita, sia interiore che esteriore.

30/11/2025

Quando analizziamo i nostri comportamenti, reazioni e pensieri, lo facciamo avendo accesso solo a ciò che abbiamo già reso cosciente o a ciò che crediamo vero di noi.

Le parti che abbiamo rifiutato, rimosso o soppresso non possono essere viste, e saranno escluse da qualunque valutazione di sé, almeno fintantoché permarrà l’esclusione.

Entrare in contatto con le proprie parti profonde richiede un certo allenamento e un lavoro adeguato.

Se rimaniamo con degli irrisolti seri, non potremo mai vedere tutto “il nostro pezzo” e, tra l’altro, continuerà a lavorare il meccanismo della proiezione.

Spostare parti di noi sugli altri e poi rifiutarle è il modo più potente per mantenere viva la frattura interiore.

28/11/2025

[𝗟𝗮 𝗰𝘂𝗿𝘃𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹’𝗮𝗽𝗽𝗿𝗲𝗻𝗱𝗶𝗺𝗲𝗻𝘁𝗼 𝗲𝗺𝗼𝘁𝗶𝘃𝗼: 𝗿𝗶𝗰𝗼𝗻𝗼𝘀𝗰𝗶, 𝗮𝗹𝗹𝗲𝗻𝗮, 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗴𝗿𝗮, 𝗮𝘂𝘁𝗼𝗺𝗮𝘁𝗶𝘇𝘇𝗮].

Imparare una nuova abilità, dalla regolazione emotiva ad una comunicazione più assertiva, non è un evento singolo, ma un processo con tappe prevedibili.

È possibile individuare 4 fasi vere e proprie, ognuna con specifiche caratteristiche, condizioni di partenza e difficoltà.

Queste fasi ci aiutano a capire dove ci troviamo, cosa aspettarci e quali piccole azioni mettere in campo per avanzare senza scoraggiarci.

Vediamo nel dettaglio le 4 fasi dell'apprendimento di un'abilità o competenza, declinate anche sul piano psicologico nella forma di una vera e propria mappa.

𝟭) 𝗜𝗻𝗰𝗼𝗺𝗽𝗲𝘁𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗶𝗻𝗰𝗼𝗻𝘀𝗰𝗶𝗮: "𝗡𝗼𝗻 𝘀𝗼 𝗱𝗶 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗮𝗽𝗲𝗿𝗲"

All'inizio non percepiamo chiaramente ciò che manca e tendiamo a sottovalutare la complessità, a sovrastimare il controllo o a dare la colpa al contesto.

Psicologicamente qui la difesa più comune è l'evitamento ("non è un problema"), lo spostamento verso l'esterno della responsabilità o l’intellettualizzazione.

Segnali utili: sorpresa quando le cose non funzionano, irritazione vaga.
Cosa fare: creare consapevolezza.

Osserva uno o due episodi reali della tua vita (es. una discussione, un momento di sopraffazione emotiva) e descrivi che cosa è accaduto nel corpo, nella mente e nell'azione che ne è seguita, senza giudizio.

L'obiettivo non è cambiare, ma iniziare a vedere.

𝟮) 𝗜𝗻𝗰𝗼𝗺𝗽𝗲𝘁𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗰𝗼𝗻𝘀𝗰𝗶𝗮: "𝗦𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗼"

Qui emergono tutte le lacune nella competenza: capisci cosa dovresti fare, ma non ci riesci con continuità.

È la fase più scomoda in cui aumentano frustrazione e vergogna.

A livello emotivo compaiono ansia e autocritica; nel corpo, tensioni di varia natura; sul piano della mente, una ruminazione ossessiva.

Qui serve normalizzare l'errore come parte del processo, definendo piccoli passaggi osservabili (es. "quando sale la stretta alla gola, faccio 6 espirazioni lente e mi concedo una pausa di 2 minuti").

Tenere un breve diario (𝘵𝘳𝘪𝘨𝘨𝘦𝘳 → 𝘦𝘮𝘰𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 → 𝘣𝘪𝘴𝘰𝘨𝘯𝘰 → 𝘮𝘪𝘤𝘳𝘰-𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦) è di grande supporto in questa fase.

𝟯) 𝗖𝗼𝗺𝗽𝗲𝘁𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗰𝗼𝗻𝘀𝗰𝗶𝗮: "𝗦𝗼, 𝗺𝗮 𝗱𝗲𝘃𝗼 𝗮𝗻𝗰𝗼𝗿𝗮 𝗽𝗲𝗻𝘀𝗮𝗿𝗰𝗶 𝗮𝘁𝘁𝗶𝘃𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲"

Le abilità iniziano a funzionare solo se ti concentri.
Riesci a regolarti, a comunicare in modo chiaro e a mettere confini interpersonali, ma richiede uno sforzo consapevole.

Psicologicamente è il tempo dell'allenamento deliberato.

Nel corpo noterai che l'attivazione va a scemare più rapidamente, e anche la ruminazione mentale si indebolisce.

Per consolidare è utile usare script semplici ("Se… allora…", es. "Se mi sento sopraffatto/a, allora attribuisco un nome all'emozione e mi prendo un po' di tempo") e poi effettuare un'analisi strutturata al termine degli episodi (cosa ha funzionato e cosa è meglio cambiare la prossima volta).

𝟰) 𝗖𝗼𝗺𝗽𝗲𝘁𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗶𝗻𝗰𝗼𝗻𝘀𝗰𝗶𝗮: "𝗟𝗼 𝗳𝗮𝗰𝗰𝗶𝗼 𝘀𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗱𝗼𝘃𝗲𝗿𝗰𝗶 𝗽𝗶𝘂̀ 𝗽𝗲𝗻𝘀𝗮𝗿𝗲"

La nuova abilità diventa automatica.

La mente può dedicarsi ad altro, il corpo si regola quasi in anticipo, le scelte sono coerenti con i valori.

Psicologicamente emergono fiducia e flessibilità.
Il rischio, però, è la cristallizzazione di una specifica modalità.
Senza la consapevolezza, al timone ritroviamo la meccanicità.

Risulta utile mantenere vivo l'apprendimento con variazioni intenzionali (nuovi contesti, persone diverse) e programmare verifiche periodiche.

Imparare significa, quindi, attraversare con consapevolezza quattro passaggi: accorgersi di ciò che manca, tollerare l'imperfezione mentre si prova, praticare con intenzione e, infine, lasciare che la competenza si manifesti in modo naturale.

Sul piano psicologico questo percorso coincide con una migliore regolazione interna.

Il corpo si attiva meno e si calma prima, la mente smette di rimanere incastrata in loop inutili e le azioni diventano più coerenti con i propri valori.

26/11/2025

LA LEALTÀ INVISIBILE: COSA SIGNIFICA DAVVERO

La lealtà invisibile è un legame psicologico non consapevole che porta una persona a mantenere fedeltà emotiva, identitaria o esistenziale nei confronti della propria famiglia d'origine, anche quando questo comporta sofferenza, lacerazioni interiori o un vero e proprio autosabotaggio.

Non si basa ovviamente su decisioni prese sul piano della coscienza, ma su dinamiche vissute nelle retrovie nascoste dello sviluppo affettivo.

𝗖𝗼𝗺𝗲 𝘀𝗶 𝗺𝗮𝗻𝗶𝗳𝗲𝘀𝘁𝗮

La lealtà invisibile può emergere attraverso:

- difficoltà a superare i propri genitori (in genere uno dei due) a livello di successo o di benessere generale;
- senso di colpa quando si sta meglio;
- paura di distaccarsi o scegliere un percorso di vita diverso;
- sacrifici costanti per preservare l'unità familiare;
- assunzione di ruoli non propri (figlio-genitore, mediatore, salvatore);
- autosvalutazione e autolimitazione per non "offendere" chi ha sofferto o non ha avuto una vita appagante;
- ripetizione inconsapevole del destino familiare.

La persona non riesce a consapevolizzare e a dirsi "lo sto facendo per loro", ma lo sperimenta come un dovere interiore ineluttabile che la muove dal profondo.

𝗖𝗼𝗺𝗲 𝗿𝗶𝗰𝗼𝗻𝗼𝘀𝗰𝗲𝗿𝗲 𝗹𝗮 𝗹𝗲𝗮𝗹𝘁𝗮̀ 𝗶𝗻𝘃𝗶𝘀𝗶𝗯𝗶𝗹𝗲 𝗶𝗻 𝘀𝗲́

Alcune domande che risultano molto utili in terapia, ma che possono essere risposte anche in autonomia per una valutazione preliminare, sono:

- Mi sento in colpa quando sto bene?
- Ho paura di deludere o superare i miei genitori?
- Sento di dover compensare un membro della mia famiglia?
- Mi sembra, a qualche livello, di vivere una vita "non mia"?
- I miei successi mi mettono a disagio?
- Mi trattengo per non far soffrire gli altri?
- Ripeto dinamiche che non ho scelto?

Alcune delle modalità per sciogliere queste dinamiche in terapia sono:

- riconoscimento consapevole --> vedere la dinamica è già parte della liberazione,
- distinzione tra amore e sacrificio --> si può amare senza ripetere,
- restituzione simbolica --> smettere di "ripagare" ciò che non ci compete,
- dare ai genitori la loro storia --> smettere di farsene carico,
- autorizzazione a vivere --> passaggio decisivo nella guarigione,
- recupero della propria identità --> talenti, desideri e direzione personale.

In moltissimi casi intraprendere questo tipo di lavoro è indispensabile per superare i limiti invisibili che albergano dentro di noi e che, se non riconosciuti e sciolti, continueranno ad agire indisturbati e a rovinarci l'esistenza.

Come per tutte le dinamiche inconsce, noi possiamo ignorare loro (ed in genere è ovviamente così), ma loro non ignorano noi.

24/11/2025

𝗟’𝗶𝗻𝗰𝗼𝗻𝘀𝗰𝗶𝗼 𝘁𝗶𝗲𝗻𝗲 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗼: 𝗶𝗹 𝗴𝗿𝗮𝗻𝗱𝗲 𝘀𝗲𝗿𝗯𝗮𝘁𝗼𝗶𝗼 𝗱𝗶 𝗰𝗶𝗼̀ 𝗰𝗵𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝗿𝗶𝘂𝘀𝗰𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗮𝗻𝗰𝗼𝗿𝗮 𝗮𝗱 𝗮𝗰𝗰𝗼𝗴𝗹𝗶𝗲𝗿𝗲 𝗶𝗻 𝗻𝗼𝗶

L'inconscio è come un grande spazio che custodisce tutto ciò che, per varie ragioni, non riusciamo a sostenere nella nostra vita consapevole.

Non è un archivio morto o un deposito polveroso, ma uno spazio vivo e dinamico che custodisce emozioni, ricordi, desideri, paure e impulsi che la nostra mente cosciente non può (o non vuole ancora) vedere.

In questo senso, l'inconscio “𝘵𝘪𝘦𝘯𝘦 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘰”.

Tiene ciò che abbiamo rifiutato, ciò che ci ha ferito, ciò che risultava incompatibile con il nostro sistema di convinzioni, ciò che un tempo è stato troppo grande per noi.

Tiene anche parti di noi autentiche e vitali che non hanno trovato lo spazio per esprimersi.

Quando qualcosa non può essere integrato, l'inconscio lo accoglie comunque, lo trattiene nell'attesa.

𝗖𝗶𝗼̀ 𝗰𝗵𝗲 𝘃𝗶𝗲𝗻𝗲 𝗺𝗲𝘀𝘀𝗼 𝗱𝗮 𝗽𝗮𝗿𝘁𝗲, 𝗽𝗲𝗿𝗼̀, 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗰𝗼𝗺𝗽𝗮𝗿𝗲.

Ci continua a chiedere ascolto attraverso il corpo, i sogni, i sintomi psicosomatici, le reazioni emotive improvvise, i blocchi e le ripetizioni comportamentali.

È il modo in cui ciò che non ha diritto di cittadinanza nella coscienza prova a rientrare dalla porta di servizio.

La psicoterapia lavora proprio qui, offrendo un luogo sicuro in cui ciò che è stato tenuto nell'ombra può finalmente essere guardato, riconosciuto e integrato.

Dare voce a ciò che l'inconscio trattiene significa restituire alla persona parti di sé e risorse che erano rimaste in qualche modo sospese.

[𝗔𝗻𝘁𝗶𝗳𝗿𝗮𝗴𝗶𝗹𝗶𝘁𝗮̀ 𝗲 𝗱𝗶𝘀𝘁𝘂𝗿𝗯𝗶 𝗮𝗹𝗶𝗺𝗲𝗻𝘁𝗮𝗿𝗶: 𝗾𝘂𝗮𝗻𝗱𝗼 𝗹𝗮 𝗿𝗶𝗴𝗶𝗱𝗶𝘁𝗮̀ 𝗶𝗺𝗽𝗲𝗱𝗶𝘀𝗰𝗲 𝗱𝗶 𝗰𝗿𝗲𝘀𝗰𝗲𝗿𝗲 𝗮𝘁𝘁𝗿𝗮𝘃𝗲𝗿𝘀𝗼 𝗹𝗲 𝗱𝗶𝗳𝗳𝗶𝗰𝗼𝗹𝘁𝗮̀].Il concetto ...
21/11/2025

[𝗔𝗻𝘁𝗶𝗳𝗿𝗮𝗴𝗶𝗹𝗶𝘁𝗮̀ 𝗲 𝗱𝗶𝘀𝘁𝘂𝗿𝗯𝗶 𝗮𝗹𝗶𝗺𝗲𝗻𝘁𝗮𝗿𝗶: 𝗾𝘂𝗮𝗻𝗱𝗼 𝗹𝗮 𝗿𝗶𝗴𝗶𝗱𝗶𝘁𝗮̀ 𝗶𝗺𝗽𝗲𝗱𝗶𝘀𝗰𝗲 𝗱𝗶 𝗰𝗿𝗲𝘀𝗰𝗲𝗿𝗲 𝗮𝘁𝘁𝗿𝗮𝘃𝗲𝗿𝘀𝗼 𝗹𝗲 𝗱𝗶𝗳𝗳𝗶𝗰𝗼𝗹𝘁𝗮̀].

Il concetto di antifragilità descrive la capacità di un sistema o di una persona non solo di resistere allo stress, ma di diventare più forte mettendo in qualche modo in leva le asperità che naturalmente incontra sul proprio cammino.

In altre parole, l’antifragilità è ciò che ci permette di trasformare tensione, errore e incertezza, che la vita ci elargisce su base ricorrente, in crescita psicologica.

Nei disturbi alimentari, invece, è interessante notare come accada l’opposto.
La persona sviluppa un rapporto con il cibo e con il proprio corpo fondato sulla rigidità e sul bisogno estremizzato di controllo.

Le emozioni vengono gestite attraverso regole inflessibili, restrizioni, rituali o comportamenti compensatori che hanno lo scopo di eliminare il rischio, evitare per quanto possibile l’imprevisto, anestetizzare ogni vulnerabilità.

Questa struttura psichica è profondamente 𝘧𝘳𝘢𝘨𝘪𝘭𝘦:

- tollera poco la frustrazione;
- teme l’errore e la perdita di controllo;
- vive il corpo come un ambito da dominare, non da ascoltare;
- costruisce la sicurezza sul perfezionismo, anche se distorto, e non sulla flessibilità.

Per questa ragione i disturbi alimentari sono l’espressione di una 𝗳𝗿𝗮𝗴𝗶𝗹𝗶𝘁𝗮̀ 𝘁𝗿𝗮𝘃𝗲𝘀𝘁𝗶𝘁𝗮 𝗱𝗮 𝗳𝗼𝗿𝘇𝗮, una disciplina ferrea che protegge dal dolore, ma al prezzo di una crescente asfissia emotiva e relazionale.

L’𝘢𝘯𝘵𝘪𝘧𝘳𝘢𝘨𝘪𝘭𝘪𝘵𝘢̀, invece, nasce da un movimento diametralmente opposto.

Significa imparare a:

- stare nelle emozioni senza annientarle, silenziarle o renderle più "gestibili";
- tollerare l’incertezza senza ricorrere al controllo estremo;
- stare in piedi dinnanzi alla vulnerabilità senza giudicarsi;
- accogliere gli imprevisti come parte del percorso;
- costruire un senso di Sé che non dipende dalla forma del corpo.

In questo senso, la psicoterapia rappresenta un percorso di apprendimento antifragile, che aiuta a sviluppare risorse interiori che si rafforzano grazie alla comprensione delle ferite, non alla loro negazione.

Questo concetto si collega in buona parte a quello del 𝗸𝗶𝗻𝘁𝘀𝘂𝗴𝗶, antica tecnica giapponese che, traslata nelle discipline umane, ci insegna a dare valore alle nostre ferite psicologiche e ad utilizzarle come possibile via per plasmare la nostra unicità.

Superare un disturbo alimentare significa proprio passare da una sicurezza basata su una forma di controllo ad una sicurezza basata sulla capacità di 𝗮𝘁𝘁𝗿𝗮𝘃𝗲𝗿𝘀𝗮𝗿𝗲 𝗶𝗹 𝗰𝗼𝗻𝗳𝗹𝗶𝘁𝘁𝗼 𝗲𝗺𝗼𝘁𝗶𝘃𝗼 (di abitarlo, come ho spiegato nell'ultimo post), l’imperfezione e la complessità.

È un movimento che parte dal profondo, in grado di trasformare il rapporto con il cibo, con il corpo e, in ultima analisi, con la vita stessa.

19/11/2025

𝗔𝗯𝗶𝘁𝗮𝗿𝗲 𝗶𝗹 𝗰𝗼𝗻𝗳𝗹𝗶𝘁𝘁𝗼 significa restare presenti dentro ciò che ci mette in difficoltà, senza fuggire, negare o anestetizzare l'esperienza emotiva.

Non si tratta di cercare lo scontro, tantomeno con una parte di sé, ma di non sottrarsi a ciò che il conflitto porta alla luce: differenze, bisogni frustrati, paure, limiti, desideri incompatibili.

Essere nel conflitto vuol dire 𝘁𝗼𝗹𝗹𝗲𝗿𝗮𝗿𝗲 𝗹𝗮 𝘁𝗲𝗻𝘀𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗲𝗺𝗲𝗿𝗴𝗲 quando qualcosa dentro di noi (o tra noi e l’altro) chiede di essere visto.

In termini pratici, abitare il conflitto significa fermarsi, ascoltare le proprie emozioni senza giudizio, dare un nome a ciò che accade e restare aperti al dialogo.

Richiede la capacità di regolare l'attivazione interna e di sostenere la frustrazione senza ricorrere a strategie automatiche come l'attacco, il ritiro in sé stessi o la compiacenza.

Quando restiamo nel conflitto con consapevolezza, impariamo a 𝗰𝗼𝗻𝗼𝘀𝗰𝗲𝗿𝗲 𝗽𝗮𝗿𝘁𝗶 𝗱𝗶 𝗻𝗼𝗶 che tendiamo ad evitare, costruiamo relazioni più autentiche, ampliamo la nostra finestra di tolleranza emotiva e apriamo la strada a cambiamenti reali.

Al contrario, rifuggire costantemente dal conflitto ci protegge nel breve termine, ma nel lungo alimenta le cristallizzazioni, una certa inflessibilità e la distanza emotiva.

Abitare il conflitto è 𝘀𝗰𝗲𝗴𝗹𝗶𝗲𝗿𝗲 𝗱𝗶 𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝗰𝗶 proprio lì dove la nostra crescita sta prendendo forma, dove sta nascendo qualcosa di nuovo, dove iniziamo a raccogliere quello che abbiamo seminato.

17/11/2025

Un'esperienza traumatica, per definizione, non può essere processata dalla nostra parte conscia, non può essere elaborata.

La sua intensità emotiva è troppo elevata, il dolore troppo grande per essere contenuto e integrato.

Per questo motivo, la psiche attiva un meccanismo di difesa e dissocia l’esperienza, la separa dal flusso della coscienza e la "mette da parte", in un luogo interno dove non possa travolgere l’equilibrio psicologico del momento.

In questo modo, rimane al di sotto della superficie della consapevolezza e la persona può illusoriamente andare avanti come se non fosse mai accaduta.

Questa però è solo una percezione ingannevole di continuità.

Ciò che non viene elaborato non scompare e resta invece vivo nell'inconscio, un enorme serbatoio che tiene tutte le nostre esperienze non integrate, le nostre ferite emotive, i nostri frammenti di vissuti che non hanno trovato parole né senso.

Con il tempo, queste esperienze rimosse possono riemergere sotto forma di ansia, somatizzazioni, difficoltà relazionali o comportamenti ripetitivi apparentemente inspiegabili.

È come se il trauma, pur silenzioso, continuasse a chiedere di essere visto e riconosciuto.

Solo attraverso un lavoro psicoterapeutico che permetta di riavvicinarsi gradualmente a quelle parti negate, con sicurezza e compassione, è possibile trasformare in consapevolezza ciò che è rimasto congelato, restituendo alla persona la possibilità di sentirsi intera, viva e presente a sé stessa.

16/11/2025

Il meccanismo della proiezione ci tiene lontani dalle parti di noi che rifiutiamo e che dovremmo iniziare a riconoscere.

Ci toglie lo strumento più prezioso per la nostra evoluzione, cioè lo specchio, in grado di aprire un varco verso i meandri più reconditi di noi.

Lo specchio riflette tutto senza filtri, anche le cose che non vogliamo vedere.

È tanto potente quanto imparziale.

Non fa selezione sulla base di quello che possiamo tollerare.

Per evitare gli specchi abbiamo varie strategie e meccanismi di difesa, tra cui la distrazione, la razionalizzazione, le giustificazioni, gli evitamenti, le evasioni, le deviazioni.

Quando tutti questi meccanismi vengono meno o si indeboliscono, ecco che ci rimane la proiezione, meccanismo preferito dalle persone narcisiste.

Invece di vedere quella parte direttamente in noi, la spostiamo su un’altra persona “idonea” e la vediamo agita da quest’ultima, come se non ci appartenesse e non avesse niente a che vedere con noi.

Una parte di noi repressa spesso è nella sofferenza e va riarmonizzata, smettendo di sopprimerla e inibirla.

La proiezione ci tiene lontani dalle parti che richiamano la nostra attenzione.

È un meccanismo di catarsi temporaneo che può dare un sollievo per qualche tempo.

Aumenta però la frattura interiore, portando ad una frammentazione della coscienza.

Per non cadere in questo meccanismo, è importante iniziare a fare pratica di presenza incondizionata con questa parte, per poi portare consapevolezza a come ci comportiamo con gli altri, soprattutto quando c’è una proiezione attiva.

Lo scopo finale è di riappropriarci del contenuto della proiezione e smettere di scaricare all’esterno ciò che non possiamo (ancora) accogliere in noi stessi.

𝗢𝗿𝘁𝗼𝗿𝗲𝘀𝘀𝗶𝗮: 𝗾𝘂𝗮𝗻𝗱𝗼 𝗶𝗹 𝗺𝗮𝗻𝗴𝗶𝗮𝗿𝗲 𝘀𝗮𝗻𝗼 𝗱𝗶𝘃𝗲𝗻𝘁𝗮 𝘂𝗻’𝗼𝘀𝘀𝗲𝘀𝘀𝗶𝗼𝗻𝗲L'ortoressia è un disturbo del comportamento alimentare (DCA) c...
14/11/2025

𝗢𝗿𝘁𝗼𝗿𝗲𝘀𝘀𝗶𝗮: 𝗾𝘂𝗮𝗻𝗱𝗼 𝗶𝗹 𝗺𝗮𝗻𝗴𝗶𝗮𝗿𝗲 𝘀𝗮𝗻𝗼 𝗱𝗶𝘃𝗲𝗻𝘁𝗮 𝘂𝗻’𝗼𝘀𝘀𝗲𝘀𝘀𝗶𝗼𝗻𝗲

L'ortoressia è un disturbo del comportamento alimentare (DCA) caratterizzato da un'attenzione eccessiva e rigida verso la qualità del cibo e verso l'idea di "mangiare sano ed equilibrato".

A differenza di altri disturbi alimentari centrati sulla quantità o sul peso corporeo, nell'ortoressia il focus è sulla purezza del cibo. La persona seleziona con estrema cura gli alimenti, evita quelli considerati impuri o nocivi per la salute e può arrivare a trascorrere molto tempo a pianificare i pasti, a leggere le etichette dei prodotti al supermercato o a documentarsi su diete e ingredienti.

Da un punto di vista psicologico, l'ortoressia rappresenta spesso una 𝗳𝗼𝗿𝗺𝗮 𝗱𝗶 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗿𝗼𝗹𝗹𝗼 𝗺𝗮𝘀𝗰𝗵𝗲𝗿𝗮𝘁𝗮 𝗱𝗮 𝘀𝗮𝗹𝘂𝘁𝗲.

Dietro la ricerca del "cibo perfetto" si nasconde il tentativo di gestire ansia, insicurezza o vissuti di fragilità attraverso regole rigide che tengono in piedi un senso illusorio di ordine e padronanza.

L'alimentazione diventa così un modo per tenere a distanza emozioni destabilizzanti o difficili da gestire e per mantenere 𝗹’𝗶𝗹𝗹𝘂𝘀𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗶 𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝗲 𝗮𝗹 𝗿𝗶𝗽𝗮𝗿𝗼 𝗱𝗮𝗹 𝗱𝗶𝘀𝗼𝗿𝗱𝗶𝗻𝗲 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝗻𝗼.

Sul piano dell'immagine di sé, l'ortoressia si collega ad un bisogno profondo di sentirsi moralmente “buoni”, forti o superiori attraverso le proprie scelte alimentari.

Il corpo, in questo caso, diventa la 𝗽𝗿𝗼𝘃𝗮 𝘃𝗶𝘀𝗶𝗯𝗶𝗹𝗲 𝗱𝗶 𝘂𝗻𝗮 𝗱𝗶𝘀𝗰𝗶𝗽𝗹𝗶𝗻𝗮 𝗲 𝗱𝗶 𝘂𝗻𝗮 𝗽𝘂𝗿𝗲𝘇𝘇𝗮 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝗶𝗼𝗿𝗲. Nutrirsi "bene" incarna il valore di un rituale identitario e di una forma di autostima.

In ogni caso, questo perfezionismo può rivelare facilmente il suo lato oscuro e trasformarsi in isolamento, ansia sociale e perdita di spontaneità nei rapporti interpersonali e nell'approccio al cibo stesso.

Il termine 𝗻𝗲𝘃𝗿𝗼𝘀𝗶 indica una forma di sofferenza psichica caratterizzata da 𝗰𝗼𝗻𝗳𝗹𝗶𝘁𝘁𝗶 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝗶𝗼𝗿𝗶 𝗶𝗻𝗰𝗼𝗻𝘀𝗰𝗶 che alimentano...
12/11/2025

Il termine 𝗻𝗲𝘃𝗿𝗼𝘀𝗶 indica una forma di sofferenza psichica caratterizzata da 𝗰𝗼𝗻𝗳𝗹𝗶𝘁𝘁𝗶 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝗶𝗼𝗿𝗶 𝗶𝗻𝗰𝗼𝗻𝘀𝗰𝗶 che alimentano ansia, sintomi somatici o comportamenti disfunzionali, pur mantenendo intatto il contatto con la realtà.

A differenza delle psicosi, nelle nevrosi la persona è consapevole delle proprie difficoltà e spesso vive un contrasto tra ciò che sente e ciò che crede in qualche modo di dover essere.

Le nevrosi possono manifestarsi in molti modi come ansia cronica, fobie, ossessioni, perfezionismo patologico, somatizzazioni di varia natura, senso di colpa tormentante o relazioni affettive problematiche.

𝗖𝗮𝗽𝗶𝗿𝗲 𝘀𝗲 𝘀𝗶 𝘀𝗼𝗳𝗳𝗿𝗲 𝗱𝗶 𝘂𝗻𝗮 𝗻𝗲𝘃𝗿𝗼𝘀𝗶 non è sempre immediato perché spesso i sintomi vengono razionalizzati o attribuiti a cause esterne.

Alcuni segnali ricorrenti sono tensione costante, bisogno di controllo, difficoltà ad esprimere emozioni, paura del giudizio ed un senso di insoddisfazione che persiste anche in assenza di problemi oggettivi.

In generale, la persona nevrotica percepisce di vivere al di sotto delle proprie possibilità emotive, intrappolata in schemi di comportamento o pensiero che riconosce come dannosi ma da cui non riesce a liberarsi.

Le 𝗰𝗮𝘂𝘀𝗲 𝗽𝗶𝘂̀ 𝗱𝗶𝗳𝗳𝘂𝘀𝗲 sono da ricercarsi nelle esperienze precoci di vita, in particolare modelli familiari rigidi o contraddittori, mancanza di sicurezza affettiva, amore percepito come condizionato al dover sempre dimostrare attraverso il fare o traumi relazionali non elaborati.

Tutti questi fattori possono generare un conflitto inconscio tra i desideri autentici che albergano nella persona e il bisogno asfissiante di approvazione, dando origine a tensioni psichiche che si esprimono sotto forma di sintomi.

𝗖𝗼𝘀𝗮 𝗳𝗮𝗿𝗲 𝘀𝗲 𝘀𝗶 𝘀𝗰𝗼𝗽𝗿𝗲 𝗱𝗶 𝗮𝘃𝗲𝗿𝗲 𝘂𝗻𝗮 𝗻𝗲𝘃𝗿𝗼𝘀𝗶

Il primo passo è riconoscere la sofferenza senza giudicarsi. La nevrosi non è un segno di debolezza, ma un segnale che la psiche sta tentando di comunicare un disagio più profondo.

Un percorso di psicoterapia, in particolare con approcci che lavorano sull’inconscio e sull’elaborazione emotiva (come l’ISTDP), permette di individuare i conflitti interni alla base del sintomo e di scioglierli gradualmente.

10/11/2025

Se non ci sentiamo visti dagli altri, iniziamo noi a vederci, a portare attenzione ai nostri stati interni, ai nostri bisogni e alla voce del passeggero della carrozza (l'anima nella metafora di Gurdjieff).

Se percepiamo che i nostri bisogni non sono accolti o riconosciuti dagli altri, iniziamo a riconoscerli da noi, senza auto-imporci dinamiche di doverismo o silenziarli in nome di altro che dovrebbe essere fatto.

Se crediamo che i nostri stati emotivi non siano riconosciuti e validati, cominciamo a farlo noi.

Alfabetizziamoli, diamo loro voce e spazio al nostro interno.

Invece di mendicare dall'ambiente circostante qualcosa che potrebbe non arrivare o non essere come vorremmo, iniziamo noi a far germogliare quella qualità dentro di noi.

La qualità dell'ascolto diretto e del silenzio, uno spazio essenziale per entrare nei meandri più profondi del nostro essere.

Un esercizio molto utile è chiedersi: qual è la caratteristica che mi manca maggiormente all'interno delle relazioni più significative della mia vita attuale?

Potrebbe essere l'ascolto, l'essere riconosciuti, l'essere visti, la sincerità, il non essere manipolati, il rispetto dei propri confini personali (quindi il non essere invasi), la validazione dei propri stati emotivi.

Prendiamo il risultato di questo breve esercizio come una bussola che indica la qualità che più siamo chiamati a portare noi nel nostro mondo e campo di esistenza.

Facciamo noi il primo passo, quando sarà il momento l'ambiente si adeguerà di conseguenza.

Indirizzo

Via Guglielmo Marconi, 3/B/Scala F
Novara
28100

Orario di apertura

Lunedì 09:00 - 13:00
15:00 - 20:00
Martedì 09:00 - 13:00
15:00 - 20:00
Mercoledì 09:00 - 13:00
15:00 - 20:00
Giovedì 09:00 - 13:00
15:00 - 20:00
Venerdì 09:00 - 13:00
15:00 - 20:00
Sabato 09:00 - 13:00

Telefono

+393287507122

Notifiche

Lasciando la tua email puoi essere il primo a sapere quando Dr.ssa Elisa Scala - Psicoterapia Medica Olistica pubblica notizie e promozioni. Il tuo indirizzo email non verrà utilizzato per nessun altro scopo e potrai annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.

Contatta Lo Studio

Invia un messaggio a Dr.ssa Elisa Scala - Psicoterapia Medica Olistica:

Condividi

Share on Facebook Share on Twitter Share on LinkedIn
Share on Pinterest Share on Reddit Share via Email
Share on WhatsApp Share on Instagram Share on Telegram

La psicoterapia come via verso l’Anima.

Non possiamo ignorare l'inconscio. Non possiamo fingere che la nostra ombra non esista. Non possiamo pretendere di respingere per sempre tutto ciò che non ci piace, o a cui non vogliamo dare diritto di cittadinanza. Le risposte più esatte su chi siamo risiedono proprio nella nostra ombra. Diverse nostre risorse, e talenti, si celano nell'ombra.

Lo scopo più grande della Psicoterapia Medica Olistica è lo svolgimento di un lavoro specifico sulla propria parte ombra, sul proprio inconscio, sia mentale che emotivo. Rendere coscienti le nostre ombre è la via più rapida verso l'integrità del proprio Essere, è un ponte sicuro verso la propria Anima e verso l'ingresso del Divino nella nostra Vita.